Quintiliano: pensiero e opere

Vita, pensiero pedagogico e opere di Marco Fabio Quintiliano, oratore romano autore dell'Institutio oratoria e De causis corruptae eloquentiae
Quintiliano: pensiero e opere
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1Marco Fabio Quintiliano (35 d.C. - 96 d.C.)

Statua di Quintiliano a Calahorra, città natale dell'oratore romano
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«Ego (neque id sine auctoribus) materiam esse rhetorices iudico omnes res quaecumque ei ad dicendum subiectae erunt» (Inst. or, II, 21, 4). 

Io (e non lo dico senza il sostegno di altri) penso che oggetto di studio della retorica siano tutte le cose possano rientrare in un discorso.

Quando si dice essere figli d’arte o calcare le orme dei genitori, essere predestinati a fare cose grandi anche grazie all’humus che ci nutre da piccoli: figli di calciatori che diventano grandi calciatori, come Paolo Maldini figlio di Cesare; figli di musicisti che diventano grandi musicisti, come Wolfgang Amadeus figlio di Leopold Mozart.  

Questa è però la vicenda di un insegnante di retorica, l’arte del parlare che è anche l’arte del pensare perché tra parola e pensiero, come diceva De Mauro, c’è una stretta correlazione: meno parole sai, meno pensieri articolati puoi comporre, meno puoi comprendere ciò che ti sta attorno. Ecco perché anche oggi gli insegnanti della lingua madre godono di un privilegio particolare in termini di ore. Le parole sono le chiavi per comprendere anche le altre discipline e questo, Quintiliano, l’aveva capito bene. Figlio un maestro di retorica, divenne il primo insegnante pubblico, il primo professore statale

Nella sua Institutio oratoria, ci racconta la sua esperienza di docente e suggerisce i suoi metodi educativi: questo fatto è particolare, sai perché? I docenti parlano poco del loro modo di insegnare. Ed è un male, secondo me. Si parla tantissimo di metodologia didattica, ma gli unici a non parlarne davvero, raccontando successi e insuccessi, stratagemmi, metodi, trucchi e aneddoti molto curiosi sono proprio i docenti.   

2La vita di Quintiliano

 Marcus Fabius Quintilianus (circa 35-circa 100)
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Figlio di un maestro di retorica, Marco Fabio Quintiliano nasce nel 35 d. C. a Calagurris (odierna Calahorra), nella Spagna Tarragonese. Venne prestissimo a Roma per studiare con il grammatico Remmio Palemone e il retore Domizio Afro. Tornato in Spagna aprì una sua scuola finché nel 63 Sulpicio Galba (successore per pochi mesi di Nerone) lo fece rientrare a Roma dove Quintiliano continuò ad insegnare e a praticare l’attività forense

Quintiliano doveva davvero essere un insegnante straordinario perché la sua fama aumentava sempre di più al punto che ebbe tra i suoi allievi Plinio il Giovane e probabilmente anche lo storico Tacito. Fu sotto l’imperatore Vespasiano che Quintiliano divenne il primo professore di retorica di Roma, ricoprendo una cattedra pubblica, finanziata dallo Stacon un stipendio di centomila sesterzi annui. L’imperatore Domiziano lo volle come tutore dei suoi due nipoti designati alla successione al trono e lo ricompensò con il conferimento della dignità consolare.   

Nella vita privata, tuttavia, il successo non gli arrise: molti furono i lutti: la sua giovane moglie e i suoi due figli. Nell’88 d. C. Quintiliano si ritira dalla vita pubblica, lasciando l’insegnamento e dedicandosi però a fare un bilancio di quanto studiato. Vedono così la luce molte sue opere, tra cui la monumentale Institutio oratoria. Morì intorno al 96 d. C. 

3Quintiliano: le opere minori e l’Institutio oratoria

Per quanto riguarda le opere minori Quintiliano scrisse un tratto De causis corruptae eloquentiae, ossia sulle cause della decadenza dell’oratoria, che era stata invece in auge fino alla tarda età repubblicana e toccando il suo apice con Cicerone. La corruzione dell’oratoria (o dell’eloquenza) è un vero e proprio topos della letteratura imperiale, basti pensare che anche nel Satyricon di Petronio questo tema è ampiamente sfruttato. 

Ci sono poi le Declamationes, divise in due libri: cosa sono le declamazioni, ti starai chiedendo. Sono dei discorsi su temi prefissati che potevano essere impostati secondo la forma della controversia o della suasoria

Nel primo caso si doveva inscenare un vero e proprio dibattito o addirittura un processo, ricollegandosi a precise norme giuridiche da interpretare; nel secondo caso bisognava persuadere un personaggio reale o mitico a compiere l’azione chiave della propria esistenza. Ne abbiamo 19 maiores, dall’ampia stesura improntate a un forte stile asiano (sono quasi sicuramente spurie), e 145 minores, forse in parte autentiche. Cosa potrebbero essere queste declamazioni? Chissà magari nient’altro che esercizi dei suoi alunni migliori; esempi; dispense, modelli. Ma non lo sappiamo quindi consideriamole non autentiche

Veniamo, però, al suo capolavoro: l’Institutio oratoria, scritta con ogni probabilità tra il 93 e il 96 d. C. sul finire della vita di Quintiliano, pubblicata probabilmente l’anno stesso della sua morte. Vediamo più da vicino l’Institutio oratoria a cui dedichiamo un paragrafo a parte. 

3.1Institutio oratoria (93-96 d. C.)

Ritratto di Cicerone
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Come abbiamo detto, con questa opera Quintiliano intende affrontare il tema dell’insegnamento dell’oratoria e fronteggiare la decadenza in cui quest’arte era scaduta. Ma intanto, prima di andare ai nodi concettuali più interessanti, diamo alcuni necessari riferimenti sulla composizione. Intanto vale la pena ricordare che i passi necessari (già teorizzati da Cicerone, sulla scorta dei modelli greci) per comporre una buona orazione fossero questi: inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio

L’opera naturalmente affronta anche questi temi oltre all’approccio didattico ed è divisa in dodici libri ripartiti in questo modo:  

  • I-II: Lungo proemio, tipico delle grandi opere, e poi si inizia. Il libro I affronta il tema dell’educazione del bambino dalla culla fino alla scuola del grammaticus (che sarebbero le odierne scuole elementari-medie). Il II introduce l’insegnamento della retorica, definendo la figura del maestro e le esercitazioni necessarie a migliorarsi.
  • III-VI: Inizia la parte tecnica. Quintiliano delinea i diversi generi e le diverse funzioni della retorica. Si passa quindi a parlare della inventio – il reperimento degli argomenti per la costruzione del discorso.
  • VII: si parla della dispositio, ossia come devono essere ordinati argomenti e argomentazioni all’interno di un’orazione.
  • VIII-IX: si parla invece dell’elocutio, ossia dello stile da adottare nell’oratoria e delle diverse figure retoriche che servono a ornare il discorso.
  • X: Quintiliano passa in rassegna i principali autori greci e latini del passato, visti come possibili modelli di stile per l’oratore. Su ciascuno Quintiliano offre un giudizio sintetico ed è molto interessante vedere con quale metro giudica gli scrittori antichi. A ben vedere l’autore ci offre qui una specie di breve storia letteraria della latinità. Neanche a dirlo è sempre privilegiato l’aspetto formale più prettamente latino: quello della gravitas moderata capace di enfatizzare con misura le parole e le espressioni. Il modello prediletto di oratore? Neanche a dirlo: Cicerone!
  • XI: si parla qui della memoria – le tecniche mnemoniche per studiare il discorso – e dell’actio, che sarebbe la gestualità con cui accompagnare le parole durante l’orazione.
  • XII: viene delineato il ritratto del perfetto oratore, sottolineando l’importanza della sua moralità e del rapporto di mutua fiducia con il princeps.

Il modello stilistico di Quintiliano è Cicerone, come si è detto, ma nella prosa l’autore usa spesso molti artifici retorici con forme espressive ormai di gusto post-classico (se per classico intendiamo Cicerone appunto) con numerosi chiasmi, antitesi e parallelismi. Sebbene Quintiliano deprecasse la prosa di Seneca, tuttavia in alcuni passaggi tende molto a somigliargli. 

4Pensiero di Quintiliano: principi e teorie educative

L’educazione è fondamentale, lo sappiamo tutti eppure oggi la scuola è sempre sotto accusa, spesso ingiustamente. Se pensiamo anche solo all’esperienza di Don Milani, della Montessori, capiamo che l’educazione è il punto di partenza di tutto. C’è anche una celebre conferenza di David Foster Wallace in cui spiega che l’educazione ci permette di capire in che acqua stiamo nuotando e di avere una visione aperta della realtà. Ma ci vogliono buoni insegnanti, bravi didatti, persone in grado di porsi di continuo domande e di donare queste domande ai loro alunni. Soprattutto oggi in cui le informazioni sono alla portata di tutti. Ma torniamo al nostro autore.  

Il punto di vista di Quintiliano sulla didattica è incredibilmente moderno. Nei primi due libri della sua opera, l’autore si sofferma sull’educazione del bambino ed è evidente che tutti i concetti da lui espressi siano frutto di un’attenta osservazione sul campo e della sua personale esperienza di docente. Quintiliano afferma che le abilità comunicative del bambino vadano curate da subito, già quando è sotto la guida del grammaticus (ricordo una sorta di maestro di scuola elementare). 

Insomma: nei primi due libri, Quintiliano ci offre il primo trattato di pedagogia e testimoniano la grande cura di Quintiliano per la psicologia e le modalità di apprendimento del bambino che sono il punto nevralgico attorno al quale l’insegnante deve muoversi.  

Ogni bambino ha una sua indole che deve essere rispettata e qualunque intervento dell’insegnante non può prescindere dal tenerne conto. Inoltre, afferma l’autore, tutti possono imparare, se curati e guidati. E se anche qualcuno è più intelligente di un altro, questo non significa che non possiamo imparare e migliorarci.  

C’è poi un aspetto in cui mi rivedo tanto: Quintiliano consiglia vivamente agli insegnanti di non abusare del proprio potere, di non terrorizzare con la propria autorità, ma di mostrare un affetto quasi paterno, animato da un profondo rispetto per l’altro. Insomma: deve essere empatico.  

Quintiliano rifiuta con forza le punizioni corporali (e per l’epoca era una prassi innovativa e non solo; io stesso alle elementari, ‘qualche’ decennio fa ricevevo tirate di capelli e ceffoni) e valorizzare la componente ludica dello studio e l’importanza dello svago e della ricreazione (Inst. or, I, 3, 8-12). Quintiliano suggerisce ai docenti di sfruttare il divertimento per imparare e di spendere tempo con gli alunni nel gioco.  

Ne emerge un ritratto del docente che ancora oggi, non solo è valido, ma è addirittura il punto di arrivo, un modello a cui aspirare e che vale la pena riportare per intero. Se tra i tuoi insegnanti c’è qualcuno così, ritieniti davvero fortunato. 

«Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi [5] tradantur existimet. Ipse nec habeat uitia nec ferat. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus [6] potius quam inmodicus. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia [7] res altera taedium laboris, altera securitatem parit. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque conementumeliosus; nam id quidem multos a propo studendi [8] fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint. Ipse aliquid, immo multa cotidie dicat quae secum auditores referant. Licet enim satis exemplorum ad imitandum ex lectione suppeditet, tamen uiua illa, ut dicitur, uox alit plenius, praesupcipueque praeceptoris quem discipuli, si modo recte sunt instituti, et amant et uerentur. Vix autem dici potest quanto libentius imitemur eos quibus fauemus» (Inst. or. II, 2, 4-8). 

[(L’insegnante) assuma dunque innanzitutto sentimenti paterni nei confronti dei suoi scolari e ritenga di sottentrare al posto di coloro che affidano a lui i loro figli. Egli non abbia vizi, né li tolleri. Sia egli austero ma non rigido, sia benevolo ma non privo di energia, perché non si faccia odiare per la rigidezza e disprezzare per la mancanza di energia. Il suo discorso verta spessissimo su ciò che è buono e onesto, perché quanto più spesso avrà dato ammonimenti tanto più raramente dovrà castigare. Non sia affatto collerico, e tuttavia non passi sopra a ciò che meriterà di essere biasimato; sia semplice nella sua maniera di insegnare, tollerante la fatica, assiduo piuttosto che eccessivo. Risponda volentieri a coloro che lo interrogano e spontaneamente prevenga ed interroghi quelli che non fanno domande. Nel lodare le prestazioni dei discepoli non sia né scarso né prodigo, perché il primo atteggiamento genera avversione al lavoro, il secondo una fiducia dannosa. Nel correggere gli errori non sia aspro e per niente offensivo, perché ciò che allontana molti dal proposito di studiare è che certi maestri sgridano come se odiassero. Egli dica ogni giorno qualcosa, anzi molte che gli ascoltatori ripetano tra sé; sebbene infatti la lettura fornisca molti esempi da imitare, tuttavia la voce, come si suol dire, viva dà maggior nutrimento, e specialmente quella di un maestro che i discepoli, purché siano stati rettamente formati, amano e rispettano.]

Me lo leggo spesso e lo uso con un mio personale esame di coscienza. Fermo lì: ce n’è anche per te… il grande didatta dell’antichità offre – e non poteva essere altrimenti – anche un ritratto dell’alunno ideale… 

«Plura de officiis docentium locutus discipulos id unum interim moneo, ut praeceptores suos non minus quam ipsa studia ament et parentes esse non quidem corporum, sed mentium credant. [2] Multum haec pietas conferet studio; nam ita et libenter audient et dictis credent et esse similes concupiscent, in ipsos denique coetus scholarum laeti alacres conuenient, emendati non irascentur, laudati gaudebunt, ut sint carissimi studio merebuntur [3]. Nam ut illorum officium est docere, sic horum praebere se dociles: alioqui neutrum sine altero sufficit; et sicut hominis ortus ex utroque gignentium confertur, et frustra sparseris semina nisi illa praegignenmollitus fouerit sulcus, ita eloquentia coalescere nequit nisi sociata tradentis accipientisque concordia». 

[Dopo aver lungamente trattato del dovere dei maestri, raccomando per or ai discepoli solo questo, che amino i precettori non meno degli studi stessi, considerando si non fisicamente ma spiritualmente loro figli. 2. Tale rispetto sarà molto utile allo studio, perché così ascolteranno volentieri, avranno fiducia nelle parole del maestro e desidereranno vivamente essergli simili, si presenteranno lieti e volenterosi a scuola tra i compagni, non si adireranno se rimproverati, saranno fieri delle lodi e si renderanno degni, con l’applicazione continua e appassionata, di essere carissimi ai loro precettori. 3. Infatti come a questi compete insegnare, così è dovere degli allievi mostrarsi ben disposti ad imparare: del resto, l’unica cosa senza l’altra non approda a nulla. In realtà, come la nascita di un uomo è opera di ambedue i genitori – e invano seminerai, se non sarà stato preparato i solco a ricevere nel suo grembo la semenza –, così l’eloquenza non può allignare, se non a condizione che sia realizzata un’intesa cordiale tra maestro e discepolo.]

Ti riconosci in questo ritratto o fai dannare i tuoi insegnanti? Riflettici. Per quanto riguarda il dibattito scuola pubblica/educatore privato, Quintiliano appoggia la prima: la scuola pubblica forma il ragazzo a interagire con gli altri e anche il desiderio di farsi notare e primeggiare non è negativo in sé, perché, se armonizzato, può favorire il processo educativo

Per quanto riguarda i ‘programmi’ di studio, se così si può dire, Quintiliano sostiene l’importanza di una netta gradualità: in primo luogo le lettere dell’alfabeto, poi le sillabe e solo dopo molti esercizi intere parole e brevi massime. In seguito, come detto, prima si passa alla scrittura e poi alla letteratura. 

Per concludere, non possiamo prescindere dalla lezione di Quintiliano come docenti e come discenti. Rileggerlo e studiarlo ci può aiutare a capire sempre di più quella particolare missione rappresentata dall’educazione che è un processo continuo, che non può conoscere sosta. 

    Domande & Risposte
  • Chi è stato Marco Fabio Quintiliano?

    Oratore romano e primo maestro di retorica a Roma, ricoprendo una cattedra pubblica e stipendiato dal fiscus imperiale.

  • Cosa ha scritto Quintiliano?

    Il capolavoro di Quintiliano è l’Institutio oratoria: l’autore racconta la sua esperienza di docente e suggerisce i suoi metodi educativi. Le opere minori: De causis corruptae eloquentiae e Declamationes (non autentica).

  • Su cosa si basa la pedagogia di Quintiliano?

    Si discosta dall'educazione tradizionale, ad esempio è contraria alle pene corporali, e punta alla formazione generale dell'allievo.