Verga e il Verismo italiano: riassunto

Verga ed il Verismo: riassunto della vita, opere e pensiero dello scrittore e autore della famosa novella verista Rosso Malpelo

Verga e il Verismo italiano: riassunto
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VERGA E IL VERISMO: RIASSUNTO

Verga e il Verismo: riassunto
Fonte: ansa

Gli anni compresi tra il 1860 e il 1890 sono gli anni in cui nasce il nuovo Stato italiano, e sono caratterizzati da molteplici problemi politici, sociali ed economici, specialmente per il Mezzogiorno. Nella fase giovanile, tardo-romantica e scapigliata, Verga ambienta i suoi romanzi nel mondo alto-borghese e nobiliare, proponendo storie di donne appassionate, di artisti bohémiens, di amori travolgenti e drammatici.

Ma tutto cambia con l'adesione al Verismo, nelle sue opere entra il mondo degli umili, in particolare della Sicilia. Cambia anche il linguaggio, e il punto di vista diventa quello degli stessi personaggi.

Verga sceglie di non far ricorso al dialetto ma di imitare la sintassi dialettale e di italianizzare espressioni tipiche e proverbi popolari. I protagonisti delle opere di Verga appaiono dominati dalla logica economica, dalle leggi dell’utile e dell’interesse. Sul piano ideologico, aderisce al Positivismo, valorizzandone gli elementi materialistici e deterministici ma non si riconosce nel suo ottimismo di fondo: se l’umanità progredisce per effetto delle conquiste scientifiche e tecnologiche, l’uomo singolo è destinato all’infelicità.

GIOVANNI VERGA: BIOGRAFIA E OPERE

La stagione dei capolavori e l’insuccesso dei Malavoglia. Il primo racconto verista di Giovanni Verga è Rosso Malpelo, scritto nel 1878 e inserito nella raccolta Vita dei campi, uscita nel 1880 per l’editore Traves di Milano; nel 1881 fu la volta di I Malavoglia primo romanzo di un progettato ciclo intitolato I Vinti, cui seguirono le Novelle rusticane (dove si trova anche la novella Libertà), il romanzo Il marito di Elena (1882) i racconti Per le vie (1883). I Malavoglia fu un insuccesso, nonostante l’appassionata difesa di Capuana: lo stile - aspro, modulato, sintassi nel dialetto -  e la tecnica narrativa (abbandono del narratore onnisciente) erano troppo anomali per poter essere accolti immediatamente dal pubblico italiano, non abituato allo sperimentalismo, promuove le sue nuove opere all’estero: incominciò una corrispondenza con lo scrittore svizzero Rod Édouard, fece visita a Zola e visitò Londra.

Il successo teatrale. Nel 1884 un grande successo ottenne a teatro il dramma Cavalleria rusticana, lo scrittore fece un nuovo viaggio a Parigi, dove incontrò Zola, De Goncourt, e Rod. Negli anni che seguirono visse a Milano, Roma e in Sicilia, portando a termine la raccolta di novelle Vagabondaggio e il secondo romanzo dei Vinti, Mastro-don Gesualdo, mentre andò in porto la riduzione lirica La Lupa da parte del musicista Puccini. Nel 1893 fece ritorno a Catania. Nella città natale lavorò ai drammi In portineria, La Lupa, Caccia al Lupo, Caccia alla volpe, Dal tuo al mio, e in modo discontinuo al terzo romanzo dei Vinti, La duchessa di Leyra, ma si fermò al primo capitolo (pubblicato Postumo). Visse l’ultima parte della sua vita in maniera riservata. Politicamente assunse un atteggiamento sempre più conservatore.

VERGA E L’ADESIONE AL VERISMO

L’adesione alla poetica del Verismo. Tra i diversi fattori che determinarono la “conversione” di Verga al Verismo, importanti erano:

  • le sue frequentazioni letterarie: in special modo quelle di Cameroni (figura di primo piano nella diffusione del Naturalismo) e di Capuana che, arrivato a Milano nel 1877, recensì L’ammazzatoio di Zola, additandolo come un modello per gli scrittori del “vero”.
  • Le suggestioni letterarie del programma naturalistico sostenuto da Zola.
  • Altrettanto importanti, perché influenzarono i contenuti delle sue opere veriste, furono i dibattiti sulla “questione meridionale” e la teoria dell’evoluzione di Darwin, dalla quale ricavò il concetto della lotta per la vita come base dello sviluppo della storia umana. Il sentimento profondo che lo legava alla sua terra, a cui ora poteva di nuovo guardare con il vantaggio della distanza.

IL METODO VERISTA DI VERGA

Verga ha condensato in lettere, specie a Capuana, e in due documenti il suo “metodo verista”: la prefazione alla novella L’amante di Gramigna concepita come una lettera rivolta all’amico scrittore Farina, e la prefazione ai Malavoglia.

Nella prima egli afferma che il compito della nuova letteratura è di produrre documenti umani, scritti con le stesse parole semplici e pittoresche popolari. Il lettore della novella si troverà difronte al fatto nudo e schietto, non frutto cioè dell’immaginazione dell’autore. Indica poi nel romanzo la più completa e la più umana delle opere d’arte e prevede che nel futuro esso raggiungerà una tale perfezione che sarà impossibile riconoscere la mano dell’artista. Si tratta dell’impersonalità.

Nella Prefazione ai Malavoglia però lo approfondisce in maniera originale, sostenendo che se si vuole dare una riproduzione esatta dell’ambiente, la forma deve essere inerente al soggetto rappresentato. Per narrare “il fatto nudo e schietto”, senza filtrarlo attraverso il proprio punto di vista, l’autore deve utilizzare il linguaggio del mondo che descrive; inoltre, la soggettività dei personaggi deve emergere non più dall’analisi psicologica ma dalla descrizione dei suoi effetti e, quindi, dai gesti, dalle parole e dai comportamenti. L’intenzione di far emergere dalla pagina scritta la realtà come se “si fosse fatta da se” comporta, in altre parole, l' “eclisse” dell’autore, che non giudica, ma ha il solo obiettivo di rappresentare avvenimenti, oggetti e personaggi. Di qui la rottura con la tradizione manzoniana del narratore onnisciente, che, interveniva a commentare i fatti.

Dal punto di vista dei contenuti le prime opere veriste di Verga, la raccolta Vita dei campi e il romanzo I Malavoglia, trassero ispirazione dalle Lettere meridionali di Villari e soprattutto dall’inchiesta La Sicilia del 1876 dei due deputati delle Destra Franchetti e Sonnino. Sulla rivista “Rassegna settimanale” da loro fondata, Verga pubblicò anche cinque novelle, poi confluite in Vita dei campi e Novelle rusticane. Una di queste, Fantasticheria, introduttiva ai Malavoglia per i personaggi e gli ambienti narrati, costituisce una dichiarazione di poetica. La novella è in forma di lettera a una dama dell’alta società che, fermatasi nel villaggio di pescatori di Acitrezza perché affascinata da quel mondo pittoresco, ne fugge dopo due giorni annoiata. Alla dama, che non riusciva a comprendere come si potesse vivere per tutta la vita in quel mondo chiuso, immobile e rassegnato, lo scrittore spiega come ciò sia possibile se si fa propria la “morale dell’ostrica”: solo se si resta tenacemente attaccati agli affetti familiari, come l’ostrica allo scoglio, e si accetta di vivere nelle condizioni in cui il destino ci ha fatto nascere si può condurre un’esistenza, se non felice, almeno serena; chi per desiderio di migliorare, vuole staccarsi dal proprio ambiente, è destinato a perdersi perché il mondo, pesce vorace, se lo ingoia.

Verga rifiuta l’ottimismo positivista che sottende la concezione di Darwin. In lui la legge biologica della selezione naturale e della lotta per la vita diventa lotta per il miglioramento della propria concezione sociale; ma tale lotta ha un unico esito: l’inevitabile disfatta dei più deboli e la fatalistica sopraffazione del più forte, quest’ultimo destinato, a sua volta, a essere schiacciato da un altro più potente.

Poetica antiromantica e ruolo sociale dello scrittore. Dal momento che sono i condizionamenti esterni, l’ambiente, a determinare i comportamenti individuali, i valori ideali, a differenza di quanti sostenevano i romantici, non possono incidere sulla realtà. Di conseguenza, l’intellettuale può solo limitarsi a registrare la realtà e a mettere in luce il lato negativo, rinunciando a trasformarla.

LE NOVELLE DI VITA DEI CAMPI

La raccolta di Vita dei campi, pubblicata nel 1880, comprende otto novelle (Rosso Malpelo, L’amante di Gramigna, Fantasticheria, Cavalleria rusticana, La Lupa, Jeli il pastore, Guerra di santi, Pentolaccia). In esse l’autore descrive, sullo sfondo della campagna siciliana, i meccanismi che regolano la vita degli umili. La raccolta, subito recensita da Capuana, piacque anche al pubblico per la maniera, inconsueta, con cui raccontava il mondo degli umili, la loro vita quotidiana, senza cedere in una retorica idealizzazione.

Le novelle-manifesto: L’Amante di Gramigna e Fantasticheria sono considerate testi programmatici del verismo verghiano. La prima è la storia di una ragazza che abbandona la ricca casa paterna e il fidanzato per seguire il brigante Gramigna e poi vivere in miseria vicino al carcere in cui l’amante è stato rinchiuso; la seconda è il racconto di una ricca ed elegante signora che trascorre due giorni fra i poveri pescatori di Acitrezza.

Il tema dominante della raccolta è l’amore, come passione, destinato a sfociare nella violenza. La Lupa, per esempio, pur sapendo che il genero, al quale è legata da un rapporto incestuoso, finirà per ucciderla, accetta la morte come conseguenza inevitabile della sua malsana passione. La trasgressione è punita con la morte anche nella Cavalleria Rusticana: Turiddu, ritornato dal servizio militare, scopre che la sua innamorata, Lola, si è promessa in sposa a un ricco carrettiere, compare Alfio; dopo il matrimonio Turiddu, per farla ingelosire, corteggia Santa e riesce nel suo intento: Lola diventa sua amante; ma Santa rivela tutto a compare Alfio, che uccide Turiddu.

Il motivo economico è il motore di avvenimenti: Nanni sposa la figlia della Lupa, Maricchia, perché ha una ricca dote; Lola sposa compare Alfio per interesse economico; anche Santa per essere allo stesso livello nella considerazione di Turiddu, fa sfoggio della propria ricchezza; in Jeli il pastore, la moglie Mara accetta la corte del ricco padrone e ne diventa l’amante: quando Jeli scopre il tradimento, taglia la gola al seduttore. La Lupa, Jeli, Rosso Malpelo introducono a un altro tema ancora, quello del personaggio solitario ed escluso, caro alla sensibilità romantica. La Lupa è evitata da tutti; Jeli, il tipico “primitivo” a suo agio solo in campagna, è un vinto per nascita e finirà in carcere; Rosso Malpelo ha la consapevolezza delle leggi crudeli che governano la società; sa che la lotta per la sopravvivenza è legata alla capacità di apprendere in fretta le regole; ma poiché contro il più forte è inutile lottare, alla fine si rassegna.

L’impersonalità: regressione e straniamento.

In Vita dei campi la novità della raccolta, da un punto di vista della tecnica narrativa e dello stile, è legata dalla scelta dell’impersonalità; la narrazione è affidata a una voce polare che racconta i fatti dall’interno di quel mondo, che assume il punto di vista della collettività o dei singoli personaggi, la loro scala dei valori e il loro linguaggio, senza che lo scrittore intervenga con commenti e giudizi. Questa distanza che Verga introduce tra autore e narratore è stata definita dalla critica “regressione”, a indicare appunto la rinuncia dell’autore a rappresentare se stesso, la propria cultura, per mettersi al livello dei personaggi. La Lupa, per esempio, è presentata all’inizio del racconto secondo il punto di vista delle donne del paese.

L’autore si affida all’ironia per creare la possibilità di un diverso giudizio sui fatti. In Rosso Malpelo la voce narrante fa propria sia la credenza popolare, per la quale chi ha i capelli rossi è cattivo, sia il pregiudizio che interpreta come cattivo qualunque gesto del ragazzo, determinando la sua esclusione. Ma il punto di vista del narratore non coincide con quello dell’autore: questa divergenza produce uno scarto ironico, uno “straniamento” (i fatti normali sono presentati come se fossero strani e viceversa), per cui il lettore comprende delle situazioni che Malpelo non è cattivo come appare.

Discorso indiretto libero, che comunica immediatamente al lettore le parole e i pensieri dei personaggi. Il linguaggio è popolare.

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CICLO DEI VINTI

La “morale dell’ostrica” è ribadita nei Malavoglia, il primo del ciclo I Vinti, cinque romanzi che dovevano essere dedicati ciascuno a una classe sociale diversa, dalla più umile (I Malavoglia) alle intermedie (Mastro don Gesulado), alle più alte (Duchessa di Leyra), con incursioni nel ceto politico (Onorevole Scipioni) e in quello intellettuale (Uomo di lusso), dove più evidenti sono i legami della poetica, oltre che con il Naturalismo francese e con Zola, con il Positivismo e il darwinismo applicato alla realtà materiale, umana e sociale.

La struttura e la genesi del romanzo: il narratore popolare. Nei Malavoglia il movente dell’attività umana è infatti la lotta per i bisogni naturali: una famiglia di pescatori lotta per non essere travolta dalla povertà, per la casa da riscattare e per l’onore da difendere.

Già dal titolo l’autore assume il punto di vista dei personaggi: i componenti della famiglia Toscano, brava gente e di buona volontà, sono soprannominati “Malavoglia” dai compaesani. Il romanzo si compone di tre parti: la prima e la seconda hanno per protagonista il capofamiglia, padron ‘Ntoni’; nella terza protagonista è il giovane ‘Ntoni’.

Le fonti. In una lettera del 1875 all’editore Treves, Verga accennava a un “bozzetto” dal titolo Padron ‘Ntoni’. Successivamente l’autore, venuto a conoscenza dell’inchiesta di Franchetti e Sonnino (La Sicilia nel 1876) trova in essa nuovi spunti per sviluppare il soggetto dei Malavoglia (la leva militare, la battaglia di Lissa, il colera, il contrabbando, la questione delle tasse, il dazio sulla pece per le barche).

Oltre a questa fonte legata alla realtà politico sociale, raccoglie informazioni sugli usi, le tradizioni e i modi linguistici del popolo siciliano, utilizzando tra l’altro le raccolte di proverbi e le opere etnografiche di Pitré e Rapisarda.

GIOVANNI GERVA: PENSIERO

L’obiettivo del letterato verista, sulla scia dell’artista-scienziato di Zola, è di fornire documenti. Verga interpreta e spiega la realtà, facendone una ricostruzione intellettuale e scientifica. Di qui la duplice natura dei Malavoglia, a metà tra romanzo e studio sociale. Acitrezza, presentata in una prospettiva mitica (un mondo immobile nelle sue consuetudini), ma si precisano i luoghi della vicenda (Ognini, Acitrezza, Aci Castello) e il tempo: nel 1863 ‘Ntoni à chiamato per il servizio di leva, dunque lascia il paese e viene a contatto con il “progresso”, di cui il treno che lo condurrà a Napoli è simbolo. Quindi è anche veristica (un ambiente storicamente determinato): non è la copia di un paese siciliano ma è un modello scientifico (come ricostruito in un laboratorio), che poi l’autore identifica come un paese geograficamente accettabile, negli anni successivi all’unificazione, e con personaggi tipici di quel paese e di quel tempo: padron ‘Ntoni rappresenta il piccolo proprietario di una casa e di una barca da pesca (che si chiama “Provvidenza”), che lavora in proprio; zio Crocifisso e padron Cipolla, che possiedono “roba” (terreni, vigne, oliveti) e denaro, incarnano il ceto agrario e improduttivo; don Silvestro, segretario comunale, è l’uomo nuovo del ceto burocratico amministrativo, in questo caso corrotto e truffatore, che contribuisce alla rovina dei Malavoglia.

Più che alle vicende storico-politiche, Verga è interessato alle conseguenze che il desiderio di progredire produce in una società arcaica, fondata sulla famiglia patriarcale. Secondo il principio dell’ “impersonalità”, che Verga enuncia nella Prefazione al romanzo e nella prefazione a L’Amante di Gramigna, egli si serve di una voce narrante con la quale non si identifica e che fa parte del mondo popolare rappresentato. Tuttavia, il meccanismo narrativo dei Malavoglia risulta molto più articolato, per via dei molteplici punti di vista attraverso cui è costruito il romanzo, così che il narratore mentre lascia spesso la parola ai vari personaggi (che si esprimono attraverso l’indiretto e l’indiretto libero) mantiene una posizione fluttuante da un personaggio all’altro.

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