De Oratore I: traduzione
Traduzione del primo capitolo del De Oratore di Cicerone (1 pagine formato txt)
DE ORATORE I: TRADUZIONE
De Oratore I di Cicerone.
"Invece sono gradevoli, e spesso sono particolarmente efficaci, i motteggi e le facezie, che, mentre tutte le altre materie possono esporsi in forma sistematica, sono veramente manifestazioni naturali e non hanno bisogno di trattazione teorica. Questo è un campo nel quale tu, Cesare, superi di molto gli altri, a parer mio; appunto perciò tu sei in grado o di attestare che non esiste una teoria dell'arguzia o, se esiste, di insegnarcela a preferenza d'ogni altro". "Ma io", disse Cesare, "sono convinto che un uomo un po' raffinato può riuscire più faceto trattando qualsiasi argomento che direttamente le facezie. Tant'è vero che, dopo aver visto certi libri greci intitolati de ridiculus, avevo sperato di poterne imparare qualcosa: poi ho trovato, si, molti esempi di battute ridicole e spiritose da parte di Greci (in questa specialità eccellono infatti i Siciliani, i Rodiesi, i Bizantini e, più di tutti gli altri, gli Attici), ma quelli che hanno tentato di fornire una teoria sistematica di questa materia si sono mostrati così insulsi che la sola cosa a far ridere in loro è appunto l'insulsaggine. Perciò mi pare che l'argomento da te proposto non possa per nulla esser trattato teoricamente. In realtà esistono due specie di piacevolezza, una che si diffonde equilibratamente per tutto il discorso, l'altra pungente e rapida: la prima è stata chiamata dagli antichi umorismo (cavillatio), la seconda mordacità (dicacitas). E un nome poco austero, quello che hanno le due cose, e si capisce: per nulla austero è infatti nell'insieme questo puntare al riso. Ma tuttavia, come dici tu, Antonio, ho visto che spessissimo nelle cause si ottengono grandi vantaggi con la giovialità e le facezie.Cicerone: orazioni e opere
CICERONE RETORICA
Orbene, non solo nella prima specie, quella dell'arguzia continua, non si sente il bisogno di una teoria (perché è la natura a plasmare gli uomini e a crearli imitatori e narratori faceti, con l'aiuto del volto e della voce e perfino dello stile), ma anche nella seconda specie, quella del motteggio a frecciate, ché posto può avere mai la teoria, se il motto spiritoso che si scaglia deve avere già raggiunto il bersaglio ancor prima che appaia che abbia potuto esser pensato? E infatti che aiuto avrebbe potuto ricevere dalla teoria mio fratello qui presente, quando a Filippo che gli domandava perché latrasse rispose che vedeva un ladro? E Crasso, in ogni suo discorso, come quello davanti ai centumviri contro Scevola o quello contro Bruto l'accusatore, parlando in difesa di Planco? Perché il primato che tu, Antonio, attribuisci a me, bisogna assegnarlo a Crasso, secondo quello che è il giudizio unanime di tutti; e davvero, se togliamo lui, non riusciremo a trovare forse nessuno particolarmente bravo in tutt'e due i tipi di lepidezza, quello che pervade tutto il discorso senza interruzione e quello che si manifesta in rapidi motteggi.