Publio Terenzio Afro: vita e opere

Vita e opere di Publio Terenzio Afro, commediografo romano autore di Andria, Hecyra, Heautontimorumenos, Eunuchus, Phormio, Adelphoe e famoso per aver introdotto il concetto di humanitas
Publio Terenzio Afro: vita e opere
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1Vita di Terenzio: da schiavo ad amico dei potenti

Publio Terenzio Afro (Cartagine, 190-185 a.C. – Stinfalo, 159 a.C.): commediografo romano
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Della vita di Terenzio abbiamo poche notizie attendibili. Una biografia fu scritta da Svetonio, di seguito ripresa dal grammatico Elio Donato, corredata da un commento alle sue commedie. Fu originario di Cartagine in Africa e fu condotto schiavo a Roma in giovane età. Il suo nome era semplicemente Afer: Africano; Publius Afer. Era al servizio del senatore Terenzio Lucano, il quale si occupò della sua educazione e lo affrancò. Divenuto liberto, come consueto, prese il nome del suo ex-padrone.   

Era un giovane brillante e fu accolto con favore dell’aristocrazia romana: ebbe come amici Furio Filo, Gaio Lelio e Scipione l’Emiliano esponenti del Circolo degli Scipioni, che era promotore della cultura filoellenica.   

Lì si esaltava il valore dell’humanitas, centrale nel teatro di Terenzio. Furono questi potenti amici a incoraggiarlo a scrivere commedie, forse proprio con l’idea che il teatro potesse proporre quell’ideale a un pubblico sempre più largo, compiendo così un’operazione piuttosto delicata: proporre un nuovo modello etico e oltrepassando, con l’humanitas, il cinismo farsesco dei personaggi plautini. Un cambio di paradigma che metteva in crisi l’idea stessa della comicità romana di allora.   

La sua prima commedia fu l’Andria (166 a.C.). Terenzio fu accusato di essere un prestanome, data la sua modesta origine e le amicizie dei potenti: le maldicenze feroci, da parte dei tradizionalisti e da altri commediografi tra cui Luscio Lanuvino, lo accusavano di essere solo uno strumento di propaganda politica in abili mani. Fu persino messa in dubbio la paternità delle sue commedie, a cui Scipione e Lelio avrebbero largamente collaborato; le smentite di Terenzio nei prologhi non fugarono i dubbi.  

Il problema sembra più complesso: nel 166 a.C., quando fu composta l’Andria, Scipione Emiliano e Lelio avevano da poco passato i vent’anni, e dunque ideale di humanitas in quella commedia già maturo e consapevole, non poteva essere nelle loro corde. La nuova concezione dei rapporti umani sostenuta in quella commedia non sarebbe stata espressione del circolo, ma se mai l’anticipazione di quella atmosfera e un elemento determinante per la sua formazione. Sappiamo poco della vita e poco anche della morte avvenuta lontano da Roma. 

Terenzio decise di andare in Grecia, forse per familiarizzare con gli usi e i costumi della Grecia o forse per trovare altre opere di Menandro, il commediografo greco, massimo esponente della nuova commedia, suo principale ispiratore. Vi andò dopo il 160 a. C. e non fece più ritorno.

Si racconta che morì annegato in un naufragio. Questo episodio appare poco attendibile: proprio Menandro era morto in questo modo e sembrerebbe che il finale della vita del commediografo greco sia stata usata anche per terminare la biografia del commediografo romano, suo epigono. Sarebbe nient’altro che un caso di contaminatio, di cui, ironia della sorte, Terenzio era stato più volte accusato proprio nei confronti di Menandro.

2Le commedie di Terenzio

Hecyra di Terenzio
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Secondo la tradizione della palliata, Terenzio trasse i suoi soggetti dalla nuova commedia greca trasferendone personaggi, situazioni e intere scene. L’ispiratore più evidente è Menandro, ma anche Apollodoro di Caristo (Phormio e Hecyra), mentre in una è evidente l'influenza di Difilo (per una scena degli Adelphoe). Non possedendo gli originali greci, risulta molto complicato capire quanta porzione del testo e quali aspetti fossero stati effettivamente ripresi dal commediografo, problema che si pone anche per Plauto. 

L’uso della contaminatio, infatti, permetteva la massima libertà nel rielaborare. Terenzio, come vedremo, è stato però l’unico poeta comico a cui si rimproverò l’uso di questa tecnica. 

Ad ogni modo, le sei commedie composte da Terenzio sono pervenute integre e ne conosciamo anche le date di rappresentazione oltre che i problemi che accompagnarono le messinscena. Esse sono: Andria («La donna di Andrio», 166), Hècyra («La suocera», 165). Per inciso: la prima rappresentazione di quest’opera fu un totale fallimento: si dice che gli spettatori abbandonarono il teatro, preferendo uno spettacolo di saltimbanchi, e solo la terza messinscena (160) ebbe successo; Heautontimorùmenos («Il punitore di se stesso», 163), da cui è tratta la famosa frase «Homo sum: humani nihil a me alienum puto», al cui successo contribuì il capocomico Ambivio Turpione; Eunuchus («L’eunuco», 161) e Phormio («Formione», 161), e l’ultima è Adèlphoe («I fratelli», 160). 

Il difficile rapporto con il pubblico emerge anche dalle tre principali accuse rivolte al poeta:

  • Cattivo o eccessivo uso della contaminatio. Contro questa accusa si difese nel prologo dell’Andria (vv. 17-21), evidenziando come fosse una tecnica utilizzata già dai grandi autori come Plauto, Nevio ed Ennio e precisando che egli fosse obbligato a fare ciò non essendoci alcun argomento nuovo da trattare.
  • Scarsa personalità e capacità artistica. Questa accusa fu controbattuta nel prologo del Phormio (vv. 1-34). Terenzio sottolineò i difetti dell’ultima opera del suo rivale Luscio Lanuvino piena di incongruenze;
  • Presunto aiuto nella scrittura da parte dei suoi potenti amici. Questa accusa fu controbattuta nell’Adelphoe (vv.15-19). Terenzio esalta i suoi amici elogiandoli di essere ben voluti a da tutto il popolo romano.
Civiltà romana, II secolo a.C. Rilievo raffigurante una scena della commedia Andria di Terenzio
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Come possiamo vedere, a differenza di Plauto che usava i prologhi per spiegare meglio la vicenda, Terenzio è costretto a usarli in difesa del suo operato, rispondendo alle accuse dei denigratori e spiegando al pubblico la sua poetica innovativa, spesso addirittura servendosi delle consuete formule giudiziarie, come se si trovasse in un pubblico processo. Vediamo come esempio il prologo dell’Andria (vv.1-27, in senari giambici): 

Poeta quom primum animum ad scribendum adpulit,
id sibi negoti credidit solum dari,
populo ut placerent quas fecisset fabulas.
Verum aliter evenire multo intellegit;
nam in prologis scribundis operam abutitur,
non qui argumentum narret sed qui malevoli
veteris poetae maledictis respondeat. 

Nunc quam rem vitio dent quaeso animum adtendite.
Menander fecit Andriam et Perinthiam.
Qui utramvis recte norit ambas noverit:
non ita dissimili sunt argumento, [s]et tamen
dissimili oratione sunt factae ac stilo.
Quae convenere in Andriam ex Perinthia
fatetur transtulisse atque usum pro suis.
Id isti vituperant factum atque in eo disputant
contaminari non decere fabulas. 

Faciuntne intellegendo ut nil intellegant?
Qui quom hunc accusant, Naevium Plautum Ennium
accusant quos hic noster auctores habet,
quorum aemulari exoptat neglegentiam
potius quam istorum obscuram diligentiam.
De(h)inc ut quiescant porro moneo et desinant
male dicere, malefacta ne noscant sua. 

Favete, adeste aequo animo et rem cognoscite,
ut pernoscatis ecquid spei sit relicuom,
posthac quas faciet de integro comoedias,
spectandae an exigendae sint vobis prius. 

3Il mondo poetico, l’umanità dei personaggi e le differenze dal teatro di Plauto

Questi sono i punti del teatro di Terenzio: trame più lineari, scena più statica, stile più sobrio, lessico elegante, controllato e mai scurrile, assenza del metateatro. Sono anche le principali differenze dal teatro di Plauto.

Gli intrecci delle commedie terenziane non si discostano da quelli di Plauto e dalla fabula palliata in generale: abbiamo sempre intrighi amorosi, conflitti tra giovani e vecchi (specialmente tra padri e figli) astuzie di schiavi e capricci di cortigiane, equivoci che si risolvono felicemente per capovolgimenti della sorte o per improvvisi riconoscimenti (agnizione).

Ma Terenzio non ha i ritmi incalzanti di Plauto, la sua spettacolarità, la travolgente comicità, il gusto per il fantasioso e per le accentuazioni grottesche e paradossali. Meno brillante e vivace, chiedeva alla commedia di far riflettere il pubblico, attraverso il buon gusto e la cultura raffinata che veniva proposta.

Le trovate pirotecniche di Plauto si smorzano in Terenzio in una misura di più disteso equilibrio. A un'azione teatrale movimentata, scrisse Elio Donato, ne subentra una statica e così dalla fabula motoria si passò alla fabula stataria. Uno dei grandi protagonisti del teatro plautino, il servus currens, venne perciò sacrificato.

La commedia che si era già trasformata con Cecilio Stazio giunge con Terenzio al culmine della sua evoluzione. Il teatro da semplice intrattenimento popolare diventa un teatro d'élite.

Terenzio rinuncia ai doppi sensi, alle espressioni scurrili, ai lazzi volgari; il suo è un linguaggio fine e accurato, ispirato ai canoni della regolarità.

Heautontimorumenos di Publio Terenzio Afro
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I personaggi di Terenzio sono gli stessi di Plauto: i giovani amanti, padri padroni, vecchi avari, servi astuti, prostitute e lenoni, soldati fanfaroni, parassiti. Tuttavia essi abbandonano lo stereotipo e mostrano un lato più complesso e più umano. Sono presentati assecondando la verosimiglianza psicologica e analizzati nel loro carattere con partecipazione: diventano meno estremi e farseschi, acquisendo delicatezza, sensibilità morale e i tratti di una grande lealtà. La tolleranza, la comprensione reciproca, l'approfondimento dei rapporti umani, che i personaggi di Terenzio rivelano, non solo aderiscono al modello menandreo, ma obbediscono soprattutto a quella misura di humanitas elaborata da quell'ambiente patrizio ed ellenizzante, in cui era avvenuta la sua formazione.

Si comprende allora la scelta di Terenzio di sacrificare il metateatro, troppo invadente, e i cantica (le parti cantate) tanto care a Plauto e di prediligere solo i deverbia: è attraverso il dialogo, infatti, che si giunge alla conciliazione delle parti in causa. Certamente l’opera perde in spettacolarità.

In sintesi, le differenze tra Plauto e Terenzio

  • Terenzio predilige una maggiore staticità della scena e tono più pensoso dei personaggi, per spingere alla riflessione il pubblico. Plauto fa correre l’azione e tutto è un gioco pirotecnico perché il fine deve essere il divertimento.
  • Assenza di personaggi stereotipati in Terenzio. Plauto, invece, utilizza i luoghi comuni attribuiti alle sue categorie di personaggi, del tutto privi di interiorità.
  • Il linguaggio: Plauto predilige un linguaggio più vario, squilibrato, con neologismi e giochi di parole. Terenzio ama la raffinatezza, l’eleganza e l’omogeneità. Questo fatto lo penalizza perché le sue commedie risultano troppo garbate, prive di forza comica.
  • Mancanza in Terenzio del metateatro e dei cantica, largamente utilizzati da Plauto.

4Terenzio e l’humanitas

«Homo sum: humani nihil a me alienum puto», ossia: sono un uomo, niente dell’uomo mi è estraneo. È una frase contenuta nell’Heautontimorumenos ed è la frase più famosa di Terenzio, un vero inno al valore dell’humanitas. Questo ideale fa appello alle virtù più nobili dell’uomo e soprattutto alla necessità di un rinnovamento dei rapporti interpersonali all’insegna della solidarietà

La famiglia è il luogo privilegiato di questo rinnovamento, poiché aveva il compito di educare il buon cittadino: da luogo di gelosie, conflitti, controversie, incomprensioni generazionali doveva essere il modello di armonia per eccellenza, basato sulla comprensione, sull’amicizia, sulla fiducia e sulla generosità. 

Terenzio pone particolare attenzione allo scontro generazionalefigli contro padri in cui i primi rivendicano il diritto al piacere e all’ozio, e i secondi rammentano loro il senso del dovere (Adelphoe vv. 414-418). L’importante è giungere alla concordia. Il messaggio politico si delinea in controluce: nelle sue commedie la lotta tra la nuova e la vecchia generazione rifletteva il cambiamento che la società romana stava vivendo con l’ellenizzazione di Roma, capace di sostituirsi al mos maiorum

I valori ellenici erano considerati dai tradizionalisti come Catone il Censore troppo distanti dalle fondamenta del mos maiorum (ossia da dignitas, gravitas, auctoritas) e per questo criticati aspramente. La verità è che il processo culturale era già in atto e ci si stava progressivamente allontanando dal modello divir bonus” catoniano in luogo di una maggiore apertura alla solidarietà umana e a valori più problematici e meno rigidi. Per essere humanus, occorreva la consapevolezza della molteplicità delle esperienze di vita e delle concezioni dell’esistenza; occorreva perdere qualcosa del carattere sistematico degli antichi valori romani e fare posto al nuovo; questo passaggio fu visto come una specie di pervertimento della cultura romana, sempre pronta all’impegno, al lavoro, al dovere alla virtù guerriera.

Divenne invece importante il pensiero e per il pensiero fu necessario l’otium, il tempo che ciascuno può dedicare a sé per riflettere. Attività come letteratura e filosofia (non a caso definite oggi materie umanistiche) necessitano di questo prezioso tempo. Da qui il conseguente mutamento che vedrà la scoperta dell’introspezione nell’animo umano portando alla messa al centro dell’uomo con la sua bellezza di creatura, le sue virtù e i suoi sentimenti.

Su questo concetto poi si fonderà secoli dopo l’Umanesimo e di nuovo vedrà l’uomo al centro di tutto, grazie alla ripresa di questi concetti lo studio delle Humanae Litterae.