"Gli usi della diversità" di Clifford Geertz
Sintesi del saggio di Clifford Geertz (2 pagine formato doc)
C.
Geertz è uno dei più grandi antropologi della seconda metà del
‘900.
Il 1° esempio di questo atteggiamento è preso da Lévi-Strauss; il suo intervento è in un saggio, nel quale racconta di quando venne invitato dall'UNESCO ad un convegno su razza e cultura. Nell'ambito della fine della seconda guerra mondiale (con i vari massacri), l'antropologia si batteva per dire che non esistevano differenze tra le razze, e si aspettavano che Lévi-Strauss dicesse questo; ma egli si sentì di dire che un po' di etnocentrismo era necessario per non rischiare di confonderci e mescolarci. Secondo quest'ultimo, l'etnocentrismo di per sé non è un male quando è tenuto sotto controllo; così, esso ha un aspetto positivo quando previene l'omogeneizzazione, rendendo le culture relativamente impermeabili le une alle altre ("l'etnocentrismo è un preservativo che ci protegge dal virus della globalizzzazione culturale"). Dunque, è illusorio pensare che l'umanità possa liberarsi del tutto dell'etnocentrismo; se ciò accadesse, non sarebbe una cosa buona, perché porterebbe ad una confusione tale che ogni cultura perderebbe il proprio fascino, la propria ragione di esistere. Sempre secondo Lévi-Strauss, un atteggiamento morale verso le altre culture è l'impermeabilità ("noi siamo noi, voi siete voi"), il tirarsi indietro, il frapporre una distanza: mi tengo alla larga dalle altre culture per non negare la mia e per non danneggiarla nella sua creatività. Secondo Geertz, questa accettazione dell'etnocentrismo attraverso il distacco dall'altro è la conseguenza di uno stallo morale: "no potendo abbracciare né il relativismo né l'assolutismo (il 1° perché inibisce la facoltà di giudizio, il 2° perché la rimuove dalla storia), filosofi, storici e scienziati sociali optano per l'impermeabilità", raccomandata da Lévi-Strauss.
Nel saggio, egli afferma che l'antropologia si è sempre
mossa tra 2 strade: tra universalità e particolarità, tra
generalizzazione e ideosincrasia (l'autore dice: tra strutture e
archetipi da un lato, cavoli e re dall'altro). Ma, recentemente,
l'antropologia si è trovata di fronte ad una novità: la
possibilità che la varietà culturale si vada rapidamente
attenuando, in un processo di attenuazione del "contrasto
culturale", anche se le differenze, seppur minime, rimarranno
sempre. Geertz nota che questa attenuazione ha prodotto una
legittimazione dell'etnocentrismo,
proprio da parte di coloro (antropologi e filosofi) che dovrebbero
difenderci da esso.Il 1° esempio di questo atteggiamento è preso da Lévi-Strauss; il suo intervento è in un saggio, nel quale racconta di quando venne invitato dall'UNESCO ad un convegno su razza e cultura. Nell'ambito della fine della seconda guerra mondiale (con i vari massacri), l'antropologia si batteva per dire che non esistevano differenze tra le razze, e si aspettavano che Lévi-Strauss dicesse questo; ma egli si sentì di dire che un po' di etnocentrismo era necessario per non rischiare di confonderci e mescolarci. Secondo quest'ultimo, l'etnocentrismo di per sé non è un male quando è tenuto sotto controllo; così, esso ha un aspetto positivo quando previene l'omogeneizzazione, rendendo le culture relativamente impermeabili le une alle altre ("l'etnocentrismo è un preservativo che ci protegge dal virus della globalizzzazione culturale"). Dunque, è illusorio pensare che l'umanità possa liberarsi del tutto dell'etnocentrismo; se ciò accadesse, non sarebbe una cosa buona, perché porterebbe ad una confusione tale che ogni cultura perderebbe il proprio fascino, la propria ragione di esistere. Sempre secondo Lévi-Strauss, un atteggiamento morale verso le altre culture è l'impermeabilità ("noi siamo noi, voi siete voi"), il tirarsi indietro, il frapporre una distanza: mi tengo alla larga dalle altre culture per non negare la mia e per non danneggiarla nella sua creatività. Secondo Geertz, questa accettazione dell'etnocentrismo attraverso il distacco dall'altro è la conseguenza di uno stallo morale: "no potendo abbracciare né il relativismo né l'assolutismo (il 1° perché inibisce la facoltà di giudizio, il 2° perché la rimuove dalla storia), filosofi, storici e scienziati sociali optano per l'impermeabilità", raccomandata da Lévi-Strauss.