Canto 1 Inferno: parafrasi

Il primo canto della Divina commedia di Dante Alighieri: parafrasi completa del canto 1 dell'Inferno (2 pagine formato doc)

Appunto di polstrade

CANTO 1 INFERNO: PARAFRASI

Parafrasi del canto 1° della Divina Commedia.

Ma appena giunsi ai piedi di un colle, là dove terminava quella valle che mi aveva oppresso il cuore di paura, guardai in alto e vidi le sue pedici già illuminate dai raggi del sole che conduce l’uomo sulla retta via ovunque si trovi. Allora si placò un po’ di quella paura che avevo accumulata nel profondo del cuore per tutto quel tempo buio che io vissi con tanta angoscia.
E come colui (il naufrago) che uscito con il respiro affannoso dal mare sulla riva, si volge e guarda quell’acqua pericolosa, così il mio animo, che ancora fuggiva, si volse indietro a guardare quella selva da cui nessuno era mai uscito vivo. Dopo che ebbi riposato un poco il corpo stanco, ripresi il cammino in quel luogo solitario e il mio piede fermo era quello che stava più in basso. Ed ecco quasi all’inizio della salita una Lonza agile e molto veloce, ricoperta da un pelo macchiettato; e non mi si toglieva davanti il volto, anzi impediva tanto il mio cammino, che più volte stetti per tornare indietro, dopo essermi girato. Era il primo mattino e il sole affacciava nel cielo quelle stelle che già erano accanto a lui quando Dio, per amore, diede la prima spinta (nell’atto della creazione) a quei bei corpi celesti; così che mi inducevano a sperare in bene, riguardo a quella fiera della pelle maculata, l’ora mattutina e la stagione primaverile; ma non del tutto perché mi rinnovò la paura la vista di un Leone.

Inferno canto 1: riassunto e analisi


PARAFRASI DIVINA COMMEDIA INFERNO

Questo sembrava che venisse contro di me, con la testa alta e con fame rabbiosa si che anche l’area pareva che ne avesse paura. Ed una Lupa, che nella sua magrezza sembrava carica di tutti gli appetiti e condusse a vita dura interi popoli, questa mi causò tale sgomento, con la paura che si sprigionava con la sua presenza ch’io persi la speranza di salire e come colui che accumula sempre maggiore ricchezza (l’avaro), se giunge il momento in cui perde tutto piange e si angustia in tutti i suoi pensieri così mi ridusse quella fiera inquieta, che venendomi incontro a poco a poco mi sospingeva di nuovo dove il sole non giunge. Mentre io precipitavo verso il basso mi apparve dinanzi agli occhi chi per un lungo silenzio appariva evanescente. Quando vidi costui, in quel luogo solitario abbi pietà di me gli gridai chiunque tu sia spirito o uomo reale!

Mi rispose: non sono uomo ma lo fui; i miei genitori furono lombardi entrambi di Mantova. Nacqui al tempo di Giulio Cesare ma nell’ultimo suo periodo e vissi a Roma sotto il grande Augusto al tempo dei falsi dei pagani fui poeta e cantai la storia di quel giusto figlio di Anchise (Enea) che fuggi da Troia quando la superba Ilio fu’ incendiata. Ma tu perché ritorni verso tanta angoscia? Perché non sali gioiso colle che è origine e causa di ogni beatitudine? Oh tu sei dunque quel Virgilio che sei sorgente che scaturisce tanto largo fiume di consensi? Risposi con atteggiamento di umiltà. Tu che sei vanto ed esempio degli altri poeti, mi giovino il lungo studio e il grande amore che mi hanno fatto prediligere la tua opera.