Analisi del testo de L'assiuolo di Giovanni Pascoli

L'assiuolo: analisi del testo e commento di una delle liriche più famose di Giovanni Pascoli, dedicata all'uccello rapace simile alla civetta

Analisi del testo de L'assiuolo di Giovanni Pascoli
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L'ASSIUOLO

L'assiuolo è un componimento peotico di Giovanni Pascoli
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Questa lirica di Giovanni Pascoli è una delle più famose e più emblematiche della raccolta Myricae.

L’assiuolo è un uccello rapace per certi versi simile alla civetta, il cui verso si sente lugubre, nelle notti di luna. Secondo la credenza popolare quel suono è un annuncio di disgrazia e di morte.

L’inizio non è mai drammatico: la notte è chiara, bella e incantevole. Ma in questa notte incantevole il poeta ode venire dai campi la voce di questo assiuolo, che più passa il tempo più diventa “voce, singulto, pianto”, come descrive la climax ascendente che il poeta utilizza.

Anche il cuore sembra trovare in quella voce l’eco della sua angoscia misteriosa e di questo sentimento di morte. Questa è una lirica estremamente musicale, ricca di armonia e di melodia. Ogni strofa si conclude con quel chiù che ha grande valore simbolico, e va letto ogni volta con un tono diverso di voce.

Il motivo conduttore della lirica, ricchissima di suoni onomatopeici, è il verso dell’assiuolo, voce desolata che emana tristezza. Il linguaggio usato è fortemente connotativo. Non solo trasmette informazioni precise ma suscita suggestioni, allusioni, il senso del mistero, dell’angoscia, dello sgomento.

Nell'apertura della lirica si racconta di un notturno di un momento particolare della notte, perché il poeta apre con un’interrogativo: probabilmente questa luna non si vedeva. Il notturno ormai sta avviandosi verso l’alba.

Tutta la lirica è attraversata da un linguaggio ricco di figure retoriche, di onomatopee, di fonosimbolismo.

L'ASSIUOLO, COMMENTO

Due sono i sentimenti dominanti nella lirica: da un lato l’estasi di fronte ad un paesaggio, notte meravigliosa, cielo chiaro quasi come l’alba, al punto che persino gli alberi sembrano stupiti.

Il canto è reso ancora più intenso dalla melodia del mare, sonnolento. Si odono misteriosi fruscii tra le fratte che sembrano quasi accarezzare l’anima e cullarla in un sogno.

Come sempre a questo sentimento di estasi iniziale subentra l’angoscia. Perché c’è qualcosa che turba quella pace: non il guizzo dei lampi, non le nuvole nel cielo lontano, ma una voce che si sente nei campi.

In un primo momento il poeta nota questa voce ma in maniera distratta, ma poi ha come un sussulto perché il cuore ricorda un’antica sofferenza.

La voce dell’uccello notturno pare la voce stessa del suo cuore, angosciato. Da quel momento in poi le cose intorno cambiano aspetto, ed ecco che nuovamente il poeta percepisce più distintamente il verso dell’assiuolo, così somigliante al singhiozzo, pianto di morte.

Tutto è reso attraverso i sensi.

La prima strofa potremmo definirla descrittiva, con un paesaggio lunare molto sfumato.

Il paesaggio nella seconda strofa ha un corrispettivo nel cuore del poeta, perché in quel chiarore vede qualche stella, qualche fruscio tra i cespugli e queste voci arcane della natura suggeriscono al poeta o disdegnano del poeta qualcosa di doloroso presente in lui.

Nella terza strofa dominano il mistero e l’angoscia. Mentre il vento sembra accarezzare le chiome degli alberi, si ode il tintinnio delle ali delle cavallette, suonano forse alla porta del mistero? E di nuovo mentre pensa ciò si risente la voce dell’assiuolo, triste come un pianto di morte.

Questa strofa ha esclusivamente valore simbolico. È l’ignoto che riempie d’angoscia il cuore.

Quando Pascoli parla della luna crea quasi un senso di mistero e di attesa, e sceglie parole che appartengono allo stesso campo semantico del cielo: “cielo, alba, lampi, nubi, nebbia, vento, nero di nubi”. Però quando usa frufru, singulto, tremava un sospiro, squassavano, i tintinni a invisibili porte… ripete il suono squillante della i è come se fosse un eco misterioso che rimbomba.

Pascoli usa un linguaggio analogico, giocato sull’accostamento di immagini, ottenuto e trasformando gli aggettivi in sostantivi (alba di perla, soffi di lampi, nero di nubi, nebbia di latte, sospiro di vento). Ecco la grandezza di Pascoli: creare espressioni nuove, musicali, utilizzando la sinestesia.

In questo caso il titolo ha un ruolo informativo, perché permette l’acquisizione d’informazioni riguardanti il contenuto del testo poetico. Infatti, se il nostro poeta non avesse intitolato la poesia “l’assiuolo” non saremmo stati in grado di comprendere la voce che proviene dai campi: “chiù”.

L'ASSIUOLO, STILE E FIGURE RETORICHE

La prima strofa inizia con una domanda: Dov’era la luna?,  giustificata dal fatto che il cielo è quasi immerso nella luce perlacea e le piante, alle quali vengono attribuite peculiarità umane, si rizzano per vedere la luna. Siamo nel momento che precede l’alba e già inizia a diffondersi il lamento stridulo dell’assiuolo che, gradualmente, diviene un singhiozzo premonitore di morte e arriva a trasformarsi, nella terza ed ultima strofa, in un pianto desolato, di morte, capace di angosciare il poeta, il quale è solo col suo dolore, in un universo immenso. È come se l’assiuolo fosse il poeta stesso.

Le tre strofe della poesia mostrano un crescendo di pathos e partono tutte presentandoci immagini di luce, concludendosi poi con immagini di segno diametralmente opposto.

La lirica è caratterizzata dal fonosimbolismo, un procedimento linguistico tipico di Pascoli, che ricerca gli effetti sonori nelle parole per trasmettere dei significati ulteriori. C'è un forte ricorso alle onomatopee che, in questa lirica, acquistano una rilevanza particolare. L’onomatopea con la quale si concludono tutte le strofe (chiù) altro non è che il fonosimbolo della morte, il suono attraverso il quale i morti comunicano coi vivi.

Seguendo il richiamo del chiù l’io del poeta riesce a comunicare coi morti. La voce degli uccelli in Pascoli, infatti, serve spesso per consegnare un messaggio pieno di significati simbolici. Gli uccelli notturni fungono da intermediari fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

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L’onomatopea tintinni, invece, richiama il «tintinnio segreto» di cui Pascoli parla nel Fanciullino.

Nella terza strofa, come nella prima, Pascoli ci pone di fronte ad un interrogativo, e ci invita a riflettere sulla possibilità che le porte della morte rimangano chiuse per sempre, non permettendo la resurrezione e il ritorno dei propri cari defunti ed anche impedendo la possibilità di svelare il mistero della vita che l’apertura di queste avrebbe potuto dischiudere.

In questa strofa il poeta manifesta tutta la sua angoscia: i suoni del rapace notturno hanno riportato alla sua mente il dolore per la perdita dei suoi cari e gli hanno permesso di acquisire la consapevolezza che la morte incombe anche su di lui.

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