Crisi dell'io tra ottocento e novecento: tesina di maturità

Percorso multidisciplinare svolto sulla crisi dell'io tra ottocento e novecento, con riferimenti storici, artistici e letterari (5 pagine formato doc)

Appunto di hailie03

CRISI DELL'IO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO: TESINA DI MATURITA'

La crisi dell'io.

La cultura dell'Ottocento è saldamente ancorata a una concezione forte dell'io, inteso come sostanza razionale e unitaria. Tale concezione si era formata gradualmente nel corso dell'epoca moderna, ma, nel XIX secolo, aveva compiuto un salto di qualità; mai come in questo secolo, infatti, il pensiero umano aveva considerato tanto potente la soggettività razionale, attribuendole - almeno in linea di principio - una pressoché assoluta capacità di dominio sulla propria coscienza, sul proprio corpo e sul mondo naturale. Già nel corso dell'Ottocento, tuttavia, non erano mancate autorevoli voci controcorrente, precorritrici della successiva evoluzione culturale, che rimasero non a caso isolate, incomprese 'e a volte perfino misconosciute fino all'ultimo trentennio del secolo.
È infatti solo in questo periodo che I immagine forte dell'io comincia a vacillare sotto i colpi della filosofia di Nietzsche e della psicoanalisi di Freud. Nella prima metà del Novecento, la crisi dell'io esplode diventando il nuovo leit-motiv della cultura europea.

Crisi dell'uomo nel 900: tesina di maturità

CRISI DELL'INDIVIDUO NEL 900

I precursori: Schopenhauer, Kierkegaard e Leopardi
La filosofia dell'Ottocento è dominata dall'idealismo e dal positivismo. Per quanto antagoniste, queste due correnti fìlosofiche condividono una concezione forte dell'io. La filosofia ottocentesca, tuttavia, comprende anche due grandi voci controcorrente: Schopenhauer e Kierkegaard. L'attacco di Arthur Schopenhauer (1788-1860) all'io assoluto, teorizzato dall'idealismo tedesco e soprattutto da G.WT. Hegel (1770-1831), è frontale e radicalmente distruttivo. Schopenhauer, ne // mondo come volontà, e rappresentazione (1818) riduce il soggetto umano a semplice manifestazione di un principio metafìsico, impersonale e del tutto irrazionale: la volontà di vita. Da ciò scaturiscono due conseguenze: 1) la razionalità viene considerata come uno strumento dell'istinto di sopravvivenza; 2) l'agire del soggetto umano viene considerato come un prodotto dei bisogni e delle pulsioni naturali in cui si manifesta la volontà. Se è vero che in Schopenhauer è presente anche una valorizzazione dell'io - in quanto capace di seguire un diffi- cile cammino di liberazione dalla volontà -, è altrettanto vero che l'obiettivo finale di questa liberazione consiste nella rinuncia stessa all'io, nel suo annullamento attraverso un percorso che conduce all'ascesi.

CRISI DELL'IO: TESINA

Meno drastica, ma non meno incisiva, è la critica condotta all'io dal filosofo danese Seren Kierkegaard (1813-1855) che, sulla base di una rigorosa analisi del vissuto esistenziale, mette a fuoco i limiti invalicabili della soggettività individuale: dal punto di vista della sua relazione con il mondo esterno, l'io si trova infatti costantemente di fronte alla possibilità di scegliere tra il bene e il male, con la consapevolezza del rischio di errore e annientamento insito m ogni scelta. Ancora più profondo e insuperabile è però il limite che l'io incontra nel suo rapporto con se stesso e che si manifesta nella disperazione. L'io, infatti, non può ne essere pienamente se stesso, cioè realizzarsi compiutamente come singola personalità, ne essere diverso da se stesso, cioè tentare di mutare la propria costituzione individuale: l'uomo, infatti, non ha in se stesso la propria origine, ma deriva e dipende da Dio. Pertanto, solo nel rapporto di fede con Dio il singolo può trovare la sua realizzazione. Il rapporto di fede si fonda dunque proprio sul riconoscimento della radicale insufficienza dell'io e presuppone che il credente rinunci a ogni garanzia fornita dalla razionalità.
Vedi sul manuale di filosofia i capitoli su Schopenhauer e Kierkegaard, in particolare di quest'ultimo II concetto dell'angoscia (1844), in cui, a partire dalla "tematica del peccato originale, il filosofo esplora la dimensione dell'angoscia e
della disperazione come costitutive dell'essenza dell'uomo.

CRISI DELLE CERTEZZE TRA 800 E 900

Anche nella letteratura ottocentesca il tema della crisi della soggettività è prerogativa ancora di pochi. In particolare esso emerge in Giacomo Leopardi (1798-1837). Come per Schopenhauer, anche per Leopardi l'uomo vive in una situazione di ignoranza e di "inganno". Il principio sconosciuto e imperscrutabile che ha originato il cosmo, da un lato, pone l'uomo in una condizione di strutturale dolore, dall'altro, lo vincola alla vita suscitando in
lui continue illusioni prive di fondamento e destinate a risolversi nella delusione e nel pessimismo.