Quinto Orazio Flacco: vita, pensiero e il Carpe diem

Vita, libri e poesie di Quinto Orazio Flacco, poeta romano famoso per le odi "Carpe diem". Testo e commento al Carpe diem.
Quinto Orazio Flacco: vita, pensiero e il Carpe diem
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1Chi era Orazio

Orazio (65 a.C. - 8 a.C.), poeta lirico romano del periodo di Augusto
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Il grammatico Orbilio prendeva a bacchettate i suoi studenti per obbligarli a imparare a memoria i versi dell’Odusia di Livio Andronico: anche Quinto Orazio Flacco, prese alcune di queste bacchettate. Infatti dice: «Non equidem insector delendave carmina Livi / esse reor, memini quae plagosum mihi parvo / Orbilium dictare; sed emendata videri / pulchraque et exactis minimum distantia miror» (Epistulae II, 1, 68-71). Non un grande modello di insegnante, questo Orbilio, e Orazio, allievo timido e introverso, lo definiva «plagosus», cioè manesco.

A suon di bacchettate, Orazio imparava l’arte retorica… un giorno – e forse né il maestro né il discepolo lo sapevano – sarebbe diventato uno dei più grandi poeti di Roma.

2Vita di Orazio

Quintus Horatius Flaccus (65-8 a.C.) . Orazio da giovane
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Quinto Orazio Flacco, nato a Venosa nel 65 a. C., era di origini molto umili, figlio di un padre amorevole che lavorava come coactor exactionum, ma ebbe occasione di studiare nelle migliori scuola di grammatica e di retorica di Roma. 

A vent’anni si recò ad Atene per perfezionare i suoi studi. Furono anni di intensi fervori politici: nel 44 a. C. era morto Cesare in un attentato che anche oggi non cessa di stupirci per i suoi oscuri particolari: da qui era scaturita la lotta tra cesariani e cesaricidi. 

Orazio partecipò alla battaglia decisiva di Filippi (42 a. C.) da tribuno militare nelle fila dei cesaricidi Bruto e Cassio. Fu una disfatta e lui stesso ci racconta che dovette abbandonare lo scudo e mettersi in salvo, come aveva fatto uno suo illustre predecessore poeta, il leggendario Archiloco di Paro

Tornò a Roma a seguito dell’amnistia di Ottaviano, ma dovette ricominciare da capo e accettò un umile lavoro: il segretario contabile (scriba quaestorius) nell’amministrazione statale, il ragioniere, insomma. 

Frequentò a Napoli le lezioni del filosofo epicureo Sirone, in compagnia di Virgilio. Cominciava proprio in quegli anni la sua carriera poetica con la stesura degli Epòdi e delle Satire

Nel 39 a. C. fu presentato a Mecenate con il quale instaurò un’amicizia profonda. Mecenate si occupò delle finanze del suo amico, garantendogli agiatezza economica. Mecenate era uno degli uomini più potenti al fianco di Augusto e questo voleva dire per Orazio tradire la sua antica fede politica di cesaricida e allinearsi al sistema abbracciando il cesarismo. Pochi gli amici della sua vita, ma importantissimi: Mecenate appunto, Vario Rufo, Virgilio stesso. Questo il suo orizzonte affettivo.    

Divenne uno degli intellettuali di riferimento nel panorama culturale dell’epoca, se non il poeta più importante: Orazio dovette addirittura declinare l’invito di Ottaviano Augusto a diventare suo segretario personale.     

Nel 17 a. C. fu incaricato di scrivere il Carmen saeculare in onore di Apollo e Diana, da cantarsi durante i ludi saeculares: occasione, questa, particolarmente solenne, dato che quei ludi in quell'anno sancivano ufficialmente l'inizio della Pax Augusta.    

Nel 20 Orazio aveva iniziato a pubblicare le Epistole, mentre nell’8 a.C. scrisse il quarto libro delle Odi.

Nel settembre di quell’anno, Mecenate morì: coincidenza o meno, Orazio lo raggiunse solo due mesi dopo. Fu sepolto accanto alla tomba dell’amico e protettore, dedicatario di tante poesie. Così si spegneva una delle più limpide voci della poesia romana.

3La produzione letteraria di Orazio

La produzione di Orazio si svolge su piani diversi e paralleli, principalmente su tre generi: satira esametrica, poesia giambica e poesia lirica. La sua produzione attraversa tre distinte fasi:

I fase (43-30 a.C. ca): corrisponde all'età giovanile del poeta: sarebbe il tempo degli Epòdi e delle Satire più antiche. Gli Epòdi sono 17 componimenti giambici – Orazio li chiama così – ordinati metricamente, secondo la consuetudine alessandrina e neoterica. Orazio emula i giambografi greci, Ipponatte e soprattutto Archiloco, una voce leggendaria per tutti i poeti dell’antichità (e non solo), mutuandone i toni aggressivi e i metri. Da questi versi emerge lo stato di agitazione del poeta ed irrompe il suo risentimento verso i nemici politici dopo Filippi. Si tratta di poesie violente, seppure acerbe. Il poeta lamenta lo scelus e la culpa delle guerre civili, le disgrazie della patria e afferma la propria indignazione: questi concetti investono l’immaginario di un’intera generazione. Il tutto tradisce, come dire, la matrice e l'ispirazione ancora giovanili di questa poesia. 

II fase (30-23 ca) corrisponde alla composizione dei primi tre libri delle Odi: è il momento in cui vengono a ridimensionarsi la dialettica e la lotta politica, e quasi di conseguenza il poeta, che aveva già cominciato ad usare nelle satire ultime un tono più moderato e bonario, si dedica alla lirica. La sua tecnica si fa soggettiva ed introspettiva; lasciati da parte odii personali e contingenze particolari, eleva il tono universale della sua poesia, tripudiando per il successo di Ottaviano ad Azio, che pone fine alle lacerazioni delle guerre civili. 

III fase (23-13 ca), infine, è quella della piena maturità del poeta. Appartengono a questo periodo i 2 libri delle Epistole, con la famosa lettera ai Pisoni nota anche come Ars Poetica, il Carme secolare e il IV libro delle Odi

4I due Libri sulle Satire di Orazio

Quinto Orazio Flacco
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Le Satire, dette dal poeta stesso Sermones, «conversazioni», scritte con stile e lingua studiatamente quotidiani, composte in esametri dattilici, sono divise in due libri: il I (35-33 a.C.) ne comprende 10, il II (30 a.C.) 8. In totale le satire contano circa 2000 versi.

Abbandonate le inquietudini e il tirocinio poetico degli Epòdi, passando per il filtro filosofico e la lettura di poeti quali Lucilio, Orazio cerca di elaborare un suo ideale di misura esistenziale e poetica: il cosiddetto giusto mezzo, I.1 e I.2 in pieno accordo con l’ideale epicureo di felicità; questo ideale  ha il compito di salvarlo da tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita secondo i principi dell’autàrkeia, bastare a se stessi, e della metriòtes, misura. La misura diventa il codice comportamentale e poetico di Orazio: le satire ne sono un primo esempio; si tratta di componimenti vivaci, ma garbati e leggeri, oltre che disincantati da un punto di vista etico-morale.

Il poeta insomma ricerca l’autosufficienza e la libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico, del suo tatto e della sua conoscenza del mondo: il ragionamento si mantiene sempre sul piano psicologico-umano, e la polemica non è tanto contro i vizi in sé, quanto contro la loro vera radice, ovvero l’eccesso, l’antica hybris greca: Orazio non pretende di cambiare la società romana ed il modello etico di riferimento, ma almeno cerca di fornire qualche utile elemento di riflessione per intervenire sulla coscienza dei singoli. 

Tra le satire più celebri abbiamo quella del topo di campagna e del topo di città, elogio della vita semplice e frugale (II.6), e c’è anche quella dedicata al seccatore (I.9), di cui vale la pena riportare almeno l’incipit:

Mi trovavo a passeggio per la via Sacra, pensando, come spesso m’accade, a non so più che inezie, tutto preso da quelle. Di corsa, un tale mi si fa accanto, uno che conosco soltanto di nome, mi afferra la mano e: «Come stai, carissimo?» «A meraviglia, almeno per ora» gli dico «e ti auguro tutto ciò che desideri». Siccome non mi mollava, lo prendo d’anticipo: «Ti serve forse qualcosa?». E lui: «Dovresti conoscermi» mi dice «sono uomo di lettere». Ed io allora: «Ti terrò più a caro, per questo». Cercando disperatamente di staccarmene, ora andavo più in fretta, ogni tanto mi fermavo, dicevo non so più cosa nell’orecchio al mio servo e il sudore mi gocciolava giù fino ai talloni”.

C’è un tentativo di raccordo morale tra boni mores ed epicureismo: nelle prime Satire, Orazio cerca di dimostrare che la morale epicurea non è in disaccordo con i valori tradizionali di Roma: moderazione, saggezza, rispetto dei costumi fanno parte integrante dei boni mores romani. Infine l’amicizia da lui spesso elogiata non è scambio di favori, e ancor meno schiavitù, ma comunione spirituale e ideale, sincera ed elettiva. Quindi i Sermones affrontano una pluralità di temi dalla critica dei costumi, a episodi autobiografici, dalla condotta da tenere nella vita, fino all’elogio dei suoi più importanti amici

5Orazio e i quattro Libri delle Odi

Orazio e Mecenate
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Le Odi (Carmina per Orazio) sono divise in 4 libri: i primi 3 libri (88 odi), dedicati a Mecenate, furono pubblicati nel 23 a.C., il IV (15 odi: quindi, in tutto 103 odi) nel 14-13 a.C. su richiesta di Augusto. Organizzato secondo il criterio della variatio: sia dal punto di vista metrico-formale, sia per tono e contenuti. L’ispirazione oraziana qui si modifica e purifica in composizioni assai raffinate, chiuse da strofe perfette secondo il modello dei poeti greci come Alceo, Saffo, Anacreonte, Bacchilide, Pindaro.

Le Odi sono il tentativo di trasferire a Roma i ritmi della poesia eolica e rappresentano, per molti aspetti l’opera più matura di Orazio. Lo stile è asciutto e rigoroso nella sua distaccata eleganza, frutto della sapienza tecnica (la callida iunctura) e del controllo di impressioni e sentimenti. Con Orazio si parla di simplex munditiis, “elegante senza artifici”, per via di quella semplicità messa in rilievo dal paziente labor limae. Orazio si presenta come discepolo dei poeti nuovi come Catullo, alla ricerca anch’egli della perfezione formale e delle soddisfazioni derivanti dal superamento delle difficoltà.  

La prima Ode di Orazio è dedicata a Mecenate, e vi esalta l’orgoglio per la sua amicizia, che serve poi a rivendicare l’importanza della gloria poetica di cui Orazio fu sempre consapevole. Inaugurato il primo libro, Orazio presenta i suoi temi utilizzando una varietà metrica e ritmica che mostra tutta la sua bravura letteraria, sviluppandole attraverso un dialogo in seconda persona (tecnica del Du Stil, cioè sono rivolte ad un “tu”).

Orazio si rivela un profondo poeta-filosofo, eccellendo nell’indicare norme di vita con la semplice suggestione di un’immagine.

Niente più critiche divertite alla società: al loro posto sopraggiunge una riflessione costante che insiste sull’idea della misura, l’aurea mediocritas (II.10). Essa assume una dimensione nuova: da una parte viene ancorata saldamente al concetto di felicità con motivi tradizionali e stilizzazioni, ma con l’aggiunta del motivo autobiografico della felicità di chi, oltre che saggio, è anche poeta (II.16, III.14 e altre).

Il tempo che avvolge tutto è legato sia al tema della Natura, forza minacciosa e bifronte, sia al tema della morte che tutti attende (II.3 e 8, III.1 e 24). Tale senso di fugacità è frutto dell’epicureismo ma si rivela ispirazione poetica e per questo aleggia con leggera malinconia.  

Come si può vincere la paura della morte? Afferrando l’istante, godendo nella propria casa, nel convivio, in un fuoco che arde e riscalda i commensali allegri, la più ovvia difesa contro le insidie del futuro e della morte. La morte, infatti, spaventa per la sua ineluttabile certezza: essa è spesso simboleggiata da una natura ostile e in particolare dal mare in tempesta, vero e proprio topos poetico per Orazio.  

Il conflitto spazio aperto-spazio chiuso si interseca con il conflitto spazio vicino-spazio lontano: Roma è il centro del mondo, la sicurezza, l’ordine; lontano stanno terre inospitali, caotiche e strane; Roma è il presente, le terre lontane sono il futuro da cui possono giungere oscure minacce. Lo spazio chiuso è il riparo dal mondo; all’esterno tutto può essere minaccioso.  

Dunque Orazio esalta l’ordine e l’armonia di chi semplicemente vuole vivere con bonaria umanità, con amicizia, con serenità; fondamentale è allora la compagnia piacevole, l’ammonimento verso tutti gli eccessi e il controllo delle passioni compresa quella amorosa, che può nuocere all’equilibrio interiore.  

6Carpe diem: testo e commento

Orazio è diventato noto per la meravigliosa Ode 1.11, dove leggiamo il famoso «carpe diem», cogli l’attimo, afferra l’istante. Leggiamola in latino e ti offro anche una mia traduzione italiana:

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati.
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.

«Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale destino
abbiano dato gli dei a me o a te, Leuconoe, e non
mettere alla prova gli oroscopi babilonesi. Accetta,
come meglio potrai, quel che dovrà accadere.
Sia che Giove ci abbia assegnato più inverni, sia
che questo, che adesso spinge il Tirreno contro le scogliere
sia l’ultimo, sii saggia: centellina i vini e scaccia
la lunga speranza per la breve vita. Mentre parliamo,
il tempo malvagio sarà ormai fuggito: cogli l’attimo,
il meno possibile fiduciosa nel domani».

Il carpe diem, per Orazio, è innanzitutto il nucleo centrale di una poetica: non è tanto la ricerca fine a se stessa del piacere, ma il tentativo di scoprirlo nel puro e semplice momento di vita che si pone davanti a noi, senza la pretesa di essere significativo o memorabile, ma solo per il fatto di esserci. In questa prospettiva, Orazio difende l’otium, quiete dell’intelletto e dell’anima, libertà interiore, ricerca di spazio e di riparo.

Il pensiero della morte non diventa nichilistico, ma risalta la vita tanto nelle sue manifestazioni più entusiasmanti – come il ritorno della primavera – quanto nelle più umili, come un buon calice di vino – magari un Falerno – condiviso con gli amici a banchetto. La poesia ci aiuta a cogliere i momenti portanti e a celebrarli, ci aiuta a ricordare le cose importanti del nostro giorno affinché non muoia del tutto col trasformarsi della materia e del tempo.

Ma, allora, se Orazio crede solo nella materia, che senso ha la mitologia nella sua opera? Essa ha un valore simbolico, è un elemento di nobilitazione poetica, un richiamo letterario, ma anche un necessario aggancio alla religione della Roma augustea molto tradizionalista. Non c’è una vera fede né un senso di trascendenza: «pulvis et umbra sumus», dice il poeta (Ode IV.7), «siamo polvere ed ombra», frase che possiamo leggere anche sulle iscrizioni tombali romane.

Tuttavia divina, per Orazio, è la poesia – «la vendetta di una mano mortale», come direbbe la poetessa polacca Wislawa Szymborska. Orazio era consapevole della possibilità di eternarsi e di eternare con la propria opera: «Exegi monumentum aere perennium» (Odi, III.30) disse: «Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo». E ancora: «Non omnis moriar», “non morirò del tutto”.

6.1Orazio ispirazione per Petrarca

Il tempo fugace, il Carpe Diem (lo sfruttare al massimo il tempo che ci è concesso) sono due temi tanto cari ad Orazio che si ritrovano in molti suoi componimenti. La sua concezione della fuga temporis sarà modello di grande ispirazione per un celebre poeta italiano: Francesco Petrarca (1304-1374). Il poeta toscano dopo aver letto classici come Orazio per l’appunto, ma anche Seneca e Agostino nel Canzoniere, la sua opera più celebre, scriverà della labilità, della fugacità del tempo e della sua essenza fuggitiva. È chiaro dai suoi versi quanto la visione della morte condiziona in modo evidente l'esperienza di vita del poeta, che viene descritta dalla sua poesia: la morte non è l’evento ultimo del percorso della nostra vita ma è qualcosa che si supera, ci si lascia dietro ogni giorno.

7Curiosità su Orazio

  • Era figlio di un liberto, un ex schiavo liberato dal padrone.
  • Trasferita la famiglia a Roma, il padre si arricchisce con le consegne delle merci come intermediario, cioè riceve l'1% del valore di ogni merce consegnata, ed è in grado di pagare ottimi studi al figlio, come la scuola del grammaticus Orbilius e un viaggio studio ad Atene.
  • Arruolato nella guerra scoppiata dopo l'omicidio di Giulio Cesare come ufficiale nell'esercito di Bruto, abbandona la guerra dopo la battaglia di Filippi nel 42 a.C.: perde le sue proprietà e qualsiasi possibilità di carriera militare.
  • Dopo l'amnistia di Ottaviano, Orazio torna a Roma per trovare il suo appartamento occupato, suo padre morto e le finanze di famiglia prosciugate. Per mantenersi lavora come scriba quaestorius, un impiegato all'ufficio delle tasse.
  • Mecenate gli dona una fattoria in Sabinia, per garantirgli un'entrata fissa e un luogo nel quale scrivere; Svetonio racconta che il poeta dormiva abitualmente fino alle 10 della mattina.
  • Alla sua morte lascia le sue proprietà ad Augusto per incrementare il patrimonio statale.
    Domande & Risposte
  • Dove è nato Orazio?

    Quinto Orazio Flacco è nato a Venosa nel 65 a. C.

  • Cosa ha scritto Orazio?

    Il Carmen saeculare in onore di Apollo e Diana; Epistole; Odi (per esempio il famoso Carpe diem); Epòdi e Satire (tra le più celebri ricordiamo quella del topo di campagna e del topo di città, elogio della vita semplice e frugale e quella dedicata al seccatore).

  • Cosa vuol dire Carpe diem?

    E’ l’espressione tratta dall’Ode 1.11 di Orazio che letteralmente significa “cogli l’attimo”, afferra l’istante.