Il rapporto tra intellettuali e politica: saggio breve

Saggio breve svolto sul rapporto tra intellettuali e politica tra le due guerre mondiali (3 pagine formato doc)

Appunto di nappy

INTELLETTUALI E POLITICA

Intellettuali e politica.

Negli anni tra le due guerre il rapporto tra intellettuali e politica assume un carattere particolare per l’emergenza politica e culturale imposta dall’evoluzione politica dei paesi totalitari. La cultura di regime chiude infatti con la violenza ogni spazio alla libertà di pensiero e produce il fenomeno dell’esilio degli intellettuali. L’urgenza di rispondere anche sul piano culturale alla barbarie nazi-fascista fa emergere la figura dell’intellettuale impegnato che tenta, attraverso le sue opere e la sua attività, di contrapporre i valori della libertà e della civiltà.
Proprio l’impegno politico e sociale contraddistingue l’opera del drammaturgo e teorcio teatrale Bertolt Bercht. La costruzione dei regimi totalitari impone agli ambienti della cultura un’alternativa molto netta: l’adesione conformistica a quella ideologia e a quelle istituzioni oppure il silenzio. Gli intellettuali che rifiutano questo diktat per non subire la repressione sono costretti all’esilio. Chi invece sceglie, per convinzione, per opportunismo o per paura, di aderire al regime viene cooptato all’interno del gruppo dirigente spesso assumendo ruoli di primo piano.

INTELLETTUALI E POTERE

Le istituzioni culturali rappresentano infatti un elemento importante nel sistema totalitario: accademie, centri di ricerca, istituti, operano per la propaganda del regime, ne costruiscono e ne giustificano i caratteri ideologici divulgandone i principi tra la gente. Nel mondo accademico l’operazione di assimilazione al regime è più complessa e sofisticata; si lascia un margine di libertà in cambio di un’adesione formale: è il caso dell’Italia fascista quando nel 1931 il regime impone il giuramento di fedeltà agli insegnanti (su 1.200 docenti universitari solo 12 si rifiutano). Il dibattito culturale in ambito universitario è d’altronde di carattere eminentemente specialistico e non rappresenta, se debitamente controllato e limitato, un pericolo per i regimi. Diverso il caso di altri ambiti culturali come quelli dell’arte, dell’architettura, della musica o del cinema i quali, in quanto potenti veicoli di comunicazione con le masse, subiscono un controllo più pesante. Ogni regime costruisce una propria immagine di sé attraverso l’elezione di uno stile, di un linguaggio artistico, architettonico, cinematografico. I contenuti vengono, più o meno apertamente, imposti e la forma viene orientata verso rappresentazioni di carattere monumentale più adatte a suscitare meraviglia e a favorire la propaganda. Sorgono così in Germania, in Italia e in Russia città, monumenti, piazze, palazzi di grande effetto scenografico i cui simboli richiamano la liturgia politica dei regimi o le tradizioni nazionali. Il fascismo, per esempio, adotta come proprio stile i simboli dell’impero romano (il fascio littorio, l’aquila imperiale, ecc.).
Tutte le dittature rifiutano le forme di sperimentalismo, la ricerca di nuovi linguaggi, e si chiudono in un provincialismo opprimente. Le avanguardie intellettuali primonovecentesche che avevano prodotto la pittura astratta, la musica dodecafonica, la psicoanalisi, il jazz, le sperimentazioni letterarie, vengono bollate come "degenerazioni" e fatte sparire dalla circolazione.

La figura dell'intellettuale nel 900: tesina di maturità

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE NEL 900

L’instaurazione di regimi a carattere totalitario in Germania, in Italia e in Russia hanno un riflesso particolarmente rilevante sulla storia culturale del novecento, in quanto provocano un grande flusso di intellettuali costretti a fuggire dai propri paesi.
La Germania nazista, la Russia di Stalin e l’Italia fascista creano infatti delle condizioni illiberali che negano la possibilità di lavoro e, spesso, la stessa sopravvivenza agli intellettuali che non aderiscono all’ideologia totalitaria. A farne principalmente le spese sono gli intellettuali ebrei, colpiti dalle leggi razziali naziste e fasciste. La meta di questa diaspora è rappresentata prevalentemente dagli Stati Uniti, una nazione democratica dove esistono numerose strutture accademiche, scientifiche e culturali disposte ad accogliere i nuovi cervelli. Gli USA ricevono da questa "emigrazione" un’eccezionale spinta culturale, specie nel campo della ricerca scientifica: si pensi a esuli noti come Einstein, Bohr, Segré, Fermi.