Tema svolto su Giovanni Verga per la Maturità 2022

Tema argomentativo svolto su Giovanni Verga in occasione dell'anniversario dei 100 anni dalla sua morte. Cosa scrivere sullo scrittore siciliano

Tema svolto su Giovanni Verga per la Maturità 2022
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Maturità 2022

Giovanni Verga è uno dei possibili autori della maturità 2022
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Per la prima prova 2022 del 22 giugno uno dei testi argomentativi che potrebbero essere scelti dal MI per le tracce della maturità 2022 riguarda i 100 anni dalla nascita di Giovanni Verga.

Prima di passare a vedere di cosa potrebbe parlare un tema sullo scrittore siciliano, ti ricordiamo che nel corso della prima prova ti saranno presentate sette diverse tracce:

GIOVANNI VERGA

Un piccolo excursus sulla persona: chi era Giovanni Verga?

Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, da una famiglia di proprietari terrieri benestanti.

Verga non fece studi regolari: ebbe invece un’educazione di impronta liberale, e lesse per lo più letterature tardo-romantiche e del realismo francese.

Da giovanissimo  scoprì la sua vocazione per la letteratura: a 16 anni scrisse il suo primo romanzo di ispirazione patriottico-romantica. Si iscrisse anche all’università alla facoltà di giurisprudenza, ma non terminò gli studi. Si interesso alla seconda guerra d’indipendenza arruolandosi come guarda nazionale durante la spedizione dei mille.

LA SCOPERTA DEL VERISMO

Tra il 1865 e il 1872 decide di trasferirsi prima a Firenze e poi a Milano, dove si trovavano i “bohemien”. Verga iniziò a frequentare gli ambienti della Scapigliatura milanese e, da lei influenzato, scrisse dei romanzi che trattavano proprio l’argomento “persona contro la società”.

A Firenze frequentò assiduamente i salotti borghesi intellettuali , dove conobbe Luigi Capuana, il più importante teorico verista. Fu Capuana a far conoscere a Verga il movimento filosofico-culturale che in quegli anni prendeva forma in Francia, il naturalismo.

Verga, influenzato da Capuana, provò a comporre una piccola opera intitola Nedda, che fu la sua prima opera verista.

Nei suoi romanzi lo scrittore iniziò a proiettare la vita reale, la vita contadina della Sicilia di fine ‘800 e non più la vita dei borghesi. la tecnica divenne descrittiva oggettiva: invece di parlare delle emozioni dei personaggi, Verga prese a descrivere solo i fatti in modo che fosse il lettore a ricavare le emozioni che i personaggi mostravano.

IL LINGUAGGIO VERISTA

Verga vuole provare a comporre il romanzo-laboratorio ma non è convinto dei risultati perché non riesce ad attenersi al metodo così strettamente scientifico che usavano i naturalisti francesi, scrive delle novelle, finchè non si sente pronto per scrivere dei romanzi realisti.

Il verismo è una corrente letteraria che si afferma in italia all’inizio del ‘900 e che nasce parallelamente al naturalismo francese.

La Francia crede in un ritorno alla natura, alla realtà, che lascia da parte i sentimenti e coglie i momenti più umili della realtà. I naturalisti francesi nei loro romanzi parlano del popolo parigino, del proletariato urbano. Con questi romanzi lo scrittore cerca di evidenziare le condizione di disagio, gli aspetti negativi di questa società in modo che il lettore sia incoraggiato a cambiarla, manifestando al contempo il desiderio di un'evoluzione personale e sociale.

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I naturalisti vedono il progresso come qualcosa di positivo.

In Italia, prima Capuana e poi Verga diventano i promotori di questa corrente filosofico – letteraria, con alcune differenze.

Verga parla dei poveri dal punto di vista della Sicilia contadina, e lo fa usando la tecnica della regressione, che prevedere che l'autore non compaia nell'opera per non condizionare il pensiero del lettore.

Può capitare che nelle sue opere Verga commenti i fatti, ma non lo fa dando un parere borghese. Al contrario: si introduce nel racconto usando le espressioni dei suoi stessi personaggi e dei luoghi che descrive. Verga usa un linguaggio spoglio, dialettale; utilizza proverbi ed espressioni popolari capaci di portare il lettore in una dimensione popolare e vivere appieno i fatti narrati.

Un esempio di questo tipo di linguaggio lo troviamo all’inizio di Rosso Malpelo, la prima novella verista pubblicata da Verga: “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”. 

Non si tratta naturalmente di un giudizio personale di Verga, ma della società in cui vive Rosso Malpelo, un giudizio essenzialmente morale, con una visione primitiva. A parlare non è Verga, ma un personaggio del racconto: il pensiero che Verga riporta potrebbe, ad esempio, essere quello di un minatore che lavorava con Rosso Malpelo.

Giovanni Verga
Fonte: ansa

Dopo aver scritto alcune opere di mediocre successo, Verga si sente pronto per scrivere un romanzo verista. nasce così il progetto del Ciclo dei Vinti: cinque romanzi che compongono una raccolta. Sono I Malavoglia; Mastro-don Gesualdo; La Duchessa di Leyra; L’onorevole Scipioni; L’uomo di lusso. Ognuno di questi avrebbe dovuto essere strutturato in maniera diversa l’uno dall’altro. L’opera però rimarrà incompleta incompiuta, dato che gli ultimi due romanzi non saranno mai scritti e del terzo verrà pubblicato solo un capitolo.

Ne I Malavoglia Verga ha voluto lanciare un messaggio ben preciso: le regole della vita non si possono cambiare. L'idea viene sintetizzata nel cosiddetto Ideale dell’ostrica: secondo Verga, proprio come l’ostrica staccata dallo scoglio è destinata a soccombere, così accade a chi cerca di cambiare la propria situazione sociale allontanandosi dal proprio mondo. Per Verga il destino è un limite invalicabile al quale bisogna necessariamente rassegnarsi.

C’è una differenza sostanziale tra i personaggi di Manzoni e di Verga: i personaggi verghiani si caratterizzano per la totale assenza di fede, non esiste Provvidenza capace di redimerli. L'unica Provvidenza che compare in Verga è la barca di Bastianazzo, che naufraga all'inizio del romanzo uccidendo l'uomo e perdendo in mare il carico di lupini, mandando nei fatti in rovina la famiglia.

Ne I Malavoglia emerge perfettamente la visione per cui una comunità poverissima può sopravvivere solo se resta unita e prosegue le tradizioni di famiglia. Nel romanzo viene amplificato lo scontro fra due generazioni: quella di padron ‘Ntoni, che si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori antichi - come il culto della famiglia, il senso dell’onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato - e quella del figlio o dei nipoti.

Basti pensare che la sventura dei Malavoglia comincia proprio quando Bastianazzo, figlio di padron ‘Ntoni, decide di lasciare la pesca, attività di famiglia, per trasportare lupini.

Verga si oppone con fermezza alla mitologia del progresso in voga alla sua epoca, per riproporre invece l'ideale dell'ostrica. Per farlo, assume come oggetto della rappresentazione i “vinti”, quelli che sono schiacciati dalle leggi inesorabili dello sviluppo moderno e impegnati nella lotta per la vita.

MASTRO DON GESUALDO

Dopo I Malavoglia, Verga inizia a scrivere Mastro Don Gesualdo, concentrato per lo più sull’avidità per la ricchezza, e sul cambio di classe sociale.

Gesualdo Motta è l’unico protagonista del romanzo. Il linguaggio è meno ricco di dialettalismi, e dal punto di vista dei temi, è una forte espressione di pessimismo.

Per Verga l’uomo pensa solo a se stesso: qui troviamo l’amore per la roba - le cose, la ricchezza, la fama - che annebbiano qualsiasi altro valore Gesualdo abbia condiviso col padron 'Ntoni dei Malavoglia: la famiglia, la dedizione al lavoro su tutti.

La roba è capace di renderlo privo dei veri affetti e della soddisfazione per la sua vita:, qui Verga dimostra come il cambio di classe sociale porti con sé una serie di conseguenze durissime. Lavorando con dedizione non si ha più tempo per la famiglia e l'amore, ma soprattutto non si avrà modo di godersi il frutto delle proprie fatiche, che andrà invece del tutto ai figli.

Gesualdo, nonostante le ricchezze accumulate, verrà sempre visto dai borghesi come un rozzo, una persona incapace di curarsi. La sofferenza più grande per l'uomo sarà quella di constatare come tutte le sue ricchezze verranno sperperate dalle generazioni a venire, e come persino i servi lo tratterano in punto di morte, negandogli quella dignità che i soldi non sono bastati per garantirsi.

Verga iniziò a scrivere anche il terzo romanzo, ma ne portò a termine solo un capitolo. In questo romanzo probabilmente avrebbe dovuto parlare della vita della figlia e del genero, dei loro modi di fare, e della loro infelicità, ma non riuscì a completare l’opera perché avrebbe dovuto iniziare a narrare della superficialità della vita della sua classe sociale.

Nell’ultimo periodo della sua creatività artistica Verga produsse delle opere teatrali, in genere tratte dalle sue novelle, che costituirono il primo tentativo di teatro verista ed ebbero in quei tempi un grande successo.

Nel 1894 Verga torna in Sicilia, ormai privo di ispirazioni artistiche, per venti anni si chiuse, mentre i lettori iniziavano a perdere interesse nei suoi romanzi veristi e rimanevano affascinati dai superuomini, dagli eroi dannunziani. Verga morì a Catania nel 1922.

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