Crisi economica 2008: cause e conseguenze

Cause e conseguenze della crisi economica del 2008: evoluzione, effetti e rimedi contro la crisi, con analogie e differenze con la crisi del 1929

Crisi economica 2008: cause e conseguenze
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Crisi economica 2008 - 2009

<<Quando gli Stati Uniti starnutiscono, il resto del mondo prende il raffreddore>>

Sembra che questo vecchio detto descriva perfettamente la situazione economica globale di questo biennio: al primo segnale di instabilità del mercato finanziario statunitense, il mondo occidentale si è trovato a dover affrontare una crisi nata fondamentalmente negli USA, analogalmente a quanto successo nel 1929 con il crollo di Wall Street.

Crisi 2008 e 1929: analogie e differenze

In molti affermano che quella che sta vivendo la nostra generazione sia riconducibile alla crisi del 29-33, ed effettivamente si tratta in entrambi i casi di una crisi strutturale, causata da un’inadempienza improvvisa e dalla mancanza di liquidità; ma è anche vero che se una volta erano le imprese in fallimento i soggetti inadempienti, oggi lo sono le famiglie che non hanno risorse economiche sufficienti a pagare gli interessi sui mutui immobiliari. Inoltre l’instabilità delle potenze vincitrici e sconfitte della Grande Guerra le aveva rese vulnerabili alla crisi e messe in ginocchio al primo crollo del mercato borsistico; allo scoppiare dell’attuale crisi, invece, gli Stati europei erano economicamente più stabili e pronti ad affrontare il problema.

Come vedremo più avanti, infatti, la crisi che ci ha raggiunti non ha provocato i danni che invece stanno subendo gli Stati Uniti. Infine, l’introduzione dello Stato nell’economia suggerita da Keynes ha saputo aiutare gli Stati Uniti ad uscire dalla Grande Depressione come sta aiutando oggi le banche a ricapitalizzarsi attraverso ingenti iniezioni di liquidità.

Crisi del 2008: cause

Le cause di questa crisi finanziaria divenuta poi economica sono molteplici: l’incremento dei prezzi delle materie prime, iniziato nei primi mesi del 2008 e che ha visto salire il petrolio al prezzo record di 147$ al barile il giorno 11 luglio 2008, la crisi alimentare mondiale e l’aumento del prezzo del grano, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione già nata nel 1991 in America e l’esplosione della bolla dei valori Internet del 2001. Inoltre, a partire dal secondo dopoguerra, le economie capitalistiche iniziarono ad esaltare i vantaggi del credito facile per consentire alle famiglie di procurarsi ogni tipo di comodità, dalla casa all’automobile, dagli elettrodomestici ai viaggi; questa nuova economia indirizzò le famiglie al consumo e non più al risparmio, e al rinvio al futuro della spesa attraverso strumenti quali bancomat ed il pagamento a rate. Saranno queste ultime ad originare la crisi economica che stiamo vivendo. Ecco cos’è successo.

Crisi immobiliare e finanziaria

Tutto è iniziato in Gran Bretagna, a Londra, dove venne ideata la cartolarizzazione dei mutui subprime, che poi fu adottata per la prima volta dagli Stati Uniti. Definiamo alcuni termini tecnici.

I mutui subprime sono prestiti concessi dalle banche a soggetti che non si possono permettere gli alti tassi di interesse del mercato poiché posseggono un reddito basso e/o instabile. Il primo errore fu proprio questo: concedere a soggetti senza alcuna garanzia ingenti capitali per finanziare l’acquisto di una casa, senza tener conto del rischio.

Tutta questa sicurezza era giustificata dall’andamento positivo del mercato immobiliare. Infatti, a partire dal 2000 fino a metà del 2006, il prezzo delle abitazioni era notevolmente cresciuto, stimolando le banche a concedere più mutui a tassi di interesse bassi (tra il 2001 e il 2004 si avranno tassi di interesse dell’1,5-2% fonte: Federal Reserve), rassicurati dal fatto che se il cliente fosse stato insolvente, la banca avrebbe potuto pignorare la casa e rivenderla ad un prezzo sicuramente più alto, dato il costante aumento dei prezzi.

Il secondo errore venne fatto nel 2004, quando le banche decisero l’aumento dei tassi di interesse sui mutui subprime e i clienti si ritrovarono a pagare interessi troppo onerosi per il loro reddito, tanto che la maggior parte di loro risultarono insolventi. Le banche, per recuperare il denaro perduto, iniziarono a vendere le case dei clienti insolventi, compiendo però un terzo errore: si venne a creare una bolla immobiliare che nell’autunno del 2006 sfociò inevitabilmente nel crollo dei prezzi delle abitazioni. Dunque, anche se le banche pignoravano le abitazioni dei clienti, non riuscivano a rifarsi del capitale perduto, poiché il prezzo delle case era notevolmente diminuito dal momento dell’acquisto dell’abitazione stessa.

Ma non è finita qui. Il motivo per il quale la crisi si è estesa anche nel resto del mondo è da attribuirsi al sopraccitato fenomeno della cartolarizzazione. Attraverso questo meccanismo, prima della bolla immobiliare, le banche riuscivano a rivendere i mutui subprime trasferendone il rischio nel mercato finanziario e riuscendo a trarre profitti senza dover aspettare gli anni necessari a permettere al mutuatario di ripagare totalmente il prestito. Questo era reso possibile dalle cosiddette Società Veicolo, che compravano i mutui alle banche permettendo loro di recuperare liquidità e ricominciare a concedere mutui.

Le Società Veicolo, a loro volta, emettevano obbligazioni ritenute dalle agenzie di rating molto sicuro (ulteriore errore) e si rivolgevano ai mercati finanziari chiedendo in prestito dei soldi con la garanzia di ripagare gli interessi con le rate dei mutui che avrebbe incassato in futuro. Dunque, quando la banca riceveva la rata dal mutuatario con un tasso di interesse dell’8%, rigirava il denaro alla Società Veicolo; quest’ultima ripagava i mercati finanziari pagando un interesse del 4%, e traendo profitto dalla differenza tra 8-4%. Le obbligazioni emesse dalle Società Veicolo intanto, favorite dal fenomeno della globalizzazione, raggiungevano tutti gli angoli del mondo. Uno dei difetti della globalizzazione, però, è che i problemi di un solo Stato riescono a diffondersi nel resto del mondo come un virus. E così è stato.

Quando le banche iniziarono ad avere troppi clienti insolventi e non riuscirono più a ripagare le perdite con la vendita degli immobili, le Società Veicolo non ricevettero più le rate che gli spettavano, le obbligazioni persero valore e tutti coloro che avevano acquistato quelle obbligazioni che in realtà erano ad altissimo rischio, persero i loro capitali. E’ così che si è passati da una crisi immobiliare ad una crisi finanziaria.

Crisi finanziaria e crisi economica

Con le perdite sui titoli “tossici” legati ai mutui subprime, nel mercato finanziario si è andato a creare un clima di sfiducia tra le banche, che hanno smesso di prestarsi soldi a vicenda, andando incontro ad una crisi di liquidità: non avendo più a disposizione denaro per pagare i propri creditori e non potendo più contare sull’appoggio delle altre banche per procurarsene dell’altro, da una crisi di liquidità si è passati ad una crisi di insolvenza. Per tener testa a questo nuovo problema, le banche hanno iniziato a vendere titoli per ottenere liquidità e a ridurre i prestiti alle famiglie alle imprese. Ma questi drastici provvedimenti hanno dato il via ad un circolo vizioso: la precipitosa liquidazione di titoli ha determinato il crollo delle borse, e famiglie e imprese si sono ritrovate da un giorno all’altro senza denaro e finanziamenti.

Conseguenze della crisi economica

La crisi economica ha avuto ripercussioni negative su tutti i fronti, decretando fallimenti di piccole-medie ma anche grandi imprese, alti tassi di disoccupazione e mettendo in difficoltà tutto il sistema bancario mondiale. I più noti imperi finanziari che sono stati messi in ginocchio dalle perdite legate ai mutui subprime e la successiva crisi di liquidità sono Lehman Brothers ormai fallita, Merrill Lynch inglobata da Bank of America e Fannie & Freddie da settembre del 2008 sotto il controllo amministrativo dello Stato americano.

Nel resto del mondo, Philips, dopo aver registrato la prima perdita trimestrale dal 2003, ha annunciato il taglio di 6mila posti di lavoro. In Inghilterra le imprese britanniche hanno preso in considerazione la possibilità di ridurre la settimana lavorativa a tre giorni pur di non alimentare il già alto tasso di disoccupazione che nell’ultimo trimestre ha costretto a casa più di due milioni di lavoratori. Solo a febbraio negli Stati uniti il tasso di disoccupazione è salito a 8,1% e a 6,8% nella nostra penisola dopo il fallimento di 60mila piccole e medie imprese perlopiù familiari.

Come conseguenza della disoccupazione, più di 81mila famiglie in Italia non hanno rispettato le scadenze delle rate del mutuo, e il 72% degli italiani hanno cambiato le abitudini di spesa, orientandosi verso i prodotti a basso costo e perdendo la fiducia nel sistema bancario: chiaramente tutti questi fattori hanno portato ad una recessione economica che, senza propensione al consumo e fiducia negli istituti bancari, difficilmente riuscirà a riprendersi.

I rimedi contro la crisi

Si è sentito molto parlare di iniezioni di liquidità, ricapitalizzazione e salvataggio delle banche. Ebbene, i governi dei Paesi più profondamente colpiti, dopo aver provato ad arginare la crisi riducendo i tassi di interesse, facilitando l’accesso al credito e riducendo le imposte per favorire la domanda, nel settembre del 2008 sono intervenuti mettendo a disposizione agli istituti bancari ed assicurativi più in difficoltà ingenti somme di denaro: solo negli Stati Uniti vennero stanziati fondi per 770 miliardi di dollari (anche se in realtà si stimavano 1.500 miliardi di dollari di passivo), nel Regno Unito oltre 625 e tra Francia e Germania quasi 900.

Queste liquidità hanno in parte garantito nuovi prestiti tra banche e hanno permesso ai mercati monetari di riavviarsi; l’altra parte è stata utilizzata per ricapitalizzare le banche, ossia lo Stato ha acquistato delle azioni emesse dalle banche, diventando a tutti gli effetti azionista della banca stessa: ciò significa che lo Stato è diventato proprietario di parte delle banche che ha salvato. Ma i Governi, in cambio dell’aiuto, possono ora imporre delle condizioni, dunque possono pretendere che i dividendi vengano attribuiti prima allo Stato che agli altri azionisti, o possono rivendicare il diritto di sedere nei consigli di amministrazione delle banche, influenzandone le decisioni.

Questo fenomeno di ricapitalizzazione per ora non ha raggiunto anche l’Italia, nonostante il Governo abbia messo a disposizione 40 miliardi di euro nel caso una banca dovesse trovarsi in difficoltà. Questi provvedimenti hanno sostanzialmente portato alla privatizzazione dei benefici, alla socializzazione delle perdite e alla nazionalizzazione dei settori più minacciati.

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