Annibale passa le Alpi

Traduzione di "Annibale passa le Alpi" da "Ab urbe condita" libri XXI, 35-37. (formato txt) (0 pagine formato txt)

Appunto di alepa
"Il nono giorno giunsero sul valico delle Alpi, attraverso passaggi per lo più inaccessibili e con deviazioni causate o da inganno delle guide o, quando si diffidava di esse, dalle valli in cui si addentravano cercando d'indovinare la via giusta.
Si pose il campo sul valico per due giorni, e vi si diede riposo alle truppe stanche del cammino e dei combattimenti; e alcuni muli, che erano sdrucciolati per le rocce, raggiunsero il campo seguendo le orme della colonna. In questa, affranta da tante avversità, accrebbe terrore anche la caduta della neve, ché già era il tempo del tramonto delle Pleiadi. Poiché, levato il campo all'alba, attraverso sentieri tutti pieni di neve la colonna avanzava assai lentamente e tutti i volti tradivano la svogliatezza e la sfiducia, Annibale, spintosi innanzi alle insegne, fece fermare le truppe su un contrafforte da cui la vista poteva spaziare in lungo e in largo, e mostrò l'Italia e le pianure circumpadane che si stendono ai piedi delle Alpi, aggiungendo che essi varcavano ora le mura non solo dell'Italia ma anche di Roma; tutto sarebbe stato ormai piano e in discesa, e in una o al più in due battaglie sarebbero stati padroni e signori della rocca e della capitale dell'Italia.
Riprese allora l'esercito ad avanzare, ché ormai i nemici non tentavano più alcuna opposizione, tranne qualche occasionale ruberìa senza importanza. Tuttavia il cammino fu assai più difficile che non era stato nella salita (giacché quasi dovunque le Alpi dalla parte dell'Italia sono bensì meno estese ma più ripide). Quasi ogni sentiero, infatti, era scosceso, angusto, lubrico, si che non potevano trattenersi dallo sdrucciolare, né, se fosse lor mancato il piede, fermarsi dov'erano caduti; e gli uni cadevano su gli altri, e le cavalcature su essi. Giunsero poi tra dirupi ancor più angusti e con pareti tanto erte, che a grande stento soli i soldati armati leggermente, avanzando a tentoni e aggrappandosi agli arbusti e alle radici affioranti, riuscivano a calarsene giù. Il luogo, già di sua natura scosceso, a cagione di una frana recente si era avvallato per un'altezza di oltre mille piedi. Poiché la cavalleria si era fermata colà come innanzi al termine della via, ad Annibale che chiedeva stupito la causa dell'arresto della marcia fu riferito che la roccia non dava passaggio. Si mosse egli allora per vedere. E vide che senz'altro bisognava far girare le truppe, pur con una lunga deviazione, per luoghi all'intorno senza strade né mai prima battuti. E invero quel cammino era insuperabile; giacché, se poco era lo spessore della neve recentemente caduta su quella vecchia e intatta, e su essa, soffice e non troppo alta, i piedi si posavano con sicurezza, quando essa per il passaggio di tanti uomini e di tanti animali si fu disfatta, il cammino avveniva sul sottostante ghiaccio rimasto scoperto e tra la fluida poltiglia della neve che si scioglieva. Terribile era quivi la lotta, perché la via resa sdrucciolevole dal ghiaccio non consentiva di procede