La luce nel Paradiso di Dante Alighieri

Paradiso di Dante Alighieri: cosa esprime la luce nella terza Cantica della Divina Commedia

La luce nel Paradiso di Dante Alighieri
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PARADISO DI DANTE ALIGHIERI

Che ruolo ha la luce nel Paradiso di Dante Alighieri?
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Nelle tre cantiche che compongono la Divina Commedia Dante affronta realtà molto differenti tra loro, come afferma anche De Sanctis: nell'Inferno parla dei dannati, condannati per l'eternità alla sofferenza e al dolore, nel Purgatorio descrive delle anime che attendono con ansia la propria purificazione con lo scopo di raggiungere il più velocemente possibile Dio, mentre in Paradiso, meta finale di Dante, albergano le anime pure che hanno la gioia di poter stare vicine al proprio Creatore, Padre di ogni cosa e che risiede nell'Empireo, cioè "nell'infuocato".

Già da queste sostanziali differenze si possono capire le scelte attuate da Dante per quanto riguarda le varie ambientazioni: egli infatti all'Inferno è molto concreto nella lingua e nelle descrizioni paesistiche, rendendo efficacemente l'ambiente oscuro e truculento, al Purgatorio descrive il paesaggio come una sorta di locus amenus mantenendo però immagini e caratteristiche tipiche della Terra, mentre in Paradiso il Sommo Poeta si trova di fronte ad un grande problema: il figurare nei termini del linguaggio umano una realtà che per definizione ne è il superamento e la sublimazione.

Dante stesso disse "vidi cose che ridire né sa né può chi di lassù discende", questo perché il Paradiso è il regno dell'immateriale, dell'invisibile, dell'assolutamente mistico e della pura intuizione.

Egli quindi, nella terza cantica, deve descrivere l'incomunicabile e, allo stesso tempo, non vuole fare discorsi astratti poiché in questo modo non sarebbe più poesia. A questo scopo egli ricorse a diversi stratagemmi, come ad esempio alle metafore, alla musica e soprattutto alla luce.

Quest'ultima è l'elemento che pervade tutto il Paradiso e man mano che Dante sale ogni parvenza umana e terrena scompare e le anime dei beati appaiono come luci, splendori e fiamme inserite in un ambiente sempre più indeterminato e luminoso, fino all'Empireo dove Alighieri giunge alla luce suprema, alla visione di Dio.

Per quanto riguarda le anime del Paradiso è interessante notare come queste, differentemente rispetto alla prime due cantiche, abbiamo subito un mutamento esteriore radicale: il protagonista, infatti, non è capace di riconoscerle ed esse stesse devono,
dunque, dire chi sono. I loro sentimenti, al contrario, sono manifesti a Dante poiché questi sono rivelati dal mutamento di splendore dell'anima stessa.

DANTE ALIGHIERI, PARADISO

Nel Paradiso, quindi, le anime non sono più delineate con la nitidezza a volte ripugnante dell'Inferno e nostalgica del Purgatorio: esse sono aeree, immateriali, la cui forma si dissolve sino a diventare pura luce man mano che accresce la beatitudine che le avvicina a Dio; a questo proposito Momigliano affermò che "la poesia più che disegnare i personaggi li avvolge e li dissolve in un alone di luce e musica".

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Analizzando i canti affrontati a scuola si potrebbe riassumere i vari aspetti delle anime in questo modo:

  • Cielo della Luna (III): anime come immagini riflesse da vetri trasparenti o da acque limpide e tranquille.
  • Cielo di Mercurio (VI): splendori fiammeggianti che danzano e cantano.
  • Cielo del Sole (XI): corone concentriche di vivi fulgori che danzano e cantano.
  • Cielo di Marte (XVII): splendori vivissimi e rosseggianti che si muovono e cantano formando una croce greca al cui centro lampeggia Cristo.
  • Cielo delle Stelle Fisse (XXIII): lucerne illuminate dai raggi della luce emanata da Cristo
  • Empireo (XXXIII): fiumana di luce sfolgorante da cui escono angeli in forma di faville. La fiumana luminosa assume poi forma circolare costituendo il centro di una immensa candida Rosa, le cui foglie sono i seggi dei beati.

Da questa breve schematizzazione è possibile capire come vi sia una sorta di climax ascendente per quanto riguarda il tema della luce e nell'aspetto esteriore della figura, con un crescendo della luminosità delle anime e con una forma sempre più vicina ad un fascio di luce.

Durante la lettura al lettore giunge un crescendo di luce che parte dalla lontana "selva oscura" per approdare infine, citando Momigliano, "ad un improvviso schiarirsi ed illuminarsi della pagina" e quindi al raggiungimento di Dante ad una luminosa beatitudine nel canto XXXIII del Paradiso.

In sintesi per Dante il tema conduttore è la luce, questo perché nel Paradiso manca ogni rappresentazione di figura e contesto umano, ed è proprio la luce, insieme alla musica, che impedisce alla cantica di dissolversi in una perpetua discussione teologica.

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