Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: analisi del testo della poesia di Petrarca
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, poesia di Petrarca: analisi del testo, struttura, tematiche e figure retoriche
VOI CH'ASCOLTATE IN RIME SPARSE IL SUONO: ANALISI
Il sonetto Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono è considerato proemio, o introduzione, della raccolta Rerum vulgarium fragmenta tant'è che in esso possiamo rintracciare immediatamente i temi più insistenti della lirica petrarchesca, ma anche il tono poetico più autentico di essa. Il componimento è caratterizzato da un tono di sommessa confessione, pensoso, severo esame di coscienza, dal ritmo armonico e solenne.
Ad esso corrispondono i temi petrarcheschi fondati sull'analisi del dissidio interiore dell'autore, nel quale il pentimento e la vergogna per il proprio “vaneggiar”, ovvero l'amore terreno, sono insidiati dalla dolcezza del ricordo. Ciò che potrebbe apparire trasfigurazione poetica, nel sonetto è ricerca stilistica ed uso dell'antica “saggezza” oraziana di cui Petrarca si serve per sottolineare il carattere universale della sua poesia. Così il verso conclusivo è una sorta di suggello ideologico, nel quale viene riassunto il significato più profondo dei sentimenti espressi nei versi precedenti. Si ripropone nella scelta della posizione nella raccolta di questo sonetto la richiesta di un consenso pietoso del lettore per quella che è stata la storia della sua anima, storia di un uomo peccatore, ma pentito, indeciso tra la vita dei sensi e quella dello spirito.
VOI CH'ASCOLTATE IN RIME SPARSE IL SUONO: FIGURE RETORICHE
Il pubblico a cui si rivolge Petrarca, tramite un'apostrofe, secondo un topos letterario proprio della concezione aristocratica del sentimento d'amore degli stilnovisti, è elitario poiché possiede gli strumenti per decodificare il sonetto. L'incipit Voi ch'ascoltate ricalca inoltre un passo del profeta Geremia (ripreso anche da Dante nella Vita Nova) che quindi asserisce l'intento morale del Canzoniere. Il tema dell'ascolto è fondamentale poiché Petrarca si concentra anche sulla raffinata ricerca di effetti melodici e dell'armonia metrica tenendo conto della musicalità delle parole. Tuttavia, mentre le quartine sono caratterizzate da fluidità musicale (dovuta alle paronomasie quali suono/sono/sogno), le terzine contrastano tale effetto con lo scontro di consonanti aspre che riflettono il pentimento e la vergogna del poeta per il sentimento che lo totalizza ma che è vano poiché terreno e soggetto alla morte.
La struttura del componimento si può dunque definire binaria e coincide anche ad una corrispondenza tra struttura sintattica e temi trattati nel componimento. L'anacoluto presente al primo verso, che trova compimento solamente all'ottavo, evidenzia immediatamente quanto sia studiata, secondo un accurato labor limae (che impegnò l'autore per quarant'anni), la struttura sintattica del componimento, in contraddizione con l'affermazione del poeta, secondo cui i propri componimenti sono nugae, poesiole di poco conto, prive di organicità. E' noto infatti come il poeta ritenesse inferiore il volgare rispetto al latino e, di conseguenza, aspettasse di ricevere riconoscimento tramite opere quali il poemetto “Africa”. Il poeta si nutriva dei sospiri (metafora codificata da Andrea Cappellano e topos proprio di tutta la tradizione letteraria amplificata dall'enjambement tra i versi 1-2 suono/di quei sospiri) al tempo del suo giovanile smarrimento; l'amore è visto infatti come errore e traviamento in quanto ha indotto in Francesco l'attaccamento alle cose terrene.
Tuttavia in giovane età era solamente “in parte” uomo diverso dal poeta, poiché al momento della stesura del sonetto egli non ha ancora superato quel dissidio. L'antitesi tra l'uomo che era e l'uomo che è enfatizza ancora di più la divaricazione temporale tra presente e passato resa evidente dall'alternanza dei tempi verbali (ascoltate, piango, ragiono, spero, trovar, veggio vergogno ecc.., nudriva, era, fui). La coniugazione alla prima persona singolare dei verbi sottolinea, inoltre, l'io lirico del poeta, protagonista della raccolta. Riprendendo in anafora il di quei sospiri al verso 2, del vario stile evidenzia la struttura chiastica delle due quartine: la prima è composta dell'invocazione “voi” con il verbo principale “ascoltate” ed una serie di subordinate concatenate, mentre nella seconda il sistema viene rovesciato, cosicché ad una catena di subordinate segue l'invocazione a “chi per prova” retta dal verbo “spero”. Il poeta spera dunque di trovare pietà e perdono per l'aspetto mutevole dei suoi versi in cui esprime il proprio dolore e ne parla tra inutili speranze e dolori.
Con l'espressione vario stile Petrarca richiama probabilmente Isidoro di Siviglia, secondo cui i poeti lirici sono così chiamati per la varietà di registri utilizzati; dal punto di vista dell'interiorità di Petrarca, ha accezione, invece, di “diseguale” poiché ispirato da sentimenti contraddittori. La dicotomia piango et ragiono crea una struttura chiastica con speranze e dolore per cui al pianto corrisponde il dolore e alla “ragione”, alla serenità, corrisponde la speranza. I termini speranze e dolore sono entrambi contrassegnati dall'aggettivo “vano” parola chiave del sonetto che mette in risalto il tema fondamentale di esso, ovvero la vanità dei beni terreni. Adesso però il poeta riconosce di esser stato a lungo argomento di pettegolezzi e ne prova assai vergogna. Favola fui gran tempo è un'eco dell'oraziano “fabula quanta fuit” (Epodo 11) strutturata ad anastrofe e caratterizzata dall'allitterazione della f. L'allitterazione è un elemento insistito all'interno delle terzine e se ne ritrova immediatamente un'altra nel poliptoto di me medesmo meco mi vergogno (l'uso della forte allitterazione e del pronome nei casi obliqui sottolinea il sentimento di dolore e pentimento del poeta intento nel profondo scandaglio della propria anima) e nel vaneggiar vergogna è il frutto del dodicesimo verso, proposta in anastrofe. Nell'ultima terzina, strutturata sul collegamento delle frasi per polisindeto, Petrarca capisce con chiarezza, che i beni e le passioni che allettano gli uomini costituiscono un sogno vano e passeggero riprendendo tale concetto dal Vanitas vanitatum et omnia vanitas delle Ecclesiaste.
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