Languore di Paul Verlaine: analisi

Languore di Paul Verlaine: analisi della poesia tratta da Cose lontane, cose vicine, una delle ultime raccolte a firma del del noto poeta francese

Languore di Paul Verlaine: analisi
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LANGUORE, PAUL VERLAINE

Languore è una poesia di Paul Verlaine
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La poesia è tratta da Cose lontane, cose vicine, una delle ultime raccolte di Paul Verlaine, pubblicata dopo gli anni ’80.

Sono delle liriche scritte in momenti diverse della sua vita. Viene pubblicato per la prima volta su una rivista, Il Gatto Nero, e venne poi interpretata come un manifesto del nascente decadentismo. Sintetizzava, infatti, il diffuso senso di decadenza che si avvertiva nella cultura di quell’epoca. La poesia gioca su un paragone: la condizione contemporanea del poeta viene paragonata a quella dell’impero romano non nel momento del massimo splendore, ma nel IV e V secolo d.C, quando cioè l’impero romano era preda delle invasioni barbariche.

Un’età di crisi, un’era che sta finendo, questo senso di declino è ulteriormente sottolineato dal fatto che si parla di “fine della decadenza”. Se avesse detto “durante la decadenza” sarebbe stato meno efficace. C’è questa sofferenza che viene descritta: languore, come dice il titolo, non è una malinconia, né un’angoscia, ma è un determinato languore, al quale non si sa come reagire e quindi il poeta ne sembra quasi attratto. Il fascino del disfacimento deriva da una condizione di spossatezza, da una condizione di pigrizia, che determina una specie di paralisi. Tale paralisi nonostante sia dolorosa viene percepita come inevitabile.

PAUL VERLAINE, LANGUORE

La storia evidentemente si svolge altrove, perché ormai il mondo ha preso questa piega e non si può fare niente. Il poeta sottolinea questa impotenza ad agire che va a finire in un senso profondo di estraniazione. Ecco che l’attività intellettuale viene presentata come un gioco (comporre acrostici indolenti…): bella ma inutile, incapace di partecipare alla vera vita. Il poeta si sente senza forze, perché è come se fosse impossibilitato a vivere nuove esperienze: ha provato tutto (tutto è bevuto e tutto è mangiato).

Qui c’è l’allusione al fatto che l’impero ha ormai sperperato tutte le ricchezze e i barbari invece stanno portando via quello che è rimasto. Al poeta non rimane altro che lasciarsi andare, abbandonarsi al tedio, alla noia.

Il poeta associa per analogia il proprio stato d’animo di languore alla fine della decadenza dell’Impero romano, cioè a un’epoca di debolezza morale e di evasione nei piaceri della vita.

La malattia che lo affligge è la solitudine, la noia, la passività, che non gli fanno desiderare né di vivere né di morire. Una condizione che si riflette nella sua poesia, ridotta ad acrostici indolenti, svuotata di ogni contenuto morale o sociale, diventata puro esercizio formale. Niente più da dire, in sintesi (Tutto è bevuto, tutto è mangiato!); la sua poesia è da gettare alle fiamme. La morte dell’arte e il languore Rispetto ad Arte poetica, in cui ribadiva il concetto che l’arte deve essere fi ne a se stessa, qui Verlaine constata la morte dell’arte.

Il sentimento della decadenza accomuna due momenti storici, passato e presente, e acquista un significato universale, che fa della lirica il simbolo del Decadentismo europeo.

Il languore come malattia dell’anima e condizione di inerzia intellettuale lo si ritroverà nel Poema Paradisiaco e nel romanzo Il piacere di D’Annunzio.

Languore divenne immediatamente celebre, perché sintetizzava con efficacia il diffuso senso di decadenza che circolava nella cultura dell'epoca. La condizione contemporanea viene paragonata a quella dell'impero romano intorno al IV-V secolo d.C., all'epoca cioè delle invasione barbariche; un'età proverbialmente di crisi e sfinimento. Il senso del declino è sottolineato dal fatto che si parla di fine della decadenza: se Verlaine avesse detto durante la decadenza, sarebbe stato meno efficace.

La sofferenza nasce non da un evento preciso, ma, come dice il titolo, da un indeterminato languore, al quale il poeta non sa come reagire e da cui anzi si sente attratto. Su di lui pesa un'invincibile pigrizia, una specie di paralisi, che però, benché dolorosa, viene percepita come inevitabile: la storia e la vita si svolgono altrove; qui, nel luogo e nel tempo in cui vive il poeta, le cose vanno così e non ci si può far nulla.

LANGUORE VERLAINE, POESIA

Il poeta si sente estenuato anche perché gli pare impossibile fare nuove esperienze: ormai ha provato tutto (Tutto è bevuto, tutto è mangiato!, v. 11), anche in senso intellettuale. Il pensiero, la poesia sono infatti presentati come un gioco (comporre acrostici indolenti, v. 3), raffinato, sì, ma inutile, privo di effetti sull'esistenza comune. Perciò, alla fine, non rimane che lasciarsi andare, abbandonarsi al tedio (v.14).

Il fascino delle poesie di Verlaine dipende anche da una raffinatissima musicalità, che in traduzione purtroppo si perde. Il poeta ha scelto una forma chiusa e classica come il sonetto, per costruire una scena apparentemente oggettiva, in ciò simile alle rappresentazioni dei parnassiani. Ma qui Verlaine usa un quadro esterno per rendere un sentimento interiore, una condizione soggettiva, sentita però come rappresentativa dello stato d'animo della prima generazione decadente.

Il sonetto è esemplare di una disposizione ideologica e sentimentale del Decadentismo, considerato come una letteratura della crisi, della decadenza, appunto. Il poeta propone subito un’analogia con la “fine della decadenza” dell’Impero romano, identificandosi in esso (attraverso l’uso della prima persona) e assumendo quindi su di sé tutte le caratteristiche negative attribuite a questo periodo storico: la debolezza, la corruzione, la fuga nell’evasione e nel divertimento fatuo, l’incapacità di valutare e fronteggiare i pericoli della realtà. La corrispondenza tra un passato così lontano e il presente ha un valore polemico, in quanto implica un rifiuto del progresso.

In languore questa tematica viene sviluppata in alcuni dei suoi momenti essenziali:

  • la solitudine, che riprendendo la grande lezione baudelairiana si trasforma in un senso opprimente di noia;
  • la sensazione della fine, che rende estenuati i piaceri materiali e spirituali, vuota l’attesa del futuro. L’idea che ormai ogni esperienza è stata provata (tutto è bevuto, tutto è mangiato) finisce per vanificare ogni prospettiva di impegno intellettuale e spirituale (niente più da dire) è così ribadita l’inutilità della poesia, che, propondendosi come simbolo della crisi, viene presentata anch’essa come un valore fatuo effimero e perituro, da gettare alle fiamme.

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