La poesia giocosa e Cecco Angiolieri
Descrizione della corrente letteraria nata in Toscana "La poesia giocosa" e del suo maggiore esponente: Cecco Angiolieri (3 pagine formato doc)
La poesia giocosa
La poesia giocosa è una nuova corrente letteraria che si sviluppa in Toscana intorno al 200’. Cecco Angiolieri.
Questa corrente ha un unico scopo, quello di far divertire. Molti poeti adoperarono questo stile, tra cui anche quelli dello Stilnovo, Guinizelli, Cavalcanti e Dante. Questi volevano dimostrare di essere capaci di usare un registro linguistico ed espressivo completamente diverso da quello adoperato fin ora. Il maggiore espondente della poesia giocosa è Cecco Angiolieri
Cecco nacque a Siena nel 1260 da una nobile famiglia toscana. Egli trascorse l’intera sua vita nel lusso sfrenato, infatti i suoi unici ideali di vita furono, il gioco d’azzardo, il bere e le donne. Sperperò tutto il suo denaro in queste cose a tal punto che alla sua morte, nel 1313, i figli rifiutarono l’eredità, poiché il padre era pieno di debiti. Cecco fu il maggior esponente della poesia giocosa, scelse esclusivamente questo genere, ma adoperandoci i temi e gli stili stilnovistici, cambiandone totalmente il messaggio finale. Infatti adoperò sia la figura dell’amore che quella della donna, ma a differenza degli stilnovisti, che li adoperarono in modo divino (donna angelo e amore ultraterreno), lui li uso in modo terreno, infatti uso il tema dell’amore materiale e carnale e cambiò la figura della donna in una donna concreta, realmente esistita e tal volta anche volgare. Una delle opere più importanti di Cecco è “si fosse foco arderei il mondo”.
In questo sonetto, il poeta si identifica in tutte le cose che hanno un potere, ossia il fuoco, il vento, l’acqua, Dio,… e qualunque cosa egli sarebbe farebbe del male alla gente, quindi delineando un pessimismo molto forte, ma nell’ultima terzina egli rivela che è tutto uno scherzo, dicendo se lui fosse Cecco, cosa che è realmente, si accerchierebbe di tutte le donne più belle e lascerebbe le più brutte agl’altri. In questa poesia è presente in modo insistente la figura retorica dell’anafora, ovvero la continua ripetizione di un parte del sonetto precedentemente detto, ovvero “s’ì fossi”.