Prima Bucolica di Virgilio
Appunto inviato da ciccio12345
L'analisi della Prima Bucolica di Virgilio . (file .doc, n.pagine 2) (0 pagine formato doc)
I Bucolica Esercizio sulla I Bucolica La prima bucolica è interamente costruita sul contrasto tra l'angoscia e la malinconia di Melibeo e la serenità e la tranquillità di Titiro.
Pertanto essi sono tra di loro in posizione antitetica, e questo lo possiamo già evincere dalla chiasmatica opposizione tra il “nos maiestatis” ed il “tu”, alternativamente utilizzati dai due pastori: ricerchiamo quindi questi loro stati d'animo contrastanti nel lessico della prima bucolica. Melibeo all'inizio riprende Titiro, poiché lo vede “patulae recubans sub tegmine fagi”; egli è quindi disteso, tranquillo, posato, seguendo le sue solite abitudini. In opposizione a questo invece Melibeo è costretto ad abbandonare i “dulcia arva”, e con essi quindi la sua personale patria, giacché il mondo contadino è fortemente legato all'ambito dei possedimenti terrieri. “Dulcia” quindi perché per lui sono i campi amati, dolci, gradevoli, i campi nei quali è vissuto sin da bambino e probabilmente gli unici che conosce. Quest'antitesi è ripresa subito dopo, quasi Melibeo ne volesse fare un piccolo sommario: “Nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra […]”. Da parte di Titiro ad ogni modo non c'è solo tranquillità e serenità, in quanto egli è perfettamente cosciente che se non ci fosse stato l'intervento di Ottaviano (da lui divinizzato fino a diventare “deus”) ora si troverebbe nelle stesse situazioni dell'amico Melibeo: Titiro ne è talmente cosciente da promettere che “saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus”. Dunque Melibeo ammette di non invidiare l'amico, ma di meravigliarsi piuttosto: “fino a questo punto c'è scompiglio in tutta la campagna!”. Melibeo è stordito, non riesce a capire molto di quello che sta succedendo, e questo suo stato interiore è ben esemplificato nel termine “miror”, che vuol dire sì meravigliarsi, essere stupiti, ma vuol dire anche ammirare interdetti qualcosa… Melibeo è quindi malinconico, attonito, ma anche e soprattutto “aeger”, ovvero afflitto, malato, sia fisicamente sia, soprattutto, mentalmente. Egli si rende anche conto che queste disgrazie le avrebbe anche potute prevedere, in quanto segni divini gliele avevano preannunciate. Titiro dall'altra parte è cambiato, si è in un certo senso evoluto ed ha già ricevuto un insegnamento da questa situazione poiché, dopo essere stato lasciato da Galatea ed essersi messo con Amarillide, gli si sono “aperti gli occhi”. Sicché mentre prima “parvis componere magna solebam”, ora riesce a ragionare meglio ed ha una mente più aperta. Quindi non solo comincia a vedere Roma come una città che svetta rispetto a tutte le altre ma comincia anche a preoccuparsi della propria situazione economica, della quale prima non si curava affatto. Melibeo poi riprende il campo semantico del “miror”, osservando stupito e quasi invidioso come Am