Canto 26 Inferno: parafrasi e figure retoriche

Parafrasi, commento e analisi delle figure retoriche del canto 26 dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri (8 pagine formato doc)

Appunto di djcharly

CANTO 26 INFERNO: PARAFRASI E FIGURE RETORICHE

Inferno: canto XXVI di Dante.

Gioisci, Firenze, poiché sei così famosa, che voli per mare e per terra, e il tuo nome si diffonde per l’inferno!
Tra i ladri incontrai cinque tuoi cittadini di tale condizione che ne sento vergogna, e tu Firenze non ne sali in grande onore.
Ma se nelle prime ore del mattino si sogna il vero (si credeva nel Medioevo che i sogni fatti all’alba fossero annunciatori di verità), tu proverai tra breve quello che Prato, per non dire di altri, ti augura.
E se ciò fosse già avvenuto, non sarebbe troppo presto: così fosse già avvenuto, dal momento che deve pur accadere! perché sarò più duro da sopportare, quanto più invecchio. L’immagine grandiosa di Firenze che batte l’ali - espressione crudamente visiva,che riporta al concreto il metaforico " volare " della fama - richiama quella di Gerione, nella presentazione che ne fa Virgilio all’inizio del canto XVII: che passa i monti, e rompe i muri e l’armi...
Non diversamente da Gerione, Firenze è qui veduta, in una raffigurazione apocalittica, come una incarnazione del male, il cui campo d’azione è l’universo intero.

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CANTO 26 INFERNO: FIGURE RETORICHE

Ma mentre l’apertura del canto XVII (e quella del XIX, che ha in comune con l’esordio del XXVI la forma dell’invettiva) è soltanto tragicamente grandiosa, il sentimento che anima le terzine iniziali del canto dei consiglieri fraudolenti è più complesso e contraddittorio: nei confronti della sua città amore e rancore convivono dolorosamente nel cuore del Poeta. Nel verso 12 i commentatori antichi vedevano soltanto l’espressione dell’impazienza di vedere punita Firenze per le sue scelleratezze, una sete inappagata di giustizia interpretando: " quanto più invecchio, tanto più mi sarà grave che tardi ad esser soddisfatta la mia ansia di vendetta". Questa interpretazione non rende tuttavia conto della sofferta ammissione del verso precedente, per cui, come ha rilevato il Fubini, una sola spiegazione sembra possibile: "più tarda sarà la giusta vendetta più grande sarà il dolore del Poeta, il quale la sa necessaria, la desidera anche, ma è pur sempre figlio della sua città e vecchio maggiormente ne sentirà il colpo".

CANTO 26 INFERNO: ANALISI

Sempre del Fubini è la seguente felice definizione della unità tonale e stilistica di questa apertura di canto: "più ancora che per se stessi, questi versi ci s’impongono per il loro svilupparsi l’uno dall’altro, per quel passaggio graduale dalla invettiva sarcastica dell’inizio alla confessione finale di debolezza e di amore, che fa di qu esto esordio un’unità poetica in sé piena e compiuta, quasi un sonetto diremmo, anche per la sua misura, un grande sonetto dell’esule che fissa in forma definitiva il sentimento e il giudizio suo sulla sua città".Per quanto riguarda l’allusione a Prato del verso 9, essa è stata intesa in senso generico "secondo un motto che dice che l’uno vicino vorrebbe vedere cieco l’altro" (Ottimo), o in rapporto a qualche circostanza specifica: la maledizione lanciata contro Firenze dal cardinale Niccolò da Prato nel 1304, dopo il fallimento della sua missione di " paciaro ", o la rivolta di Prato contro il governo dei Neri, domata dai Fiorentini nel giugno del 1309.
C’incamminammo, e Virgilio risalì per la scala formata dalle sporgenze rocciose che prima ci erano servite per scendere, e mi portò con lui;
e mentre proseguivamo nella via solitaria, tra le pietre e i massi del ponte il piede non riusciva ad avanzare senza l’aiuto delle mani.
Allora mi addolorai, e ora nuovamente mi addoloro allorché rivolgo il pensiero a ciò che vidi, e tengo a freno il mio ingegno più di quello che non sia solito fare.

Canto 26 Inferno: parafrasi