Niccolò Machiavelli, biografia e opere

Niccolò Machiavelli: vita, pensiero e opere del filosofo e storico noto soprattutto per il suo trattato di dottrina politica, Il Principe

Niccolò Machiavelli, biografia e opere
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Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli
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Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da un famiglia modesta e di buona cultura: il padre Berardo era un uomo di legge, possessore di una biblioteca e autore de I Ricordi famigliari; la madre Bartolomea era autrice di rime sacre.

Machiavelli ebbe un’educazione umanistica, ma non apprese il greco. Un documento importante per capire la sua formazione è il De rerum natura di Lucrezio che testimonia il suo interesse all’epicureismo, cultura avversa alla religiosità del tempo di Savonarola. Il suo indirizzo è laico.

Nel 1498 concorse alla segreteria della seconda cancelleria del Comune, ma non ottenne il posto finché non morì il candidato del partito savonaroliano che lo aveva superato in graduatoria. In seguito divenne segretario della magistratura dei “Dieci di libertà e pace”.

Le vicende politiche

Aveva molte responsabilità sulle decisioni di politica estera e interna, missioni diplomatiche e una fitta rete di corrispondenze, così ebbe una grande esperienza diretta della realtà politica e militare.

Nel 1499 a Pisa riconquistò la città ribelle, nel 1500 considerò la monarchia di Luigi XII un modello da seguire. Nel 1502 compì una missione presso Cesare Borgia, duca Valentino, che con l’appoggio del padre, Papa Alessandro VI, aveva conquistato Urbino. Egli restò colpito da Cesare tanto da citarlo come modello nel Principe: vide la sua capacità politica nel 1503, quando spietatamente uccise i partecipanti di una congiura contro di lui. Colpito, stese una relazione dal titolo Del modo tenuto dal duca Valentino per ammazzare Vitellozzo Vitelli.

Nello stesso anno morì Alessandro VI: successivamente avverrà la caduta di Cesare. Intanto Machiavelli scrisse una cronaca delle vicende italiane tra il 1494 e 1504: Decennale primo, dove esponeva la necessità di evitare le milizie mercenarie. Nel 1507 compì un missione in Tirolo con l’amico Francesco Vettori e ammirò la compattezza dell’esercito germanico e scrisse Rapporto delle cose della Magna.

Nel 1511 ci fu lo scontro tra Francia, alleata di Firenze, e la Lega Santa del Papa. I Francesi furono sconfitti così anche i Fiorentini e Machiavelli dopo il ritorno dei Medici fu licenziato. Nel 1513 fu accusato di aver preso parte di una congiura e fu torturato e imprigionato, liberato in seguito grazie alla venuta del Papa Leone X.

Le opere più importanti

Si dedicò agli studi ad Albergaccio, mantenne però i contatti con la vita politica grazie all’amico Vettori. In questo periodo scrisse il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e la commedia Mandragola. Tentò un riavvicinamento alla politica tramite i Medici, dedicando a Lorenzo il Principe, e tramite un gruppo di aristocratici che si riuniva nel giardini del palazzo Rucellai, a due di essi Buondelmonti e Cosimo Rucellai dedicò i Discorsi. Morto Lorenzo, salì al potere Giulio (che divenne poi Papa Clemente VII) che lo incaricò di scrivere la storia di Firenze, ottenne poi incarichi in collaborazione con Guicciardini. Nel 1527 si instaura la Repubblica è per il suo riavvicinamento ai Medici, Machiavelli fu emarginato.

Morì improvvisamente il 24 giugno 1527.

Tutte le opere di Machiavelli

Niccolò Machiavelli fu uno scrittore molto prolifico. Ecco le opere più principali dell’autore fiorentino.

L’Epistolario

Le lettere ad amici e parenti sono scritte in vista di una pubblicazione (come in Petrarca) anche se scritte con grande immediatezza. Si alternano argomenti e toni vari: riflessioni politiche, analisi sui problemi contemporanei, scherzi e motti in tono beffardo. Egli è consapevole di questa varietà tonale e la giustifica in una lettera a Francesco Vettori (imitata la natura che è varia). Tra le lettere spiccano quelle a Vettori dopo la perdita degli incarichi politici che sono riflessioni e spunti autobiografici. Famosa è quella del 10 dicembre 1513, dove descrive le sue future occupazioni durante il giorno. Ricordiamo Ghiribizzi al Sodernini, epistola indirizzata a un gonfaloniere, contiene alcuni punti fondamentali del suo pensiero.

Gli scritti politici del periodi della Segreteria (1498-1512)

Tra gli scritti politici distinguiamo quelli ufficiali, le Legazioni e commissarie, relazioni inviate al governo fiorentino, da esse si può cogliere il pensiero di Machiavelli, con i suoi schemi di analisi delle situazioni storiche e l’affermazione del principio dell’esperienza come fonte di conoscenza. I più interessanti sono quelli riguardanti i momenti salienti della politica del tempo, come la missione presso Cesare Borgia e Luigi XII. 

Ci sono giunti anche nel periodo della cancelleria altri brevi scritti, quelli meno ufficiali, che davano suggerimenti al governo: Discorso sopra le cose di Pisa, suggeriva di sottomettere la città; Del modo di trattare la Valdichiana ribellata, per cui consiglia di prendere decisioni radicali e non compromessi; Parole da dire sopra la provvisione del danaio, sostiene che la fortezza dello stato sono le armi. Troviamo anche il racconto della strage di Cesare Borgia contro i suoi congiuranti, Del modo tenuto dal duca Valentino per ammazzare Vitellozzo Vitelli. Raccolse poi le riflessioni delle sue missioni in Francia e in Germania (Ritratto della Francia e Rapporto delle cose della Magna), in cui prende come esempio la Francia e critica la Germania debole e disunita.

Il Principe

Il 10 dicembre 1513, in esilio in Albergaccio, compose un opuscolo De Principatibus, dove trattava cosa fosse un principato. Ci sono alcuni problemi di datazione, quando sia stato composto e se unitariamente o in fasi diverse e i rapporti che lo legano ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Si colloca la composizione tra luglio e dicembre 1513 in un'unica stesura, posteriormente ci fu la dedica a Lorenzo (1516).

La stesura di quest’opera è stata interrotta, per la composizione del Principe, nel punto in cui si parlava della decadenza degli Stati e dei rimedi. Qui infatti si inserisce il Principe, che dà una soluzione a tali problemi. La dedica ai Medici testimonia un tentativo di avvicinamento e di collaborazione. Il trattato non fu stampato e circolò in una cerchia ristretta, fu pubblicato postumo nel 1532, dando molto scalpore.

Pur essendo un'opera rivoluzionaria nel pensiero, si collega alla tradizione della trattatistica politica, anche nel medioevo erano diffusi trattati politici chiamati specula princeps, in quanto dovevano fornire al principe lo specchio in cui riflettersi.

Se da un lato il Principe di Machiavelli si riallaccia a questa tradizione, da un altro lo rovescia: mentre i trattati davano un’immagine ideale, egli proclama di voler guardare alla verità effettuale della cosa, propone al principe i mezzi per il mantenimento dello Stato, consigliandogli anche la crudeltà e la menzogna quando le esigenze lo impongono.

L’opera ha radici anche nei promemoria che venivano inviati al principe. Con il ritorno dei Medici il genere aveva ricevuto uno stimolo. Il Principe è un trattatello breve di 26 capitoli, in forma concisa e incalzante e densa di pensiero. La materia è divisa in diverse sezioni: capitoli 1-9 esaminano i vari tipi di principato e i mezzi per conquistarlo, distingue quelli ereditari (2) e nuovi (3) che possono essere misti (aggiunti come membri allo stato ereditario) o nuovi del tutto (4 e 5), conquistati con le proprie armi (6) o grazie alla fortuna (7), ancora conquistati con scelleratezza (8) e qui distingue la crudeltà bene e male usata (la prima è per necessità, la seconda cresce col tempo per vantaggio del tiranno).

Nel capitolo 9 tratta del principato civile, dove i poteri vengono conferiti dai cittadini; nel 10 esamina la misurazione della forza dei principati. I capitoli 12-14 sono dedicati al problema delle milizie, giudicando negativamente quelle mercenarie che combattono per denaro e che sono causa della debolezza dello Stato. I 15-23 trattano i modi di comportarsi del principe con sudditi e amici, Machiavelli invece che consigliare virtù, va dietro alla verità effettuale della cosa perché gli uomini sono malvagi e il principe deve imparare ad essere non buono, guardando al fine. Il 24 esamina le causa della perdita di alcuni stati, l’ignavia. Il 25 il rapporto tra virtù e fortuna. Il 26 è un’esortazione al principe a liberare l’Italia dai barbari.

Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

Il nucleo dell’opera sono le carte liviane, appunti sulle riflessioni politiche suggerite dalla Storia di Livio. Nel 1517 riprese quelle annotazioni e vi antepose alcuni capitoli sulle repubbliche. I Discorsi sono dedicati agli amici Buondelmonti e Cosimo Rucellai, esponenti del gruppo degli Orti Oricellai. L’opera fu divisa in tre libri ognuno con una precisa tematica, il I sulla politica interna di Roma, il II sulla politica estera e il III sulle azioni dei cittadini. I temi si intersecano tra libro e libro liberamente.

Machiavelli ritiene che la storia dia esempi validi in ogni tempo, così crede che quella romana suggerisca riflessione sui problemi politici dell’Italia presente. Anche essi furono stampati postumi nel 1531. Se Il Principe è ricondotto a un genere rinascimentale della trattatistica umanistica, i Discorsi non hanno un genere preciso, non ha la struttura del trattato, ma è una serie di riflessioni.

Il tono del Principe è incalzante, mentre i Discorsi sono divanganti. Nel Principe si celebrano le virtù del principe, nei Discorsi si notano simpatie repubblicane, indicano infatti che la repubblica è la forma di governo migliore. La spiegazione dell’oscillazione del pensiero machiavelliano è che il suo orientamento è repubblicano ma sotto l’urgenza bisogna ricorrere all’autorità di un principe.

Se il principato era necessario inizialmente in futuro occorreva la Repubblica ispirata al modello della Roma antica. Il Principe deve incidere e fornisce strumenti concreti, mentre i Discorsi servono alla riflessione.

L'arte della guerra e le opere storiche

Nell’Arte della guerra Machiavelli riprende i temi militari che lo interessavano. L’opera fu scritta nel 1519 e pubblicata nel 1521 a Firenze, la forma è quella trattatistica rinascimentale con la tecnica del dialogo, ambientata negli Orti Oricellai; gli interlocutori sono i membri del cenacolo di intellettuali: Buondelmonti, Cosimo Rucellai. Il personaggio fondamentale è Colonna, che è portavoce delle idee dell’autore. L’argomento è la polemica contro le milizie mercenarie, causa della debolezza dello Stato: esso infatti deve utilizzare armi proprie.

Ai temi politici si intrecciano quelli militari: egli ricorre al modello degli antichi romani e delle loro istituzioni militari. Nel ’19 riceve l’incarico da papa Clemente VII di scrivere una storia di Firenze, Istorie fiorentine, in lingua volgare divisa in 8 libri, stampata postuma. Non segue gli schemi storiografici infatti si sofferma sulla storia interna di Firenze. Risale al passato, ma guarda al presente troviamo un grande interesse politico, compare la polemica contro i principi. L’opera anche se commissionata dai Medici non è una celebrazione cortigiana. Per conservare l’indipendenza di giudizio ricorre alla tecnica dei discorsi fittizi tra personaggi passati. Prende notizie dalle storiografie precedenti, spesso deforma i fatti per farli combaciare con le sue tesi. La Vita di Castruccio Castracani è un opera storica di carattere letterario, parla di un condottiero lucchese assunto come figura ideale di principe. Il modello è la biografia classica degli uomini illustri.

Le opere letterarie

Niccolò Machiavelli teneva ad essere considerato poeta: riprende la tradizione fiorentina, con rime burlesche e canti carnascialeschi. Il Decennale testimonia il legame con il comico carnevalesco, scritto nel 1504, che ripercorre la storia fiorentina, la caduta dei medici e i crollo dei Savonarola, e riprende il modello della Commedia dantesca.

Nel 1514 scrive il Decennale Secondo, che tratta del decennio successivo, ma rimane interrotto. Scrive 4 Capitoli in terzine, trattanti l’ingratitudine, l’occasione, la fortuna e l’ambizione. L’Asino è un poemetto in terzine, rimasto incompiuto, che riprende il mito di Circe e si rifà ad Apuleio, narrando in prima persona su un processo di iniziazione che lo porta tra gli animali di Circe che rappresentano i vari tipi di uomini. L’opera si collega al rovesciamento paradossale celebrando la superiorità degli uomini.

L’unico testo che ci è giunto è Belfagor arcidiavolo, che narra di un diavolo che scende sulla terra per verificare se le mogli siano peggiori delle pene infernali; Belfagor si sposa e viene rovinato dalla moglie, poi viene salvato da un contadino che però inganna, ma quello lo minaccia di farlo ritornare con la moglie e ha la meglio.

Il testo più importante è La Mandragola, del 1518, che riflette lo stato d’animo risentito per l’allontanamento dalla politica. L’intreccio si svolge a Firenze e racconta un amore contrastato (tra Callimaco e Lucrezia) che si risolve felicemente grazie a un parassita (Ligurio).

La Mandragola ha come modello la commedia latina e Boccaccio. La comicità è amara, i temi sono l’astuzia e l’inganno. Da un lato polemizza contro la corruzione della società e dall’altro celebra la virtù dei personaggi che arrivano al proprio fine. La Clizia è un’altra commedia, ispirata alla Casina di Plauto: tratta di Nicomaco, vecchio innamorato di una serva che viene beffato dalla moglie. Ritroviamo uno spunto autobiografico: ironizza sul suo amore per la cantante Barbare Salutati.

Il pensiero di Niccolò Machiavelli

Le concezioni politiche di Machiavelli scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica. Il suo pensiero è una fusione tra teoria, elaborazione del progetto politico, e prassi, esperienza dell’azione politica desunta dalla realtà. Alla base della riflessione vi è la coscienza della crisi contemporanea:

  • crisi politica, perché l’Italia pare frammentata in Stati deboli e instabili;
  • crisi militare, per via delle milizie mercenarie;
  • crisi morale, perché sono scomparsi quei valori fondamentali per un vivere civile (patriottismo, eroismo, sacrificio).

Perciò gli Stati sono prossimi a perdere la loro indipendenza, l’unica soluzione è un principe dalla straordinaria virtù, a questo motivo è indirizzata l’opera che si riempie di passionalità. Da questa situazione particolare Machiavelli elabora una teoria universale, fondata su leggi valide sempre e dovunque.

Il metodo della scienza politica

Machiavelli è il fondatore della moderna scienza politica. Egli delimita il campo di tale scienza distinguendolo da quello di altre scienze, come l’etica. La teoria politica nel medioevo era subordinata all’etica, era giudicato positivamente il principe che agiva secondo l’etica (es. specula principis). Machiavelli rivendica l’autonomia della politica, in quanto essa possiede precise leggi e l’agire di un principe è valutato secondo tali leggi. In altre parole, esso deve essere in grado di garantire il bene dei cittadini che è il suo fine. Ogni altro criterio giusto, crudele, non è valutazione politica. Ciò è una teoria di sconvolgente novità, poiché mette in luce ciò che realmente avviene in politica, affrontando la verità effettuale delle cose e scrivendo un’opera utile a chi la intende.

Oltre al campo, Machiavelli delinea anche il metodo, ovvero parte dall’indagine sulla realtà concreta, mai da assiomi universali e astratti, e mettendo insieme le varie esperienze giunge ai principi generali. Nel Principe e nei Discorsi ricorre a massime universali: da ciò sembra che il suo pensiero sia deduttivo (dall’universale al particolare), ma invece parte dall’osservazione della realtà.

L’esperienza può essere: esperienza delle cose moderne è diretta e ricavata dalla partecipazione personale, o lezione delle antique, ricavata dalla lettura dei classici. Per questo modo di accostarsi alla storia ha una conoscenza naturalistica, poiché è convinto che l’uomo sia un fenomeno della natura e che i suoi comportamenti non varino nel tempo. Dal momento che secondo Machiavelli studiando la storia si arriva alle leggi universali, troviamo molti esempi storici nell’opera.

Machiavelli ripropone così il principio dell’imitazione: da una visione naturalistica nasce la teoria dell’agire politico, per cui i fatti politici rispondono a precise leggi.

Le leggi dell'agire politico secondo Machiavelli

Machiavelli ha una visione pessimistica dell’uomo: per lui gli uomini sono malvagi, non importa se per natura o in conseguenza a qualche peccato originale. In un passo del Principe, Machiavelli afferma che dimenticano prima la morte del padre che la perdita del patrimonio. Dovendo agire fra tanti non buoni, il Principe non può essere buono, perché andrebbe in rovina: egli deve essere umano oppure feroce. Per questo Machiavelli propone l’immagine del centauro, mezzo uomo e mezza bestia.

Machiavelli non è diabolico consigliere come spesso si è voluto far credere nel teatro elisabettiano fino ai romanzi gotici (tuttora per machiavellico si intende ingannevole). Comportamenti malvagi per la morali sono giusti per la politica: è il caso dell’uccisione dei nemici, ad esempio.

Machiavelli non fonda una nuova morale, ma individua giudizi che sono regolati secondo i criteri dell’utile e del danno politico. Si dice che il suo pensiero si riassuma nella frase il fine giustifica i mezzi, ma è inesatto, perché Machiavelli non giustifica, constata solo che certi comportamenti servono per mantenere lo Stato.

Egli distingue inoltre tra tiranno e principe: il primo opera a suo vantaggio ed è crudele senza necessità, il secondo lo è per la necessità dello Stato.

Lo Stato e il bene comune

Lo stato costituisce un rimedio alla malvagità dell’uomo: essa può essere ordinata nella repubblica, il cui fine è la cosa pubblica: la durezza del principe deve avere per fine questo bene pubblico. Sono indispensabili perciò patriottismo, solidarietà e onestà, ma gli uomini non essendo buoni hanno anche bisogno di precise istituzioni: la religione, le leggi, le milizie.

Machiavelli non è interessato alla religione concettualmente, ma solo in quanto strumento di governo: essa infatti obbliga al rispetto reciproco, o almeno questa era la sua funzione per i Romani, oltre che indurre al coraggio. Nei Discorsi Machiavelli rimprovera la religione di aver indotto gli uomini alla mitezza.

Le milizie sono invece il fondamento dello Stato e devono essere composte da cittadini fedeli alla loro patria: ciò rinsalderebbe i legami fra cittadini e patria. La forma di governo migliore è la repubblica e il principato è un’eccezione provvisoria; la repubblica non si basa sulle doti di uno solo ma su istituzioni stabile, questa è la sua forza.

Niccolò Machiavelli: pensiero filosofico

Il pensiero filosofico di Machiavelli si snoda lungo alcune direttrici. Ecco i temi principali.

Virtù e fortuna

Machiavelli ha due concezioni di virtù: quella eccezionale del singolo e quella del buon cittadino. Ha inoltre una visione eroica dell’agire umano: ha fiducia nella forza dell’uomo ma sa che ha precisi limiti che non dipendono dalla sua volontà ma dalla fortuna (come in Boccaccio). Egli ritiene che l’uomo possa fronteggiare la fortuna, essa infatti è arbitra solo della metà delle cose umane e lascia regolare l’altra metà agli uomini.

Vi sono vari modi, secondo Machiavelli, per combattere la fortuna:

  1. cogliendo l’occasione: il politico deve trovare l’occasione adatta e approfittarne;
  2. avendo la capacità di porre riparo, cioè prevedere possibili rovesci e predisporre i ripari. La virtù è un complesso di varie qualità: la perfetta conoscenza delle leggi politiche ricavate dall’esperienza o dalle lezioni antiche, la capacità di applicarle e la decisione nel metterle in pratica. La virtù è una sintesi di doti intellettuali e pratiche;
  3. adattandosi alle situazioni: in certi casi si deve avere la forza di un leone e in altri l’astuzia della volpe. Troviamo però un pessimismo in quanto questo duttilità non si ritrova quasi mai negli uomini, perché se hanno avuto sempre buon esito comportandosi in un certo modo difficilmente sanno adattarsi diversamente. Egli reintroduce la casualità che sfugge al controllo dell’uomo.

Realismo scientifico

Il sistema logico della politica di Machiavelli è un vero sistema scientifico, la cui origine è data dall’urgenza di una soluzione pratica che da lo stimolo alla formazione del pensiero scientifico, che induce ad aderire alla verità effettuale introducendo pure una componente passionale. In lui l’impeto eroico gli da lo slancio volontaristico, non fermandosi al puro calcolo scientifico.

Nell’ultimo capitolo del Principe la situazione disperata dell’Italia diviene la situazione ideale per un principe di mettere in atto le sue capacità; il popolo aspetta il suo messia. In questo capitolo, all’analisi scientifica si sostituisce un atteggiamento profetico e passionale. La sfasatura tra l’utopia di un principe e la verità effettuale mette in luce una profonda sfasature tra il pensiero machiavelliano e il contesto storico: egli costruisce le basi per uno Stato moderno ma le condizioni per ciò non esistevano più in Italia.

La lingua e lo stile di Machiavelli

In Machiavelli troviamo uno stile originale: egli rifiuta lo stile aulico ciceroniano del genere trattatistico rinascimentale. Questa scelta deriva dal rapporto che l’opera vuole avere con la realtà: per incidere sul reale non servono ornamentazioni, ma occorre una prosa chiara e immediata. Lo stile è secco e conciso, il periodare è energico e incalzante, il lessico è libero e vario, dove si mescolano latinismi e parole comuni. Una funzione essenziale è data dai paragoni e dalle metafore.

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