Iliade, morte di Ettore (Libro XXII): trama, parafrasi e commento

Trama e parafrasi della morte di Ettore, il duello finale del libro XXII. Commento e confronto tra Ettore e Achille
Iliade, morte di Ettore (Libro XXII): trama, parafrasi e commento
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1Scontro tra Ettore e Achille: testo del libro XXII dell’Iliade

La morte di Ettore
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E quando furon vicini marciando uno sull’altro,
il grande Ettore elmo lucente parlò per primo ad Achille:   

<<Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora
corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo,
e non seppi sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge

a starti a fronte, debba io vincere o essere vinto.
Su invochiamo gli dèi: essi i migliori
testimoni saranno e custodi dei patti;
io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus
mi darà forza e riesco a strapparti la vita;
ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi,
renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così
>>.
E guardandolo bieco, Achille piede rapido disse:
<<Ettore, non mi parlare, maledetto, di patti:
come non v’è fida alleanza fra uomo e leone,
e lupo e agnello non han mai cuori concordi,
ma s’odiano senza riposo uno con l’altro,
così mai potrà darsi che ci amiamo io e te
; fra di noi
non saran patti, se prima uno, caduto,
non sazierà col sangue Ares, il guerriero indomabile.
Ogni bravura ricorda; ora sì che tu devi
esser perfetto con l’asta e audace a lottare!
Tu non hai via di scampo, ma Pallade Atena
t’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insieme
le sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta>>.    

Diceva, e l’asta scagliò, bilanciandola;
ma vistala prima, l’evitò Ettore illustre:
la vide, e si rannicchiò, sopra volò l’asta di bronzo
e s’infisse per terra; la strappò Pallade Atena
,
la rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti.
Ettore, allora, parlò al Pelide perfetto:
<<Fallito! Ma dunque tu non sapevi, Achille pari agli dèi,
no affatto, da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta
.
Facevi il bel parlatore, l’astuto a parole,
perché, atterrito, io scordassi il coraggio e la furia.
No, non nella schiena d’uno che fugge pianterai l’asta,
ma dritta in petto, mentre infurio, hai da spingerla,
se un dio ti dà modo. Evita intanto questa mia lancia
di bronzo: che tu possa portarla tutta intera nel corpo.
Ben più leggera sarebbe la guerra pei Teucri,
te morto: ché tu sei per loro l’angoscia più grande>>.
Diceva, e bilanciandola, scagliò l’asta ombra lunga;
e colse nel mezzo lo scudo d’Achille, non sbagliò il colpo;
ma l’asta rimbalzò dallo scudo; s’irritò Ettore,
che inutile il rapido dardo gli fosse fuggito di mano,
e si fermò avvilito, perché non aveva un’altr’asta di faggio;
chiamò gridando forte il bianco scudo Deifobo,    

chiedeva un’asta lunga: ma quello non gli era vicino.
Comprese allora Ettore in cuore e gridò:
<<Ahi! Davvero gli dèi mi chiamano a morte.
Credevo d’aver accanto il forte Deifobo:
ma è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno.
M’è accanto la mala morte, non è più lontana,
non è inevitabile ormai, e questo da tempo era caro
a Zeus e al figlio arciero di Zeus, che tante volte
m’han salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira.
Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò,
ma compiuto gran fatto, che anche i futuri lo sappiano>>.
Parlando così, sguainò la spada affilata,
che dietro il fianco pendeva, grande e pesante,
e si raccolse e scattò all’assalto, com’aquila alto volo,
che piomba sulla pianura traverso alle nuvole buie,
a rapir tenero agnello o lepre appiattato:
così all’assalto scattò Ettore, la spada acuta agitando.
Ma Achille pure balzò, di furia empì il cuore
selvaggio: parò davanti al petto lo scudo
bello, adorno, e squassava l’elmo lucente
a quattro ripari; volava intorno la bella chioma
d’oro, che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero.
Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte, 

Espero, l’astro più bello ch’è in cielo,
così lampeggiava la punta acuta, che Achille
scuoteva nella sua destra, meditando la morte d’Ettore
luminoso, cercando con gli occhi la bella pelle,
dove fosse più pervia. Tutta coprivan la pelle l’armi bronzee, bellissime,
ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;
là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle
dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.   

Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,
dritta corse la punta traverso al morbido collo;
però il faggio greve non gli tagliò la strozza,
così che poteva parlare, scambiando parole
.
Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:
<<Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia! Ma difensore di lui, e molto più forte,
io rimanevo sopra le concave navi,
io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei
>>.
Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:
<<Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,
non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani
degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,
i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:
rendi il mio corpo alla patria, perché del fuoco
diano parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri... >>
Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:
<<No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;
ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto:
nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,
nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto
mi pesassero qui, altro promettessero ancora;  

nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattarti
Priamo Dardanide, neanche così la nobile madre
piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito,
ma cani e uccelli tutto ti sbraneranno>>.
Rispose morendo Ettore elmo lucente:
<<Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevo
persuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro.
Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,
quel giorno che Paride e Febo Apollo con lui
t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee>>.
Mentre diceva così, l’avvolse la morte:
la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore
.
Rispose al morto il luminoso Achille:
<<Muori! La Chera io pure l’avrò, quando Zeus
vorrà compierla e gli altri numi immortali>>.   

2Morte di Ettore: parafrasi del Libro XXII dell’Iliade

E quando furono vicini marciando uno addosso all’altro, il grande Ettore dall’elmo lucente parlò per primo ad Achille: «Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come adesso ho fatto tre volte intorno alla grande rocca di Priamo e non ho saputo sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge a fronteggiarti, debba io vincere o essere vinto. Su invochiamo gli dèi: saranno loro i migliori testimoni e custodi dei patti. Io non intendo accanirmi sul tuo corpo sconciandoti, se Zeus mi darà forza e riuscirò a strapparti la vita; ma quando, Achille, ti avrò spogliato delle armi, renderò il tuo corpo ai Greci: e anche tu fa’ così». Guardandolo torvo, Achille dal piede veloce disse: «Ettore, maledetto, non mi parlare di patti: come non può esserci alleanza tra uomo e leone, o lupo e agnello non hanno mai cuori concordi, ma si odiano di continuo l’uno con l’altro, così mai potrà esserci accordo tra me e te; fra di noi non ci saranno patti, se prima uno, caduto, non sazierà col suo sangue Ares, guerriero indomabile. Ricorda ogni bravura: adesso sì che dovrai essere perfetto con la lancia e coraggioso nella lotta. Tu non ha via di scampo, ma Pallade Atena ti uccide con la mia lancia: pagherai in un solo momento tutte le sofferenze che hai inflitto ai miei, che hai ucciso infuriando con la lancia». Diceva così e scagliò la lancia dopo averla bilanciata; ma avendola vista prima, Ettore famoso riuscì a schivarla: la vide, e si rannicchiò, sopra di lui volò l’asta di bronzo e si conficcò per terra; la strappò da terra Pallade Atena, la restituì ad Achille, non vista da Ettore pastore di popoli. Ettore, allora, parlò al Pelide perfetto: «Hai mancato il colpo! Ebbene tu allora non sapevi davvero, Achille pari agli dei, no che non sapevi da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta. Come parlavi bene, astuto con le parole, perché, spaventato, io dimenticassi il coraggio e la furia. No, non pianterai la lancia nella schiena di uno che fugge, ma dritta nel petto, mentre combatto, dovrai spingerla se un dio te lo concederà. Evita intanto questa mia lancia di bronzo: che tu possa portarla intera nel corpo. Ben più leggera per i Troiani sarebbe la guerra, una volta che tu sia morto: tu sei infatti la più grande angoscia per loro». Diceva così e bilanciando l’asta dall’ombra lunga, la scagliò e colse nel mezzo lo scudo di Achille: non mancò il colpo; ma l’asta rimbalzò dallo scudo; si infuriò Ettore, per Ilf atto che avesse scoccato inutilmente il dardo e si fermò frustrato perché non aveva un’altra lancia di faggio; chiamò gridando a gran voce Deìfobo dal bianco scudo, chiedendogli un’asta lunga; ma quello non gli era vicino. Allora Ettore realizzò quel che sarebbe accaduto e gridò: «Ahimè davvero gli dei mi chiamano a morte. Credevo di avere accanto il forte Deifobo: ma è rimasto tra le mura, Atena mi ha teso un inganno. Vedo che mi è accanto la male morte, non più lontana, ormai inevitabile, e questo era caro a Zeus e al figlio arciere Apollo, che pure tante volte benigni mi hanno salvato. Ormai mi ha raggiunto la Moira. Ebbene, non senza lotta, non senza lottare morrò, ma avendo compiuto un’impresa che risuoni anche nei posteri». Parlando così, sguainò la spada affilata, che dietro il fianco pendeva, grande e pesante, e si raccolse e partì all’assalto, come un’aquila dall’alto volo che piomba sulla pianura sbucando tra le nuvole buie per rapire un tenero agnello o una lepre nascosta: così all’assalto scattò Ettore, brandendo la spada aguzza. Ma Achille pure balzò, riempiendo il cuore selvaggio di urla: parò lo scudo davanti al petto, bello, adorno, e scuoteva l’elmo lucente a quattro ripari: volava intorno la bella chioma d’oro, che fitta Efesto aveva lasciato fluire intorno al cimiero. Come la stella Espero – l’astro più bello che è in cielo – avanza fra gli astri nel cuore della notte, così lampeggiava la punta acuta che Achille scuoteva con la mano destra, intento a uccidere Ettore luminoso, cercando con gli occhi dove la sua bella pelle fosse più scoperta. Le armi di bronzo coprivano tutta la pelle, armi bellissime che aveva strappato a Patroclo, una volta ucciso: là sola appariva, dove le clavicole dividono le spalle tra la gola e il collo, punto in cui è più facile uccidere. Proprio qui Achille glorioso lo colse con la sua lancia mentre infuriava, asta che penetrò dritta attraverso il morbido collo. Tuttavia il faggio non gli recise le corde vocali, nella gola, in modo che potesse ancora parlare. Cadde riverso nella polvere: esultò il glorioso Achille: «Ettore, hai forse creduto che, mentre spogliavi Patroclo, saresti rimasto impunito? Non ti curavi di me, lontano, bestia, ma io restavo suo difensore, di lui molto più forte, restando sopra le navi ricurve, io che adesso ti ho tolto la vita. Tu ora sarai sbranato e sconciato da cani e uccelli, mentre lui sarà sepolto dai Greci». Gli rispose agonizzante, Ettore dall’elmo lucente: «Ti prego per la tua vita, la tua forza nelle gambe, per i tuoi genitori, non lasciare che vicino alle navi mi sbranino i cani dei Greci, ma accetta oro e bronzo in enorme misura, doni che ti daranno mio padre e mia madre: rendi il mio corpo alla patria, perché il mio corpo morto sia bruciato dai Troiani e dalle loro spose…». Ma guardandolo storto, Achille dal piede veloce gli rispose: «No, cane, non mi pregare, né per i ginocchi né per i genitori: perché la rabbia e il furore mi dovrebbero invece spingere a farti a pezzetti e a divorarti, tanto è il dolore che mi hai arrecato. Nessuno potrà tenere lontano le cagne dal tuo corpo, nemmeno se mi dessero dieci o venti volte un riscatto smisurato e ne promettessero altro ancora; nemmeno se verrà a riscattarti a peso d’oro Priamo figlio di Dardano, neanche così la nobile madre piangerà steso sul letto il figlio che generò; ma cani e uccelli ti sbraneranno». Rispose, morendo, Ettore dall’elmo lucente: «Vattene, ti conosco guardandoti: non potevo persuaderti, no di certo, perché hai nel petto un cuore di ferro. Stai attento, però, che io non sia la causa dell’ira degli dei, quel giorno che Paride e Febo Apollo insieme ti uccideranno, benché tu sia superbo eroe, sopra le porte Scee». Mentre diceva così, lo avvolse la morte: la vita volò via dal suo corpo e scese negli Inferi, lasciando la giovinezza e il vigore. Rispose al morto il luminoso Achille: «Muori! Anche io avrò la morte quando Zeus vorrà compierla o gli dei immortali». 

3Libro XXII dell’Iliade: trama

Achille trascina il corpo di Ettore
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Siamo ormai vicini alla conclusione del poema. Come dice Benedetto Croce, «Omero è tragico e non pessimista e desolato e disperato, perché quel che sempre sormonta nel suo sentire e lo conclude è l'idea della volontà eroica». Assistiamo, dunque, a una vera e propria tragedia. Lo scontro tra Ettore e Achille si fa inevitabile: sono loro i due campioni degli eserciti nemici ed è giusto che avvenga un duello mortale che è pure scontro di civiltà. Omero descrive di rado momenti di lotta collettiva, anche perché la tattica oplitica ancora non esisteva in quel tempo. Questo duello è il punto culminante tra tutti i duelli che avvengono nel poema.    

Ettore smette di fuggire e affronta Achille, che scaglia per primo la sua lancia e lo manca clamorosamente: questo fa credere all’eroe troiano che, forse, non è ancora giunta la sua ora. Risponde al colpo e, pur centrando lo scudo di Achille, forgiato da Efesto, non riesce a fare danno. Questo è il momento topico: Ettore chiede a Deifobo una nuova lancia, ma Deifobo non c’è: la sua presenza era solo un inganno della dea Atena, che protegge Achille.    

Tutto allora è chiaro. Sono gli dei a volere la sua morte. Nonostante questo, si abbatte contro Achille con la spada sguainata, ma Achille riesce a trafiggerlo per primo, vicino alla gola. Achille esulta, sfoga la sua rabbia immensa, ma Ettore spera e chiede di poter essere onorato. Ma Achille è sordo a qualunque richiesta, anche alla profezia di morte che Ettore gli confida morendo.

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4Libro XXII Iliade: analisi e personaggi

Il grande critico Auerbach spiega come mai nell’irrompere di un duello mortale, gli eroi si affrontino sempre prima con le parole e poi con le armi: sono due piani diversi di una lotta totale e il rallentamento della tensione e in verità un espediente che Omero usa per prolungare la tensione stessa. Non solo. È importante conoscere i pensieri più segreti, come la rabbia, lo sconforto, il tripudio, la speranza. E tutto avviene con ordine, senza fretta, con una calma che disegna la scena in modo assolutamente nitido. Dice Auerbach: 

«Gli uomini d’Omero manifestano il loro intimo senza nulla tralasciare, e anche l’espressione delle passioni ha un suo ordine: quello che non dicono agli altri, lo dicono nel proprio cuore, sicché il lettore venga a conoscerlo. Nei poemi omerici accadono molte cose orribili, ma accadono raramente senza che le bocche parlino (…) Ettore e Achille parlano a lungo prima della battaglia e dopo, e nessun discorso è così affannoso da mancare dell’articolazione logica e linguistica o da cadere nel disordinato» (E. Auerbach, La cicatrice di Ulisse, Mimesis I, p. 7). 

Anche le similitudini, in questo passo, giocano lo stesso ruolo, cioè quello di portare alla luce. Sono sempre prese dal mondo della natura, ad esempio Ettore che assomiglia a un’aquila mentre caccia una lepre. Oppure Achille, il quale è come una stella che irrompe nella notte. Mentre Ettore nella notte di morte sprofonda per volontà di un destino superiore, che deve accettare. In questo passo si compie la vendetta di Achille nei riguardi di Ettore ed è una vendetta spietata.   

Ettore, tuttavia, con la sua umanità si consacra eroe vero, che sa affrontare la paura, che comprende la tragedia dell’onore e dell’etica guerriera. È uno sconfitto e come tale chiama il lettore a partecipare della sua vicenda. Questo gesto resta impresso nella memoria collettiva: pensiamo anche al finale del carme Dei sepolcri di Foscolo che si chiude proprio con l’immagine di Omero – un cieco mendicante – che rende immortale il triste destino di Ettore. Non di Achille.   

Perché Ettore è il simbolo stesso di Troia e, addirittura, è possibile vedere in questo personaggio un anticipo del sacrificio cristiano: Gesù si sacrifica per la salvezza del mondo, così come Ettore si sacrifica per la salvezza di Troia. Questo sacrificio, proprio perché inutile, rende la morte di Ettore piena di senso tragico.  

Achille, invece, in tutta l’Iliade appare sempre eccessivo, mai misurato: lo è nell’ira verso Agamennone, nel lutto per Patroclo, nell’ira e nella vendetta verso Ettore. È disumano, un semidio appunto, che affascina ma al tempo stesso appare distante dalla condizione degli altri guerrieri.  

Achille è puro vitalismo, abbandono al pathos della vita, ma il suo scudo è un simbolo del mondo che procede verso l’ordine, per cui anche se 

«intorno ad Achille è il macabro regno della morte, è la desolazione, la rovina, ma sullo scudo di lui freme e tripudia la vita. Dal metallo che dovrebbe aiutare il Pelide in un’opera spietata contro altri effimeri, si sprigiona e s’innalza giocondo e festante l’inno ad una umanità umilmente e lietamente raccolta nel lavoro, e armoniosamente rivolta a un vivere ordinato e civile» (C. Salanitro, Saggi di letteratura classica, p. 20). 

Questo amore per la vita e per l’ordine, per le semplici cose care, come banchetti, amori, battute di caccia e armonia diventa ancora più tragico nel momento del massimo disordine in cui versano Greci e Troiani

5Guarda il video sull'Iliade di Omero