Seneca: Che cosa bisogna evitare? La folla

Spiegazione dei passi tratti dall'opera Lettere a Lucilio di Seneca: "Che cosa bisogna evitare? La folla" (5 pagine formato doc)

Appunto di lumata

SENECA, CHE COSA BISOGNA EVITARE? LA FOLLA

Due passi tratti dalla parte più consistente di quelle lettere a Lucilio famosissime dove Seneca approfondisce alcuni aspetti della sua prosa filosofica in modo particolare nella prima lettera che ha il titolo: “Che cosa devi evitare? La folla”.

Seneca giustifica diciamo così il fatto che si deve evitare la folla perché la folla, turba (in senso molto dispregiativo) o follus è quella che ci attacca “illizia” addosso senza che noi ce e accorgiamo, e dice Seneca: “non c’è una volta che io esca di casa che io ritorno a casa uguale a come ero uscito ma qualcosa dei miei piani sfuma e qualcosa che avrei voluto evitare invece non sono riuscito ad evitare”.
In modo particolare Seneca in questo passo accusa la folla non solo di possedere lo spirito di branco, che diciamo di per sè non sarebbe gran negativo, ma l’accusa che lo spirito di branco, che dovrebbe essere tipico degli uomini, fa si che gli uomini siano particolarmente dediti al sangue.
Questo è quel passo famoso in cui dice, racconta, della violenza degli spettacoli circensi in cui si sparge umano cuore e spettacoli al quale l uomo partecipa proprio per soddisfare questa sua voglia innata e immodificabile di violenza e di sanguinarietà, tanto è vero che poi il passo culmina con il famoso climax: “beh tanto per non perdere tempo facciamo in modo che si strozzino appunto un paio di persone”.

L'IMMORTALITA' DELLA FOLLA E LA SOLITUDINE DEL SAGGIO, ANALISI

Il panorama è quello noto, arcinoto, della volgarità anche della turba in cui lo spirito di branco ci presenta gli spettatori che sono felici di vedere gli altri che muoiono, l’uomo è felice, secondo Seneca, i fatti parlano da soli evidentemente, quando viene soddisfatto di quella sete, diciamo così, di cattiveria che caratterizza lo spirito umano.
Quindi è un passo che potrebbe portarci a domandarci: -Fino a che punto siamo civili?-
O ancor meglio calandola in quel tempo: -Fino a che punto i romani erano più civili dei tanti barbari che appunto, con i quali ebbero in modo a che fare?-

Seneva: vita e opere

“Seneca saluta il suo caro Lucilio”. [1] “Tu mi domandi (in realtà il punto interrogativo potremo anche eliminarlo però teniamo questo discorso diretto, questo dialogo aperto) che cosa io pensi che tu in modo particolare debba assolutamente evitare? La massa.

Mai  (non ancora, fino a questo momento) tu ti puoi affidare alla folla stando tranquillo (al sicuro) io certo ammetterò la mia debolezza ma anche la mia malattia, mai riporto a casa i costumi che avevo (lett. che avevo fatto uscire) quando sono uscito; qualcosa di quello che avevo stabilito viene sconvolto, (non vi sfugga?) qualcosa di quello che avevo messo in fuga ritorna.
Ciò che capita ai malati che una lunga malattia ha condizionato (trasformato) in maniera tale che mai si esce senza un contagio, questo accade anche a noi gli animi dei quali per così dire si riprendono da una lunga malattia”.