Fedone di Platone
Saggio su un brano tratto dal "Fedone" di Platone. (3 pg - formato word) (0 pagine formato doc)
Il dialogo da cui è tratto il brano è il “Fedone” FEDONE Platone Il dialogo da cui è tratto il brano è il “Fedone”.
Esso appartiene al secondo periodo dell'attività letteraria di Platone, e più precisamente agli scritti della maturità, tra i quali ricordiamo anche: Menone, Convito, Repubblica II-X, Fedro. Il Fedone è l'ultimo dialogo della tetralogia dedicata a Socrate e si ricollega agli altri per il racconto dell'ultimo giorno di vita di Socrate, ma se ne allontana per la tecnica compositiva. Il dialogo, che può essere considerato uno dei capolavori di Platone, si articola all'interno di un racconto-cornice che lo apre e lo conclude: la narrazione delle ultime ore di Socrate, fatta da Fedone all'amico Echecrate, filosofo pitagorico di Fliunte in Argolide. Tre principali motivi di ispirazione animano la struttura della composizione: l'acuta analisi psicologica dei personaggi presenti all'evento; il vasto quadro sviluppato da Socrate per convincere i discepoli dell'immortalità dell'anima; la scansione temporale di tutta la giornata, in cui assistiamo agli ultimi passi di un uomo, nel cammino che, dal tempo terreno, segnato da albe e tramonti, lo accompagna alla luce senza tenebre dell'eternità. All'interno del dialogo, si nota lo scambio di battute tra lo stesso Socrate e Cebete di Tebe, filosofo greco (nato a Tebe nel 440 circa a.C. e morto in età avanzata), discepolo del pitagorico Filalao e di Socrate stesso. Egli avrebbe scritto, secondo Diogene Laerzio, tre opere in forma di dialogo: Phrynichos, Hebdome e Pìnax. Quest'ultima in particolare, nota nella tradizione come “Tavola di Cebete”, è chiaramente spuria, dal momento che presuppone la conoscenza di teorie filosofiche necessariamente ignote a un discepolo di Socrate. Si pensa che ne sia autore un pensatore stoico con tendenze neopitagorizzanti del I o II sec d.C. I FATTI Socrate nel 399 fu denunciato dal poeta tragico Meleto, dall'oratore Licone e da Nito, influente uomo politico, con la seguente imputazione: “Commette reato Socrate, non ritenendo dei quelli che considera tali lo stato, e tentando di indurre altri enti demonici nuovi; commette inoltre reato corrompendo i giovani”. Probabilmente lo scopo degli avversari era quello di esiliarlo; ma Socrate volle affrontare il processo, in cui pronunciò la difesa della sua attività culturale e critica, giustificata dall'esigenza dell'indagine razionale, in questo modo egli decise di pagare la pena che era stata proposta per lui dagli accusatori: la morte. “…poiché gli Ateniesi ritennero meglio condannarmi, per questo e anche a me parve meglio star qui a seder e più giusto stare in carcere a scontare la pena che abbiamo stabilito. Perché sono convinto che già da un pezzo questi miei nervi e queste mie ossa se ne starebbero o a Megara o in Beozia, portate dall'opinione del meglio, se, anziché svignarmela e scappare in esilio, io non avessi giudicato più giusto e più bello pagare alla