Il giorno della civetta, recensione del film

Il giorno della civetta: recensione del film, girato da Damiano Damiani, tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia e trama del film (2 pagine formato doc)

IL GIORNO DELLA CIVETTA: RECENSIONE FILM

Il giorno della civetta, giallo, scritto da Leonardo Sciascia e girato da Damiano Damiani.

Edito nel 1968, girato in Sicilia, visto per la prima volta alla Televisione Svizzera, mette in prosa la mafia e la sua modernità.. Altri, dialettali minori, n’avevano dato ritratti vagamente apologetici. Sciascia invece ne fa motivo d'ispirazione civile e morale, di ricerca esistenziale nonché fonte inesauribile di risorse narrative.
E lo fa prediligendo spesso la forma descrittiva del giallo.

Il giorno della civetta è un film di genere amaro, giallo inconsueto, profondamente laico e anticipatore. In esso vi troviamo forti contrapposizioni però e deciso a suscitarne d’altrettante forti e motivate. C'è contrapposizione di caratteri tra i personaggi. Contrapposizione tra chi pensa ai «metodi forti dei tempi di Mori» e chi, come il capitano Bellodi, li rifiuta. Contrapposizione tra chi vede la mafia e chi la nega. Contrapposizione di «uomini e non», anzi per dirla con le categorie di Don Arena, di «uomini e mezz'uomini, d’ominicchi, piglianculo e quaquaraquà». Contrapposizione infine tra Italie diverse, a sud e a nord della «linea della palma», fotografate all'alba d'un miracolo economico già denso di poteri occulti e speranze disattese.

IL GIORNO DELLA CIVETTA FILM TRAMA

Un film d’altissimo profilo quello che scaturisce dalla prosa di Sciascia. Sganciato dall'ansia della trama, indifferente ai canoni della logica aristotelica, l'intreccio narrativo in lui sfugge la mannaia della sintesi finale, fa d'ogni conclusione un nuovo punto di partenza, d'ogni certezza acclarata un dubbio, d'ogni esito manifesto una sfida per la ragione. Di giallo inchiostro fraseggia il suo illuminismo debole, spoglio di qualsivoglia «missione salvifica» e sempre diffidente verso la giacobina determinazione dell'intellettuale militante pronto a decapitare «uomini e cose», seppur rattristato dallo sferruzzare delle «tricoteuses» a bordo-ring.
Il giorno della civetta: «smontato» e inconsueto, certamente mediterraneo, lontano mari e monti dalla tradizione anglosassone, forte d'un racconto che scorre in piena luce, tra fatti subito svelati e privatissimi legami, in una Sicilia appunto dove, “tutto è limpido, cristallino: le più tormentose passioni, i più oscuri interessi, psicologia, pettegolezzi, delitti, lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è ormai classificato e catalogato” ma dove, come nella migliore partita di scacchi, tutto è da narrare e scoprire.

Il giorno della civetta: riassunto e commento

IL GIORNO DELLA CIVETTA DIFFERENZE FILM E LIBRO

Trama lineare dunque che fila decisa tra personaggi e ambienti, polvere e scirocco, vittime e colpevoli. Ci troviamo in un paese dell'hinterland palermitano dove viene ucciso Salvatore Colasberna, modesto impresario edile. Contemporaneamente scompare Paolo Nicolosi, di professione potatore. Il capitano Bellodi, giovane ufficiale dei carabinieri originario di Parma, affronta, assieme al maresciallo Ferlisi, la situazione con intelligenza e lucidità. Connette i fatti, fiuta l'angoscia della vedova Nicolosi, scarta la pista passionale, blandisce il confidente Parrinieddu. Da lui ottiene un nome e, in articulo mortis, una confessione epistolare. Il romanzo non ha dato neppure il tempo di far metter comodi i lettori che ecco bell'e serviti tre colpevoli per tre omicidi: Diego Marchica detto Zicchinetta, Rosario Pizzuco già fiancheggiatore del separatista Giuliano e, soprattutto, Don Mariano Arena, «galantuomo» di paesana saggezza e provate amicizie, uno peraltro a cui «non mancava niente, dalla a d’abigeato alla z di zuffa». Confessioni e ritrattazioni, considerazioni fuori campo e voci di corridoi nei Palazzi romani, preparano poco a poco «l'iliade di guai» che finirà per annullare l'inchiesta. Scarcerati i colpevoli, trasferito il maresciallo Ferlisi, Bellodi, spedito in licenza a casa, è colto, mentre scorrono i titoli di coda, «nell'indolente sera di Parma» a passeggiare con l'amico Brescianelli, a riflettere sul suo allontanamento e a promettere, soprattutto alla sua coscienza d’ex partigiano e «servitore di Stato», un prossimo ritorno in Sicilia.

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