Catullo: vita, poesie e opere

Biografia e opere di Gaio Valerio Catullo, poeta romano famoso per le passioni amorose che esprime nelle sue poesie.
Catullo: vita, poesie e opere
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1Gaio Valerio Catullo

Busto di Gaio Valerio Catullo a Sirmione
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È San Girolamo a ragguagliarci sulla vita di Catullo perché non possediamo una biografia antica. Leggendolo in lingua originale ed esercitandoci nel tradurlo possiamo però avvicinarci al poeta osceno e anarchico più di quanto le edizioni scolastiche possano mostrarci. Dai suoi versi emerge sempre la grazia mozartiana con cui confessa suoi sentimenti e le sue passioni. Come afferma il latinista Alessandro Fo, «Catullo è stato il primo poeta a scrivere un canzoniere d’amore dedicato a una specifica persona. In questo canzoniere ha dato voce alla sua storia sentimentale con tutti gli accidenti e le contraddizioni che caratterizzano qualsiasi storia, a partire dall’innamoramento, la seduzione, la crisi, la riconciliazione, fino alla crisi definitiva».

2Catullo: da Verona a Roma

Vestigia del Palazzo di Catullo a Sirmione
Fonte: ansa

Catullo era un giovane di grande talento e ricco perché proveniente dall’aristocrazia della Gallia Cisalpina: a quanto ci dice Svetonio, suo padre ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione, sulle rive del Lago di Garda.    

Per ottenere il successo letterario era però imprescindibile confrontarsi con la grande città: Catullo si trasferì a Roma dove conobbe esponenti dell’alta società (siamo circa nel 60 a. C.) e si inserì nel clima di trasformazione causato dal tramonto della repubblica, con la relativa crisi morale e culturale.    

Ogni crisi è però foriera di novità e con ogni probabilità fu proprio il turbinio delle vicende politiche a suggerire al poeta di ignorare il negotium (impegno politico e civile) e dedicarsi soltanto al suo otium letterario alla scoperta del suo lirismo e di sé stesso.  

Sul modello greco di Saffo e di Alceo, ma anche di Archiloco, Catullo importò la poesia lirica a Roma, opposta a quella di argomento civile e storico – l’unica concessa, l’unica degna del vir. Dunque Catullo prese parte al gruppo dei "neóteroi" o "poetae novi" che si distinsero presto nel panorama culturale romano. La vita della capitale lo travolse: feste, banchetti, ricevimenti, notorietà… dice il poeta: Romae vivimus: illa domus, / illa mihi sedes, illic mea carpitur aetas, ossia «A Roma io vivo: là è la mia casa, là è la mia dimora, là scorre la mia vita» (LXVIII, 34-5). Forse non seppe mai adeguarsi del tutto a questi disvalori della società. 

Questo fatto ci aiuta a comprendere l’evento più significativo della sua vita: l’amore per Lesbia, tema principale della sua poesia, donna che il poeta amò in modo totalizzante all’insegna della fides: la conobbe nel 62, forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. 

3Catullo e l’incontro fatale con Clodia – Lesbia: storia di un amore travagliato

Catullo e Lesbia
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Se l’identificazione è corretta, il vero nome della donna amata da Catullo è Clodia chiamata Lesbia in onore di Saffo, poetessa dell’isola di Lesbo. Clodia è identificabile con la sorella del tribuno della plebe (58 a. C.) Publio Clodio Pulcro, e moglie del proconsole Quinto Metello Celere incaricato del territorio cisalpino (62-61 a. C.). 

La loro storia d’amore fu burrascosa: Clodia era una donna emancipata, elegante, raffinata, colta, libera nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento. Catullo invece sognava un amore esclusivo, tenero, fedele. Lei forse lo desiderava come amante e basta; lui la elesse a donna della sua vita. Un errore di valutazione, potremmo dire, quasi adolescenziale, con la conseguente assoluta fedeltà di cui sono capaci i giovani idealisti. Clodia viveva il turbine della mondanità senza scrupoli e non prestava troppa attenzione al sentimento del poeta. 

Nelle poesie troviamo la traccia di questo conflitto insanabile che regala al poeta rari momenti di felicità e molti di disperazione per le sue lontananze e i suoi tradimenti. Per trovare requie da questo sentimento, fece ritorno alla sua Verona ma qui lo raggiunse la notizia della morte del fratello nella Troade. Inoltre da Roma dovette continuare a ricevere altre dolorose notizie sui comportamenti di Clodia

4Roma di nuovo e il viaggio in Asia

Grotte di Catullo. Villa di Sirmione
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Catullo scelse di tornare nella capitale, roso dalla lontananza e dalla gelosia, ma fu un fallimento e forse risalgono a quest’epoca le poesie più nostalgiche dell’amore per Lesbia. Costretto nuovamente a cambiare aria, il poeta accompagnò nel 57 il pretore Gaio Memmio in Bitinia, il dedicatario del De rerum natura di Lucrezio. Laggiù, in Asia, Catullo entrò in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d’Oriente dove ancora imperava l’Ellenismo. Durante questo viaggio fece visita alla tomba del fratello regalandoci una delle poesie più ispirate della sua produzione.

Dopo questo viaggio, forse compose i suoi poemi più sofisticati e lunghi in cui sperimentò il raffinato gusto della poesia ellenica.

Catullo passò i suoi due ultimi anni di vita nella villa di Sirmione, consumato fisicamente dalla nostalgia e dal dolore, in uno stato depressivo generato dalla sfortunata esperienza d’amore e dal dolore per la morte del fratello.

5Il Liber di Catullo

Cornelio Nepote. Ostiglia (Mantova)
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Il "Liber" catulliano comprende 116 poesie detti carmi per un totale di circa 2300 versi. I carmi catulliani sono divisi in tre sezioni non in base ad un ordine cronologico, ma secondo le affinità metrico-stilistiche e tematiche seguendo un criterio di variatio che alterna poesie con temi affini.

Il Liber è dedicato a Cornelio Nepote [C. I], ma lì viene denominato libellus, ossia “librettino” poiché doveva comprendere solamente le nugae.

L'opera, quale a noi è giunta, è quasi di sicuro una raccolta postuma, nella quale accanto ai carmi del "libellus" trovò definitiva sistemazione tutto il corpus poetico della produzione poetica catulliana: insomma, di quella produzione, esso sarebbe una raccolta antologica. Ti riporto la struttura.

5.1Carmi 1-60

Catullo li chiama nugae, “sciocchezze” e infatti sono versi leggeri, espressioni di una poesia intesa come "lusus", disimpegnata, scritta cioè per divertimento. Questa definizione potrebbe trarre in inganno: a questa forma in apparenza umile il poeta affida il suo cuore e le sue vicende interiori. Catullo quindi avanza in punta di piedi e dietro il topos modestiae fa intendere che la vera poesia dell’animo è lirica e alcune anime elette hanno il dono del canto. Questa concezione – derivata dal mondo greco – avrebbe cambiato per sempre la storia della letteratura latina e non solo: Tibullo, Properzio, Orazio… sono tutti debitori di Catullo.   

I metri più usati sono l'endecasillabo falecio (il più frequente), il trimetro giambico puro, il coliambo, la strofa saffica minore, il priapeo, il tetrametro giambico catalettico, l'asclepiadeo maggiore, il trimetro giambico archilocheo.   

Famose sono le due poesie dedicate all’amato passero di Lesbia (C. II e III), l’invito ai baci e all’amore Vivamus mea Lesbia, atque amemus (C. V), la prima delusione amorosa (C. VIII), l’invito a cena con sorpresa (C. XIII), critica alle poesie “merdose” di Volusio (C. XXXVI), il LI che ci descrive la dolce sofferenza d’amore riadattando una poesia di Saffo.   

5.2Carmi 61-68

Sono stati comunemente definiti carmina docta. Intanto sono molto più lunghi delle nugae e anche più complessi da un punto di vista stilistico. Si tratta di elegie, epilli ed epitalami nei quali cresce il tono esplicitamente letterario: ovvero, l’epitalamio per le nozze di Manlio Torquato; un altro epitalamio, in esametri, studiata e felice trasposizione moderna di Saffo; l' "Attis", poemetto in versi galliambi, strana evocazione dei riti dedicati alla dea Cibale, un pezzo di bravura callimachea; il celebratissimo carme LXIV, vasto epillio per le nozze di Péleo e Tétide (con inclusa la storia di Arianna), che è una piccola epopea mitologica sempre alla maniera di Callimaco; la traduzione in esametri della "Chioma di Berenice" di Callimaco, preceduta dalla dedica all’amico Ortalo in distici elegiaci; un’elegia epistolare di gusto alessandrino, che ricorda il tempo felice dell’amore di Lesbia. 

5.3Carmi 69-116

Sono i cosiddetti epigrammata (epigrammi), carmi brevi e di presa immediata scritti anche in forma di elegia: al livello tematico sono affini al primo gruppo, ma resi con metro diverso: il distico elegiaco, appunto (esametro più pentametro). Famoso è il carme LXXII, con la differenza tra “amare” e “bene velle”, l’LXXXV, “Odio e amo”, in cui Catullo esprime la tragedia del dissidio amoroso, il CI in cui il poeta narra la visita alla tomba del fratello in Asia.

I temi affrontati sono quindi vari ma su tutti domina senza dubbio la figura di Lesbia e l’amore tormentato per lei di cui possiamo cogliere lampi di felicità immensa e cadute nella disillusione più amara. È un sentimento totalizzante all’insegna del foedus e della fides, termini che appartengono al lessico giuridico e che Catullo usa per dimostrare la sacralità del suo sentimento. Lui la ama più di ogni altra cosa al mondo. Infatti:

Gaio Valerio Catullo
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«La poesia d’amore catulliana presenta aspetti di straordinaria novità, sia rispetto alla tradizione letteraria greca, da cui pure – specie dall’epigramma alessandrino – riprende non pochi elementi convenzionali, sia nei confronti della mentalità e del costume romano. Mentre la lirica erotica greca aveva cantato, con rarissime eccezioni, la passione per le cortigiane, i carmi amorosi di Catullo sono dedicati a una donna sposata di elevata condizione sociale, in aperto contrasto con la morale del tempo e con le stesse leggi dello Stato» (Pontiggia-Grandi, Letteratura Latina, II, 38)

L’amore ritorna anche nelle poesie d’amore che Catullo dedica a Giovenzio, un suo giovane amante e che ci dimostra quanto gli usi e costumi dei Greci erano permeati nel mondo romano. Sono poi delicatissime le poesie per gli amici, ironiche e spesso caustiche quelle dedicate ai nemici. Catullo spazia in vari temi e il minimo comune denominatore è il suo io, l’ego del poeta, il suo sentire

6La poetica e lo stile di Catullo: i neòteroi o poetae novi e la nascita della poesia lirica

Per capire la grande novità della poesia di Catullo dobbiamo ricordare che c’era stato da secoli (a partire dal III secolo a. C.) un progressivo avvicinamento tra la cultura greca e quella romana

Inoltre almeno due poeti precursori dei neoterici (fine II e I sec. a. C.) avevano poi indicato la via ai loro epigoni: Quinto Lutazio Catulo, che aveva introdotto a Roma la poesia epigrammatica di argomento personale, e Levio, che aveva scritto almeno sei libri di Erotopaegnia («scherzi amorosi, «scherzose fantasie d’amore») introducendo il motivo amoroso nella lirica seppur in veste, di solito, mitologica. 

C’erano poi i mimi scenici come Publilio Siro e Decimo Laberio che raccontavano le loro esperienze personali in brevissime satire

È un processo lungo, ma di certo c’era stato un maggiore studio della coscienza e dell’interiorità attraverso l’epicureismo che proponeva una dimensione nuova della vita: l’otium. Cicerone, che era più incline allo stoicismo, accusava questi poetae novi di essere dei cantores Euphorionis, “divulgatori di Euforione” (Tusc. disp. III, 19, 45), poeta greco alessandrino famoso per la sua oscurità a causa dell’eccessiva raffinatezza.

Catullo dichiara infatti che il suo Liber è expolitum, vale a dire lavorato con la pomice (C. I), quindi levigato, portato con continue limature e correzioni per giungere alla perfezione formale. Il carme XCV, che celebra la pubblicazione della Zmyrna di Cinna (epillio erotico-mitologico di tipo ellenistico) sottolinea proprio le tre parole chiave della poetica neoterica: brevitas, doctrina e labor limae. La spontaneità della sua poesia è quindi frutto di un’accurata ricerca.

Catullo e Clodia (Lesbia)
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In più le tematiche affrontate sono intime e quotidiane che per nulla si addicono al cittadino romano. Questo è il problema: i cittadini romani non facevano i poeti, non ne avevano il tempo. I poeti neoterici, sotto la guida del maestro Valerio Catone, rivendicano con orgoglio la loro differenza esibendo il loro otium e riunendosi in un gruppo coeso. Infatti:   

«Appare subito chiaro che il genere lirico, così come si configura inizialmente in Roma, tende a contrapporsi a tutti i generi letterari praticati dagli scrittori latini nell’età arcaica, tutti connessi in vario modo a una destinazione pubblica e civile, dal poema epico al teatro comico e tragico, dalla storiografia all’oratoria; anche la satira, che con Lucilio aveva aperto notevoli spazi alla dimensione individualistica de autobiografica, si proponeva dichiaratamente di esercitare un’influenza moralizzatrice nell’ambito della civitas» (Pontiggia-Grandi, Letteratura latina, II, 26).   

Oltre al fondatore, in questo cenacolo poetico si inserirono Catullo, Furio Bibaculo, Elvio Cinna, Licinio Calvo, Quinto Cornificio, tutti uomini ricchi ed eleganti, colti, quasi dei dandy ante litteram. Furono i primi veri poeti di Roma nel senso moderno del termine.

Il riferimento poetico più importante per i neòteroi è Callimaco, dotto filologo e poeta greco vissuto nel III sec. a. C.: Callimaco promosse una poesia raffinata, curata nella forma, dal contenuto spesso mitologico e di breve estensione (epigramma ed elegia erano le due forme predilette) in antitesi al poema epico di matrice omerica.

In definitiva il callimachismo fu un orientamento poetico saldo che contraddistingue lo stile di Catullo e dei poeti neoterici. Questi i dettami principali:

  • l’opera poetica deve essere breve e ben rifinita, tanto elegante da apparire semplice nella sua complessità;
  • dove non si imita direttamente deve subentrare la variatio in imitando, cioè variare leggermente nell’imitare così da rendere la poesia “arta allusiva”, una specie di scommessa con il lettore che può scorgere in filigrana le raffinate citazione e i modelli utilizzati.
  • È molto incoraggiata la poikilìa, l’utilizzo di più metri.
  • La poesia deve fare sfoggio di erudizione secondo una concezione aristocratica dell’arte.

7Una piccola, non esaustiva, conclusione

Pavese scrisse queste famose righe: «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte» (citato da Il mestiere di vivere). È una frase che ben si addice a Catullo e al suo modo totalizzante di vedere l’amore per Lesbia. Al di là dei facili biografismi e psicologismi (sempre pericolosi) Catullo ci ha insegnato a capire l’amore e ad essere coscienti della sua indomabile forza, riadattando la lezione di Saffo ma resa ancora più complessa. Per Catullo l’amore si pone al di fuori di ogni legge perché l’amore stesso è legge e non ammette il debole e noioso contraddittorio della ragione. Catullo, raccontandosi, offre la possibilità anche a noi, pur a distanza di secoli, di comprendere quanto deboli siamo davanti a questo misterioso sentimento. La figura della donna – sineddoche e metonimia di tutti gli amori e di tutte le passioni che ci lasciano succubi e sedotti – si staglia in tutta la sua incolmabile lontananza. Eppure essa, per brevi momenti, è stata vicina, presente… e in quel momento la felicità ha infiammato il cuore dell’innamorato ispirandogli il sogno dell’eternità attraverso l’abbraccio alla propria donna. 

    Domande & Risposte
  • Chi è stato Catullo?

    E’ stato un poeta romano conosciuto per le sue passioni amorose che primo espresse nelle sue poesie.

  • Cosa ha scritto Catullo?

    Il Liber, una raccolta di 116 poesie, dette Carmi.

  • A chi è dedicata il Liber, la raccolta di carmi di Catullo?

    A Cornelio Nepote.

  • Chi è Lesbia nelle opere di Catullo?

    Clodia, moglie di Quinto Metello Celere.