La Malora

Il libro narra la storia di Agostino e, attraverso gli occhi dello stesso, la vicenda della sua famiglia, i Braida, poveri contadini delle Langhe (2 pagine formato doc)

Appunto di patrickknt
Beppe Fenoglio, La malora Beppe Fenoglio, La maloraEinaudi, 1997- Einaudi tascabili.pp.144 / Pubblicato per la prima volta nel 1954 nella collana «I gettoni», La malora è certamente l'opera di Fenoglio in cui la tematica della vita contadina sulle Langhe campeggia in tutta pienezza, sia nei motivi che nei luoghi, pur non essendo nuova all'autore, poiché già trattata in Un giorno di fuoco e nella seconda parte de I ventitré giorni della città di Alba.
Il libro narra la storia di Agostino e, attraverso gli occhi dello stesso, la vicenda della sua famiglia, i Braida, poveri contadini delle Langhe d'inizio secolo, la cui vita è segnata dalla fame, dal duro lavoro sulla terra avara e dalla malora che, come un'ombra funesta da cui è impossibile liberarsi, guida il destino dei personaggi del romanzo fenogliano. Immerso in avvenimenti tragici, quali la morte del padre, l'inutile lotta della famiglia di Tobia per emergere dalla propria condizione, la malattia del fratello chiuso in seminario, Agostino vive gli anni della giovinezza chinato di fronte alla propria sorte.
L'unico barlume di speranza, l'amore per la “servetta” Fede, viene annullato senza possibilità di opporsi dal contratto di matrimonio fatto dai genitori della ragazza. L'unico sogno di Agostino rimane quello di tornare a lavorare la terra che era stata di suo padre: desiderio che in ultimo verrà realizzato, anche se il giovane non potrà più contare sulla presenza materna. La malora è il motore primario di tutta la vicenda: i personaggi, costantemente chiusi in una solitaria sopportazione, paiono non avere voce in capitolo. La fame, la miseria, l'avidità, i lutti, le avversità atmosferiche e la sterilità del terreno decidono per loro. Gli abitanti delle Langhe si muovono in un mondo chiuso, un microcosmo i cui orizzonti sono, prima ancora di essere chiusi dalle colline, annullati dalla cieca fatica, dal lavoro che, inizialmente principio fondante di civiltà, è divenuto veicolo d'annullamento di sé. La “roba” di verghiana memoria diviene allora stimolo principale delle azioni, facendosi, in quando desiderio sempre presente, ma destinato a rimanere inappagato, mezzo di svilimento al pari del lavoro. E' questo desiderio a spingere gli uomini a spezzarsi la schiena lavorando sui campi e a mangiare sempre meno la sera. A questo, ancora, si aggrappano Tobia e il padre di Agostino, come sospesi nel vuoto e su quel Tanaro in cui molti uomini della razza langarola sono andati a porre fine ai propri giorni (si ricordi che anche in questo romanzo è presente il suicidio, quello di Costantino del Boscaccio trovato impiccato dallo stesso Agostino). Nel duro destino e nella sua cieca presenza pare ritrovarsi quanto Sciascia diceva a proposito degli zolfatari siciliani: «quando dalla notte della zolfara ascendevano all'incredibile giorno della domenica, le case nel sole o la pioggia che batteva sui tetti, non potevano che rifiutarlo, cercare nel vino un diverso modo di sprofondare n