Giacomo Leopardi e la poesia: tema svolto

Tema svolto su Giacomo Leopardi e la poesia. Tematiche e riflessioni sulla poesia del poeta recanatese dell’ottocento italiano.

Giacomo Leopardi e la poesia: tema svolto
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GIACOMO LEOPARDI E LA POESIA: TEMA SVOLTO

Giacomo Leopardi e la poesia: tema
Fonte: ansa

Giacomo Leopardi fu contemporaneamente verista e idealista perché fu un poeta grande e se è innegabile che dalla natura e dal vero soltanto tragga origine l’arte, è anche innegabile che tutta la natura e tutto il vero non consistono in ciò che cade sotto i sensi; l’uomo ha tendenze e bisogni tutti spirituali, la fantasia per forza di natura ravviva e illeggiadrisce il mondo esterno, il sentimento si crea regioni ignorate, che non sono meno vere, poiché vero è il bisogno di idealità che le crea. Non vi è creatura tanto bassa che non sospiri, almeno per un fuggevole istante, qualche cosa che non è, e che potrebbe essere. L’artista, anche nel ritrarre dal vero, è guidato da un’idea ed ogni grande se ama la realtà, la studia coscienziosamente per valersene nella sua opera, la ama, la studia, la copia anche con l’intelletto, con il cuore, con la fantasia propria, non con l’inerzia della macchina fotografica.

Giacomo Leopardi fu essenzialmente idealista; cresciuto fra i libri, prediligendo gli antichi, spesso solitario, si foggiò un mondo quale l’avrebbe desiderato, e la sua fede in quella illusione prese così profonde radici nel cuore suo che, quando quella gli fu strappata a forza, questo rimase ferito di una piaga immedicabile. “Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti uomini ci sono che chi non è insensato ama di vedere e di conoscere; la terra è piena di meraviglie”, scriveva a diciotto anni. Egli non doveva godere se non con la immaginazione, e pur fu così viva da indurlo a perdonare alla vita i suoi dolori infiniti, a sentenziare che l’illusione era per lui il maggior bene dagli eterni concesso ai mortali.

Nel “Passero solitario” vediamo il poeta remoto alla campagna, sfuggendo ogni diletto e gioco, fissare il sole che tramonta dietro le cime lontane e rimanere assorto nei pensieri, tra i quali gli balena quello che un giorno forse si pentirà di non aver goduto in gioventù. Nell’Infinito il sogno si allarga negli interminabili spazi, nei sovrumani silenzi dove il pensiero naufraga; nel breve canto “Alla luna” il poeta inneggia alla “ricordanza” che per lui è solo di gentili finzioni; nel “Sogno” afferma dolce il viver prima che il cuore si renda certo come è tutta indarno l’umana speranza, e non sa invocare la morte per più cari oggetti che per il diletto nome di giovinezza e la perduta speranza. Con infinita soavità rammenta l’irrevocabile tempo allora che allo sguardo giovanile si apre questa infelice scena del mondo e sorride in vista del Paradiso; si duole che la natura gli abbia negata la speranza, chiede dolorosamente dove sono siti nostri sogni leggiadri, e rimpiange il tempo in cui la vita si componeva di vanità e di belle folle, mancate le quali, ogni cosa ci viene meno e non ci resta che il vedere come tutto sia vano, fuorché il dolore (pensiero che ritorna nella “Primavera” e nell’ “Inno ai Patriarchi”).

Alla sorella Paolina, prossima alle nozze, ricorda il celeste dono delle beate larve dell’antico errore; “Oh, cuore, oh speme de’ più verdi anni!” esclama nell’Ultimo canto di Saffo e nel “Risorgimento” con ineffabile dolcezza canta il fugace risveglio dei moti soavi e dei dolci inganni che, rimpiange poi con lo stesso affetto con cui rimpiange morta la fanciulla amata. Che sono le “Ricordanze” se non un doloroso e vano desiderio dei dolci sogni giovanili, dell’arcana felicità fantasticata?

Nel canto A se stesso, in quello Alla sua donna, nel Sabato del villaggio, nell’Aspasia, nel Tramonto della luna risuona sempre malinconicamente la stessa nota. Il sospiro di illusioni e di sogni è uno dei concetti che più spesso ritornano nella poesia leopardiana e ritorna così spesso, perché i giorni giovanili, illuminati dalla luce di quegli splendidi ideali e di quelle superbe speranze, che sono forse meglio della gioia stessa, furono l’unico tempo lieto o la fonte della più schietta vena poetica di Giacomo Leopardi. Troppo arditi sogni ed audaci aspirazioni erano le sue, e troppo diverso il suo intelletto da quello del comune degli uomini; la sua esistenza è una intima tragedia che ha per catastrofe le morte di ogni illusione, ed il canto “A se stesso” la riassume con terribile potenza. La poesia del Leopardi è la vita stessa dell’anima sua, e perciò tutta ispirata a quell’idealismo che fu in lui una seconda natura; ma è l’aspirazione impetuosa di uno spirito a tutto ciò che il mondo ha di più bello e di più nobile.

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