I generi letterari del cinquecento

In breve, la lirica dalle novelle ai primi romanzi in prosa, l'autobiografia, la storiografia e il trattato politico, la forma dialogica, la letteratura drammatica (commedia, tragedia e dramma pastorale). I generi letterari e i poeti del cinquecento (3 pagine formato doc)

Appunto di ciuttola

GENERI LETTERARI DEL CINQUECENTO

generi letterari del cinquecento.

La lirica. Tra i generi che restano sostanzialmente omogenei nel corso del Cinquecento si può indicare subito la lirica “petrarchista”. Si è visto come anche fra i petrarchisti più significativi sia possibile cogliere un modificarsi d’accenti e di risultati espressivi.
Anche se, man mano che ci si addentra all’interno del secolo, è possibile avvertire i segni di più spiccati mutamenti e trasformazioni. Soprattutto la linea del petrarchismo meridionale rivela un’inquietudine che si risolve in un allentamento delle forme, raggiungendo esiti visionari e immaginosi; in tale ambio va inquadrata anche l’esperienza lirica di Torquato Tasso, che si può considerare il maggior “petrarchista” del suo tempo.

Opere di Torquato Tasso: riassunto

DALLA NOVELLA AI PRIMI ROMANZI IN PROSA

La trattazione di problemi relativi alla novella si può considerare conclusa con le opere di Matteo Bandello e Gianbattista Giraldi Cinzio. Concepite nell’ambito della corte, esse appaiono unite anche da una propensione per l’orrore, che si propone tuttavia finalità differenti: nel primo vuole aumentare l’interesse per la vicenda; nel secondo è associato all’intento di ammonire, suscitando la paura per distogliere dalle colpe e dal peccato. La pubblicazione di queste raccolte appare il segno di un diverso destino: nel Bandello rappresenta l’ultimo trionfo del genere novellistico come forma di divertimento intellettuale e di un superiore intrattenimento; nel Giraldi il genere viene subordinato e adattato ai dettami della moralità controriformistica.
Si tratta d’esempi limite: da un lato la novella tradizionale viene di fatto ripudiata dall’ideologia della Controriforma, dall’altro finisce per negare la propria identità, esaurendo le potenzialità più genuine e caratteristiche del genere.
Nella seconda metà del Cinquecento si affacciano ipotesi di diverse soluzioni narrative in prosa: ci riferiamo ad alcuni tentativi di romanzo, intendendo con questo termine una lunga narrazione in prosa. Sono opere che non hanno una forma omogenea e definita, ma si presentano come un genere assai mutevole e misto, in quanto possono utilizzare materiali eterogenei. Il carattere ibrido della narrazione è uno degli aspetti distintivi del romanzo, considerato come una forma aperta che ingloba ed assimila altre forme. Ma queste opere corrispondono anche ad un procedimento che si può definire manieristico, in quanto si basa sulla ripresa e sulla variazione di soluzioni e schemi offerti dalla tradizione. Si pensi al rapporto novelle – cornice nel Decameron e alla riproposta di questo modello da parte della novellistica rinascimentale; si può dire che la cornice tende a trasformarsi in un elemento dinamico, risultando il filo conduttore della vicenda.
La fortuna d’Apuleio (anche quello delle “metamorfosi” può essere considerato un motivo tipicamente manieristico) e del suo romanzo è ribadita dalle traduzioni cinquecentesche dell’”Asino d’oro”.

POETI DEL 500

L’AUTOBIOGRAFIA. Non pochi tratti riconducibili alla letteratura del cosiddetto manierismo si possono riconoscere nell’autobiografia di Benvenuto Cellini. C’è, nella “Vita” di Cellini, un interesse acuto e singolare per le immagini fantastiche e straordinarie, per le presenze enigmatiche e misteriose che s’insinuano nel reale. Ad un certo punto l’autore si sofferma a descrivere alcune decorazioni “grottesche”. È anche questo il segno di un preciso atteggiamento esistenziale, che comporta il progressivo allontanarsi da una visione del mondo “rinascimentale”, naturalistica o razionalista, per una ricerca di nuove dimensioni e forme ideologico - espressive.
Il racconto della propria vita, condotto in prima persona, mette in risalto una fortissima personalità, che permette alla fine di superare qualsiasi ostacolo posto dalla sorte nemica o dalla malvagità invidiosa degli uomini. Si tratta, per Cellini, di un semplice punto di partenza, in un percorso che viene subito deviato e piegato a provare esperienze diverse. L’individualità diventa una sorta di sfrenato individualismo che lascia trasparire il carattere egocentrico del protagonista, un culto di se stesso che coincide con inguaribili tracce d’infantilismo.
Guido Davico Bonino ha parlato di una forma di “narcisismo”, che corrisponde all’alienazione dell’artista rispetto alle richieste e alle imposizioni del potere. La genesi stessa dell’opera si colloca all’interno di questa situazione conflittuale, quando Cellini, perso il favore di Cosimo I, decide di raccontare le vicende della propria esistenza.
L’autobiografia celliniana esprime una visione del reale non pacificata e serena, ma minacciosa e minacciata; non basata su un ordine razionale delle cose, ma sottoposta a trame oscure e irrazionali. In questa prospettiva va inquadrata la comparsa di alcuni animali, che hanno ben poche giustificazioni sul piano del verisimile, ma riprendono una simbologia di tipo arcaico e remoto, tipica della mentalità medievale. La parabola esistenziale del protagonista s’inscrive e si giustifica all’interno di un disegno provvidenziale, dalla caduta ribelle nella colpa alla salvezza finale, per merito della grazia di Dio.
Il narratore diventa il protagonista dell’opera, Benvenuto, come uno strumento della volontà divina; questi elementi rappresentano un’ulteriore conferma del narcisismo e dell’alienazione di cui la “Vita” di Cellini offre una testimonianza singolare. Per questa sua singolarità, l’opera va oltre i limiti di un genere definito e resta sostanzialmente isolata.

GENERI LETTERARI DEL 500

LA STORIOGRAFIA E IL TRATTATO POLITICO. Il clima controriformistico condiziona la storiografia e il trattato politico, più direttamente impegnati e responsabili sul fronte della riflessione ideologica. Gli orientamenti della politica culturale finiscono per irrigidire e restringere il campo dell’interpretazione critica. Viene rifiutato il pensiero di Machiavelli, ma questo rifiuto non può soffocare la spregiudicata vitalità del suo insegnamento. Si viene così gradualmente elaborando una soluzione di compromesso, che consiste nel sostituire,al nome del segretario fiorentino, quello di Cornelio Tacito. La corrente più moderata del “tacitismo” può essere ricondotta allo storico fiorentino Benedetto Varchi, e verrà attivata soprattutto da Bernardo Davanzati.
Rispetto al Machiavelli, Tacito sembra offrire soluzioni più rassicuranti e convenienti, perché l’intransigente spregiudicatezza con cui aveva raffigurato la corruzione era accompagnata da un appassionato risentimento morale. Ma neppure questa forma di compromesso appariva senza pericoli, se non era regolata da precise norme di moderazione e di “prudenza”.