Ultime lettere di Jacopo Ortis: analisi e spiegazione

Ultime lettere di Jacopo Ortis: analisi, spiegazione e riassunto del romanzo di Foscolo in riferimento al romanzo I dolori del giovane Werther di Goethe

Ultime lettere di Jacopo Ortis: analisi e spiegazione
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I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER E ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS: ANALISI E SPIEGAZIONE

Ultime lettere di Jacopo Ortis: analisi e spiegazione
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Le Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo epistolare scritto da Ugo Foscolo agli inizi della sua carriera letteraria; il modello principale è, ovviamente, "I dolori del giovane Werther" di Goethe, a cui questa relazione fa riferimento nell’analizzare quest’opera, romantica e innovativa per quei tempi.

Possiamo considerare "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e "I dolori del giovane Werther" due romanzi d’amore; entrambi i giovani si innamorano perdutamente di una ragazza, e vengono catturati da una passione che sconvolge nel profondo i loro animi. La donna amata è bellissima, dolce, e presenta agli occhi dell’innamorato tutte le migliori qualità della terra; quando è con lei il giovane tira fuori la parte migliore di sé, ispirato dalla bontà che viene emanata da lei (ciò richiama per certi aspetti la donna angelicata di Dante). Ma questo idillio si infrange ben presto: l’amata è irraggiungibile; Lotte ama profondamente il suo sposo Albert e vuole bene a Werther solo "come ad un fratello", mentre Teresa è promessa dal padre ad un ottimo partito, e pure amando Jacopo, deve piegarsi alle imposizioni di un matrimonio combinato, dettato dalle ingiuste leggi della società. L’amore non si può realizzare mai perché non può essere ricambiato: è una passione a senso unico, e la consapevolezza di questa situazione getta il protagonista nel baratro della disperazione. Il suo risentimento, che si accresce progressivamente fino a diventare odio, si rivolge verso la società, che rovina gli individui con l’imposizione di ingiuste regole, e nemmeno il rivale ne viene risparmiato. Nel cuore del protagonista non vi è posto per nessun’altra donna, ed il dolore per questo amore impossibile non si attenua né con il tempo né con la lontananza, anzi aumenta sempre più, anche perché il protagonista si rende conto che non vi è possibile soluzione.

Contrariamente al Werther, in cui è presente solamente l’elemento amoroso, l’Ortis è un romanzo in cui il tema dell’amore si interseca continuamente con il tema della patria. Jacopo Ortis racconta nelle primissime lettere del romanzo di come sia stato costretto a lasciare Venezia, la sua città natale, a causa delle persecuzioni riservate ai patrioti italiani in seguito alla firma del Trattato di Campoformio (1797); come molti altri l’Ortis è amareggiato dal meschino comportamento di Napoleone che ha tradito di fatto gli italiani dopo avergli fatto credere che avrebbe unificato la loro patria, come si desume dalle seguenti parole:

"Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia".

Tuttavia, Jacopo Ortis non vuole lasciare l’Italia: "Aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere"; infatti è sommo piacere sapere che "le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco e ombroso" piantato nel suo podere.

Le sue lettere vengono intercettate, progetta di recarsi in Francia, ma non riesce a sopportare il pensiero di lasciare l’amata patria; le sue lettere traboccano di richiami agli italiani, affinché ricordino che "non si dee aspettare libertà dallo straniero" e servano sempre la loro patria ("se avete le braccia in catene, scrivete, scrivete a quelli che verranno, e che soli saranno degni d’udirvi, e forti da vendicarvi"), ma si rende progressivamente conto che la sua debole voce nulla può per cambiare il destino dell’Italia.

Si riscontra dal tono delle lettere il disprezzo tanto per gli uomini mediocri quanto per quelli calcolatori; ciò che viene esaltata è l’azione, dettata a volte da una profonda convinzione interiore, ma a volte anche da un’irrefrenabile passione.

In tutti e due i romanzi riscontriamo una peculiarità mai incontrata finora nella letteratura mondiale; vi è la pressoché totale assenza di un padre o di una qualsiasi figura, giusta o ingiusta, che faccia da guida al protagonista. Werther e Ortis sono soli e se la devono cavare con le proprie forze. Non c’è nemmeno, come avveniva per l’eroe greco-romano, un dio protettore, prepotente e non sempre giusto, ad indicargli la strada: Dio è presente e se ne parla nelle lettere, ma in modo sempre diverso a seconda dello stato d’animo del protagonista; ora esiste, ora non esiste, ora è misericordioso, ora è indifferente al destino dell’uomo, ma non è mai un punto di riferimento per l’uomo. Da sottolineare il fatto che non troviamo nessun accenno (nell’Ortis ce n’è qualcuno, ma con riferimento più alla patria che non a una figura paterna) al padre del protagonista; nelle lettere al massimo ce n’è qualcuno alla madre, peraltro sempre lontana.

Entrambi i romanzi abbondano di numerose citazioni dai più disparati testi della letteratura internazionale; ma, mentre per Werther queste citazioni provengono nel primo libro da Omero e nel secondo da Ossian, e sono un ulteriore specchio degli stati d’animo del giovane, per Ortis la faccenda si fa più complessa; sono frequenti citazioni da tutti gli autori: Dante, la Bibbia, Plutarco, Petrarca, Stern... Petrarca accompagna i momenti in cui l’amore e la contemplazione della natura hanno il sopravvento nell’animo dell’Ortis, Plutarco accompagna i momenti di solitudine e di meditazione… Rilevantissima è la presenza dell’Alfieri che compare, non a caso, nel momento in cui Jacopo Ortis, realizzata l’impossibilità del suo amore, inizia la parte discendente della parabola che lo porterà al suicidio; infatti i punti di contatto tra i due autori sono più che evidenti: l’esaltazione del sentimento e dell’agire passionale, il suicidio come punto di arrivo dell’impossibilità di vivere del protagonista, un modo di scrivere apparentemente brusco e istintivo, dai ritmi spezzati, che ricalca questa visione (con la differenza che l’Alfieri si esprime attraverso la tragedia e il Foscolo attraverso il romanzo epistolare).

"Ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria nemica degli individui"; i due protagonisti vedono la società a loro contemporanea come il mondo dei vizi, dell’edonismo e della perversione, contrapposto a quello, meramente bucolico, della campagna, dove regnano le tradizioni, i valori e la stabilità.

Sia Werther sia Ortis si soffermano in alcuni momenti a contemplare la natura che appare ai loro occhi come maestosa e di una bellezza indescrivibile. In certi momenti sembra che questo elemento possa riportare la pace e la tranquillità nei loro animi afflitti, come avveniva in Saffo, ma è solo un’apparenza. Per Werther la natura e la campagna in genere rappresentano l’idilliaco mondo dei valori e delle tradizioni contrapposto alla corrotta società, che alla fine ha però il sopravvento, mentre nell’Ortis non c’è questo significato: egli si rende conto che nemmeno la pace derivata dalla contemplazione della natura può calmare il suo dolore, e l’elemento naturalistico va via via scomparendo man mano che il protagonista si avvicina al suicidio.

"Cos’è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non nel sentimento del dolore: ed or anche l’illusione mi abbandona": come è potuto accadere che un giovane di 24 anni sia arrivato ad una simile concezione della vita? Egli aveva sempre vissuto in un’ottica puramente egocentrica, se non addirittura egoistica, come un bambino che continuamente cerca l’attimo del piacere ("voglio godere il presente, e sia passato il passato"). Egli ha provato la felicità, una felicità che non poteva nemmeno immaginare, e subito dopo ne è stato privato, e alla felicità è subentrato il dolore per averla persa e per il sapere di non poterla riavere mai più. Werther ha cercato una soluzione: ha tentato di dimenticare Lotte, ha tentato di cambiare stile di vita, ma non vi è riuscito; solo immagini di vuoto e di sofferenza si presentavano nella sua mente e l’ultimo incontro con Lotte, quello in cui Werther si è lasciato prendere dalla violenza dell’istinto, fu la goccia che lo spinse definitivamente al suicidio. Jacopo, dopo il matrimonio di Teresa, ha dedicato le sue energie all’amata Italia ("l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria"), ma le sue speranze cominciano a vacillare fino a crollare del tutto dopo un lungo colloquio con Giuseppe Parini. Così l’idea del suicidio comincia a prendere corpo nell’animo dell’Ortis; non si tratta di un suicidio improvviso, bensì di un suicidio lungamente meditato e accuratamente preparato (l’ultima visita a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l’ultima passeggiata....), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza.

ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS: RIASSUNTO

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo epistolare, composto dalle lettere che il Foscolo immagina scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita a un amico, Lorenzo Alderani. Questi le pubblica, aggiungendo alcuni collegamenti narrativi e descrive, alla fine, la tragica morte del protagonista.

Le lettere raccontano le vicende, le ansie, le riflessioni di Jacopo, la storia mette in evidenza il dramma interiore, che assiste al crollo dei suoi ideali di patria, libertà, amore e giunge ad una disperazione radicale e quindi al tragico epilogo. Rifugiatosi sui Colli Euganei, dopo che Napoleone, col trattato di Campoformio, ha ceduto Venezia all’Austria, Jacopo, esule senza patria, conosce qui Teresa, se ne innamora e ne è ricambiato. Ma il padre di lei l’ha già destinata in sposa al ricco Odoardo; Jacopo è consapevole che il suo amore è un sogno senza speranza perché un animo generoso non può, secondo lui, vivere sotto la tirannide (su questo concetto si allinea al pensiero di Alfieri). Tuttavia è costretto ad abbandonarsi alla passione amorosa perché contemporaneamente vede cadere gli ideali che davano senso alla sua vita.

La seconda parte del romanzo contiene le lettere scritte durante le peregrinazioni del protagonista, che lo portano in numerose città d’Italia. A Firenze, nella chiesa di S. Croce, venera le tombe di Galileo, di Michelangelo e di Machiavelli; a Milano incontra il Parini e parla con lui tristemente delle sorti della patria; più tardi in una località al confine con la Francia, medita sulle alterne vicende dei popoli, che gli appaiono rette da un fato cieco e imperscrutabile. Ritorna, infine, sui Colli Euganei, dove ritrova Teresa ormai sposa, e qui si uccide.

Nella struttura formale dell’Ortis si può notare come il Foscolo sia stato notevolmente influenzato dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe; infatti ad imitazione del Werther, l’Ortis presenta un unico destinatario, del quale non sono inserite le lettere di risposta, che è insieme l’amico, il confidente e il riscontro prudente del protagonista: il romanzo si riduce così ad un diario del protagonista che riproduce solo le riflessioni e gli stati d’animo del poeta. Lorenzo, come Guglielmo nel Werther, pubblicherà le lettere dell’amico aggiungendo, di sua mano, quanto è necessario al lettore per comprenderne la storia. Nella seconda edizione il poeta mette in risalto il tema politico, trascurato in quello precedente, che diventa così quello dominante. La trama dei due romanzi è molto simile. Sia Jacopo che Werther incarnano il tipo dell’eroe sentimentale, generoso, infelice, a disagio nella realtà quotidiana e nel contatto con gli altri, rispetto ai quali però si distingue per nobiltà d’animo. Il loro destino è così segnato dalla solitudine, dalla sconfitta e dalla sventura. La loro breve vicenda umana è dominata dalla riflessione pessimistica sulla realtà in cui vivono; il loro cuore è in continua lite con la ragione e solo la natura sembra corrispondere ai loro stati d’animo.

Si nota anche un notevole influsso del pensiero alfierano: Jacopo incarna l’uomo libero di Alfieri che protesta contro qualsiasi forma di tirannide per l’ideale di libertà; ma mentre l’eroe alfierano rimane nella sua astratta solitudine, l’individuo di Foscolo cerca di attuare i suoi ideali nell’incontro concreto con la società.

L’Ortis è un autobiografia ideale del Foscolo, lo specchio e lo sfogo della sua prima giovinezza appassionata. Jacopo del suo autore riproduce spesso l’essenza e il carattere: infatti è ardente, appassionato, facile all’ira e impulsivo; ma è anche tenero, attento, sensibile e capace di compassione. Inoltre vi confluiscono i suoi amori infelici, le sue esperienze politiche, in primo luogo quella di Campoformio, tanto più grave perché segnò il crollo di quelli ideali che dopo il tramonto della fede religiosa erano divenuti per il poeta unica ragione di vita: da qui le riflessioni sull’uomo.

L’Ortis appare un’opera assai discontinua. Spesso infatti il poeta si lascia trasportare dai sentimenti, da fraseggi che rivelano una personalità ancora un po’ giovane.

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