Iter Brundisinum, Orazio

La satira qui tradotta è il racconto divertente di un viaggio (dunque, un carme di tipo odeporico) da Roma a Brindisi, che Orazio fece in compagnia di Mecenate e di qualche altro amico nel 37 a.c. Il racconto è modellato sull'iter Siculum di Lucillo (file (0 pagine formato txt)

Appunto di epris
"Partito da Roma maestosa, Aricia mi accolse con un modesto alloggio: m'era compagno di viaggio il rètore Eliodoro, uomo colto quant'altri mai fra i Greci.
Ripartiti, ecco Foro d'Appio, brulicante di barcaioli, di locandieri bricconi. Amanti del comodo, dividemmo con soste questo tratto dì strada, che è unica tappa per gente più spedita di noi: la via Appia è meno affascinante per chi non ha fretta. Qui dichiarai digiuno al mio ventre a causa dell'acqua, perché era delle peggiori, e con un certo malumore me ne stetti ad aspettare gli amici che si rifocillavano. E ormai la notte si apprestava a riportar le ombre sulla terra e a sparger nel cielo le costellazioni.
Ed ecco i nostri servitori lanciare insolenze ai traghettatori, e questi a quelli. "Accosta qua. "Me ne cacci dentro trecento! ohi! adesso basta. Il tempo d'accordarsi nel pagare il nolo; il tempo d'acconciare la mula al traino: un'ora intera se ne va via. Perfide zanzare e rane abitatrici di paludi riducono a nulla i tentativi di sonno; e dopo che il traghettatore, fradicio di vin brusco, e uno dei passeggeri, a tenzone, hanno intonato canzoni alla bella lontana, alla fine, stremato, il passeggero accenna ad appisolarsi, e il traghettatore, con gesti pigri, lega a un sasso le lunghe briglie della mula lasciata al pascolo, si stende quant'è lungo e russa. Già si annunciava l'alba: quand'ecco ci accorgiamo che il battello non si muove per nulla, sino a che balza sulla riva uno spiritato e con un randello di salici dà una pettinata alla testa e alle reni della mula e del traghettatore. A mala pena, all'ora quarta, finalmente, ritorniamo a terra. Nelle limpide tue acque, o Feronia, noi ci rinfreschiamo il viso e le mani. Dopo colazione, saliamo arrampicandoci per tre miglia e giungiamo sotto ad Anxur, che sorge sopra rocce biancheggianti pur da lontano, Qui stavano per giungere l'ottimo Mecenate e Cocceio, inviati, l'uno e l'altro, come delegati di affari di Stato, soliti a metter pace fra gli amici in urto. Qui, cisposo qual sono, spalmo nerastro collirio sui miei poveri occhi. E nel frattempo giungono Mecenate, e Cocceio, e pure Fonteio Capitone, uomo quanto mai ammodo, amico, come nessun altro più, di Antonio. Senza rimpianto lasciamo Fondi, cui presiede Aufidio Lusco pretore; e di questo stravagante scribacchino sono per noi argomento di risa le insegne ostentate: la pretesta, il laticlavio, il turibolo colmo di brace. Stanchi, poi, ci soffermiamo nella città dei Mamurra: Murena ci apre la sua casa, Capitone la sua cucina. L'indomani si annuncia un'alba fra le più gradite: a Sinuessa, infatti, ci vengono incontro Plozio e Vario e Virgilio, anime quali più candide mai resse la terra e a cui nessun altro più di me è devoto, O quali furono gli abbracci e quanta la felicità! Finché mi resta lume di ragione, nulla saprei mettere a paragone con l'amabilità di un amico. La locanda che sta più vicina a ponte Campano ci offerse ricovero e gli addetti alle provvigioni ci procurarono legna e sale,