Libertà di Giovanni Verga: analisi della novella

Giovanni Verga, Libertà. Analisi della novella tratta da Novelle rusticane: di cosa parla, quali sono i personaggi

Libertà di Giovanni Verga: analisi della novella
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Libertà, Giovanni Verga

Libertà è una novella di Giovanni Verga, che fa parte della raccolta Novelle rusticane
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Libertà è una novella di Giovanni Verga, che fa parte della raccolta Novelle rusticane.

Verga è il massimo esponente del Verismo italiano, che ben esemplifica lo stile di questo movimento realista sviluppatosi in Italia tra fine Ottocento ed inizio Novecento. Libertà è un racconto a sfondo storico, che narra di una sanguinosa e furibonda rivolta di contadini contro i possidenti del paese, ispirata alla ribellione del 1860 di Bronte, sedata in seguito dai garibaldini capeggiati da Nino Bixio.

Nella vicenda fabula ed intreccio coincidono: l'autore, disponendo i fatti in un ordine logico-cronologico, ha evitato di creare difficoltà di comprensione votate ad ostacolare l'effetto drammatico che tale narrazione cerca di trasmettere al lettore. 

La storia si articola principalmente in tre passaggi fondamentali, che costituiscono le macrosequenze del racconto:

  • Il momento culminante della rivolta, in cui i contadini uccidono tutti i galantuomini del paese;
  • L'intervento dell'esercito, ovvero la reazione violenta dei garibaldini, che uccidono ed imprigionano i colpevoli;
  • Il processo, che condanna alla galera i rivoltosi.

Il racconto inizia in Medias Res; difatti la storia comincia già nel culmine della vicenda, quando i contadini proclamano la "libertà", massacrando tutti i possidenti. I personaggi, quindi, si possono dividere in due gruppi fondamentali:

  • I contadini, detti coppole per i cappelli rotondi, che svolgono un ruolo di persecutori;
  • I galantuomini, i cappelli, sono i perseguitati, le vittime della carneficina.

Verga, Libertà

Verga descrive con ricchezza di atroci particolari il massacro dei galantuomini, ottenendo così un inquietante effetto assolutamente realistico. Lo scrittore esemplifica in maniera efficientissima la mattinata di scompiglio utilizzando uno stile essenziale e scomposto, un modo di scrivere confuso quasi quanto l'accaduto nella storia.

Almeno per quanto riguarda la prima parte della vicenda, le identità dei contadini non sono ben definite: solo voci indistinte fra la folla, determinata a fare strage degli oppressori. Questi, invece, vengono descritti in maniera più specifica: borghesi, esponenti del clero e nobili condividono tutti la medesima fine, mentre il narratore eterodiegetico lascia alle voci popolari il compito di specificare le loro colpe, tramite l'utilizzo di inserti di dialogo.

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Ecco quindi che il prete Don Antonio viene ucciso perché predicava l'inferno per chi rubava il pane; il piccolo Neddu, figlio del notaio, finisce decapitato perché, avrebbe finito per diventare notaio anch'egli; la baronessa viene massacrata mentre cerca di proteggere i due figli più piccoli, un neonato e un bimbo piccolo; stesse sorti toccano a don Paolo, ucciso al cospetto della moglie e dei cinque figli piccoli, allo speziale, alla gna' Lucia... L'attaccamento alla "roba", tema frequente nelle novelle di Verga, spicca anche fra i contadini di Libertà, quando, nella seconda sequenza, litigano e guardano in cagnesco il vicino al momento di spartire le terre dei cappelli.

Arrivati i garibaldini, inizia un brutto periodo per i contadini che avevano massacrato i galantuomini, e i lupi feroci della rivolta, rinchiusi in prigione diventano sempre più gialli e pallidi. Aperta una piccola parentesi sulle mogli dei detenuti, che seguivano i mariti fino in città per rincontrarli in galera, il racconto si conclude con un processo-farsa.

Giovanni Verga, Novelle rusticane

Tutti sono ben consci della sorte dei rivoltosi, tanto che nemmeno i giudici prestano attenzione al processo, e Verga ci fa capire bene il loro disinteresse, descrivendoli annoiati, stanchi, che sbadigliavano...

Alla fine in paese tutto è invece tornato come prima: lo stesso autore dice / galantuomini non potevano lavorare le proprie terre con le proprio mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini.

La situazione sembra essere peggiorata solo per i rivoltosi, che avevano cercato di proclamare la Libertà, cercandola però nel sangue, diventando a loro volta vittime della giustizia, subendo l'arresto e la prigione. Riguardo alla durata, ovvero al rapporto fra il tempo reale della vicenda e quello del racconto, il ritmo pare equiparare quello reale soprattutto durante la descrizione della rivoluzione, ma accelera bruscamente grazie soprattutto all’ellissi introdotta dell'espressione il processo durò tre anni.

Durante la narrazione, invece, si alternano discorso diretto e discorso indiretto. La descrizione della vicenda è estremamente accurata, grazie al notevole utilizzo che Verga fa di figure retoriche. Nel testo sono presenti ben dieci similitudini (biondo come l'oro, tremava come una foglia, avvicinandosi come la piena di un fiume...}, una metafora (carnevale furibondo - in riferimento alla ribellione del giorno prima) ed una sinestesia (caldura gialla}.

Durante la narrazione Verga adotta un punto di vista esplicitamente popolare (all'aria ci vanno i cenci è la conferma che a rimetterci è sempre fa povera gente), ma tutta la drammaticità che lascia trapelare dal racconto della rivolta/ esprime una certa disapprovazione per la crudeltà adottata dai contadini.

II realismo di Verga appare crudo, inquietante. In questa novella mette a nudo con le parole dei comportamenti che paiono giudicarsi da soli, esprimendo la tragedia del massacro dei galantuomini ma anche la miseria e l'odio che hanno spinto la povera gente a reagire in quel modo.

Questo racconto fa riflettere proprio per la sua verità, perché nella situazione finale è sempre la vita dei più deboli a peggiorare; avidità e crudeltà nascondono sempre l'ombra drammatica della fame.                    

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