Il palazzotto di don Rodrigo: analisi

Il palazzotto di don Rodrigo: analisi del capitolo V de I promessi sposi di Manzoni e descrizione della residenza di don Rodrigo

Il palazzotto di don Rodrigo: analisi
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IL PALAZZOTTO DI DON RODRIGO: ANALISI

Il palazzotto di Don Rodrigo: analisi
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Il palazzotto di Don Rodrigo descritto da Manzoni ne I promessi sposi si trova arroccato sui monti che circondano il Lago di Como, ma non si sa precisamente il luogo dove si trovi perché il fittizio autore anonimo del manoscritto ritrovato da Manzoni non lo ha citato. Un “mucchietto di casupole” intorno al palazzo è abitato da contadini che riflettono il carattere del padrone: uomini severi e intolleranti, donne mascoline e muscolose pronte a usare la loro forza anche contro le persone.

La casa di Don Rodrigo ha l’aspetto di una vera fortezza. Infatti, le finestre sono piccole, con le imposte rovinate dal tempo e recintate da grandi inferriate. Due avvoltoi inchiodati sui battenti della porta incutono timore quanto il silenzio dell’ora di pranzo che rendeva il palazzo confondibile con “una casa abbandonata”. Il passo si divide in due parti in base alla focalizzazione. All’inizio, la focalizzazione è zero perché il narratore onnisciente descrive il palazzo e il paesello; successivamente il narratore s’identifica con la prospettiva di Frate Cristoforo che passeggia per la “viuzza a chiocciola”. Quando arriva al cospetto del palazzotto, il frate trova una residenza adeguata al personaggio. Essa si trova in posizione dominante sui paesi circostanti, ad indicare il potere del signorotto che ha sui villaggi sottostanti (lo stesso potere che Fra Cristoforo cerca di frenare, impedendo a Rodrigo di fermare il matrimonio fra Renzo e Lucia). Inoltre, il palazzo incute timore poiché le finestre sono dotate di “grosse inferriate”, il portone è controllato da due bravi e da due grandi avvoltoi con l’ali spalancate.

Il villaggio dei contadini di Don Rodrigo è definito “come la piccola capitale del suo piccol regno” in virtù della prepotenza del signore locale che esercita in modo arbitrario il suo potere sul feudo, lo stesso nel quale vivono i protagonisti del romanzo i quali subiscono le sue angherie. Manzoni usa sapientemente i suffissi di alterazione in questo passaggio per evidenziare la cattiveria dell’antagonista. I nomi alterati riferiti a lui o ai suoi possedimenti sono negativi (“palazzotto, omacci, mucchietto di casupole”); mentre si contrappone il vezzeggiativo “paesello” al “mucchietto di casupole” dei contadini di Don Rodrigo. E’ quasi come se Manzoni operasse una separazione stilistica fra i buoni e i cattivi.

L’autore descrive non solo il villaggio, ma anche gli abitanti con la volontà di evidenziare la loro rudezza. Vi abitano non uomini, ma “omacci tarchiati e arcigni”; “donne con certe facce maschie” e vecchi che digrignano le gengive. Anche i fanciulli sembrano “petulanti e provocativi”. Tutti, quindi, sono influenzati in modo maligno dal signorotto. Anche in questo caso, c’è una netta distanza fra l’animo degli abitanti del paese di Renzo e Lucia e i contadini di Don Rodrigo.

Fra Cristoforo avverte la dimora del signore feudale come un fortezza inaccessibile.

Infatti, nella descrizione abbondano le parole che rimandano alla chiusura. Sulla facciata ci sono “rade e piccole finestre” chiuse da “grosse inferriate” che rendono impossibile osservare l’interno del palazzo. In più, la fortezza è controllata da “quattro creature, due vive e due morte”: due bravi e due avvoltoi incastonati nel portone d’ingresso. Un parallelismo corre fra le quattro “creature”: i due uccelli sono l’uno su un battente e il secondo sull’altro; mentre un uomo si trova sulla panca a destra e l’altro su quella di sinistra. Il legame non si ferma alla posizione, ma si collegano a un livello simbolico: i due bravi stanno aspettando gli avanzi del pranzo del padrone, come gli avvoltoi che aspettano la morte di un animale prima di mangiarlo. Per creare una struttura più interessante con numerose voci narranti, Manzoni a volte prende le distanze dal narratore anonimo; per esempio quando rimprovera lo scrittore del manoscritto di aver taciuto sul nome del paese dove si trova il palazzotto di Don Rodrigo.

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