Cos'è il realismo: descrizione, caratteristiche e autori

Il Realismo in letteratura: caratteristiche, descrizione ed evoluzione di un genere letterario che decide di raccontare la realtà

Cos'è il realismo: descrizione, caratteristiche e autori
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Cos'è il Realismo

Illustrazione da Eugenie Grandet di Balzac
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Il Realismo nasce come contrapposizione alle tendenze spiritualistiche del Romanticismo e vuole fornire un quadro oggettivo della realtà, evitando l’idealizzazione delle storie e dei personaggi, tipica del Romanticismo. Il Realismo si distingue per il suo focus rinnovato sulle circostanze dei meno fortunati, delle fasce più vulnerabili e impoverite della società. Questo movimento arricchisce gli argomenti narrati e illustrati nei romanzi, estendendo l'interesse a ogni strato sociale e situazione di vita. In aggiunta, esiste un'intensa denuncia delle ingiustizie perpetrate dal sistema e delle disparità esistenti. Il personaggio del romanzo realista perde ogni aspetto eroico ed eccezionale che caratterizzava i personaggi romantici. E nella sua descrizione della realtà, nella ricerca di una descrizione obiettiva e rigorosa, si guarda al romanzo come a uno strumento di intervento sociale.  Tra i principali esponenti del Realismo ci sono Stendhal, Honoré de Balzac e Gustave Flaubert. Il Realismo sfocia nel Naturalismo – la variante scientifica del Realismo -  che ne riprende le caratteristiche essenziali.

Dal Realismo al Naturalismo

Il Naturalismo si afferma in Francia nella seconda metà dell’Ottocento (a partire dal 1870 circa); esso trova i propri fondamenti nel Positivismo, corrente filosofica che esprime il pensiero della nuova società borghese e fa da supporto teorico alla seconda rivoluzione industriale. Il Positivismo crede nel progresso della scienza e che essa possa favorire la felicità dell’uomo. Tale filosofia è definita “Positivismo”, perché i pensatori positivisti credono solo nei fatti positivi, ovvero quelli che si possono dimostrare scientificamente, mentre ciò che è metafisico o spirituale non gli interessa. La scienza diventa quindi lo strumento per conoscere e migliorare la realtà a favore dell’uomo, per spiegarla oggettivamente e dominarla.

Uno dei maggiori positivisti è Taine. Egli propone di applicare le proprie concezioni filosofiche e scientifiche alla letteratura, auspicando che essa si assuma il compito di un’analisi scientifica della realtà. Il Naturalismo si fonda sul presupposto che la letteratura possa analizzare e rappresentare la natura dell’uomo e la società umana con la stessa oggettività con cui le scienze trattano i fenomeni naturali. Il romanzo deve riprodurre la realtà e il suo autore deve comportarsi come uno scienziato: il sentimento personale non deve intervenire a mutare la realtà dei fatti narrati. Modelli letterari della scuola naturalista sono i romanzieri realisti: in primo luogo Balzac e Flaubert, autori rispettivamente della Commedia umana e di Madame Bovary; in secondo luogo i fratelli Edmond e Jules de Gouncourt, che dedicano particolare attenzione ai ceti inferiori, a fenomeni di degradazione umana e a casi patologici (nel romanzo Germinie Lacerteux analizzano la degradazione fisica e psicologica di una serva isterica).

Il Naturalismo di Emile Zola

Il più importante naturalista francese, considerato vero caposcuola del Naturalismo, è Emile Zola. Egli riassume nella sua opera quasi interamente il movimento. Le concezioni che stanno alla base della sua narrativa si trovano esposte nel saggio Il romanzo sperimentale del 1880. In quest’opera egli sostiene che il romanzo deve applicare il metodo scientifico all’analisi della realtà: come l’uomo è passato dallo studio della fisica (realtà inorganica) alla fisiologia (realtà organica), Zola vuole studiare la realtà spirituale e passionale, determinata dalle leggi fisse come quelle che regolano la fisica e la biologia; quindi il compito del romanziere è quello di scoprire tali leggi.

Queste concezioni sono messe in pratica nella sua opera fondamentale, “I Rougon-Macquart”, un ciclo di venti romanzi nei quali l’autore analizza i discendenti di una famiglia collocati in vari strati sociali, a partire dai ceti più bassi verso quelli più elevati, fornendo una panoramica della società francese di fine ‘800. Egli ricostruisce in modo preciso e particolareggiato spazi, costumi e modi di vivere, riguardanti vari tipi di ambienti: mondani, aristocratici, politici, artistici, letterari, del teatro, del giornalismo, i sobborghi, la Borsa, le campagne e le miniere. Zola si documenta con estremo scrupolo ed ha un atteggiamento polemico e critico verso i corrotti e i ricchi ceti dirigenti e la piccola borghesia, mentre s’interessa dei ceti subalterni (artigiani, operai, contadini), ma sempre con lo scrupolo di uno scienziato: egli non idealizza gli ambienti popolari, anzi ne riproduce anche gli aspetti più ripugnanti e fu questo che gli assicurò fama e ricchezza, anche se attraverso lo scandalo.

Per Zola lo scrittore ha una funzione utile nella società (visione progressista), poiché con il suo studio permette ai legislatori di conoscere meglio la società, in modo da poterla migliorare facendo delle leggi più adatte ad essa. Zola è un ottimista perché la società francese della seconda metà dell’‘800 è in continua crescita, quindi egli è fiducioso anche nel miglioramento delle condizioni delle classi più basse. Il suo atteggiamento, decisamente progressista, si evolve verso posizioni dichiaratamente socialiste.

Dal Naturalismo francese al Verismo italiano

Il Naturalismo francese ebbe vaste ripercussioni in Italia dove già Francesco de Sanctis, nei suoi saggi su Zola e sul darwinismo nell’arte avvertiva il bisogno di arrivare a un nuovo metodo, più pragmatico e positivo di affrontare la realtà. Il verismo italiano nasce dunque dall’incontro tra le esigenze oggettive sviluppatesi in Francia col Naturalismo e il concetto romantico di vero. Il Verismo italiano racconta soprattutto la letteratura regionalistica basata sul bisogno di far apparire il vero senza alcuna sovrapposizione dell’autore. Negli anni Sessanta e Settanta, in particolare a Milano e a Firenze, si cercarono di stabilire i limiti e le forme di questo tipo di letteratura, che comunque trovò la sua massima espressione in scrittori come i siciliani Giovanni Verga e Luigi Capuana. Naturalismo e Verismo si iscrivono nell’ambito più generale e generico del Realismo.

Il Verismo nell'arte: i macchiaioli

Il bisogno di rappresentare oggettivamente la realtà, di raccontare i temi sociali, descrivere le classi più disagiate, la fatica della quotidianità… trova espressione anche nell’arte e, nel nostro Paese, in particolare nella pittura dei Macchiaioli. I Macchiaioli sono un gruppo di artisti che arrivano da ogni parte d'Italia e che si riunivano al Caffè Michelangiolo di Firenze in Via Larga, punto di ritrovo degli artisti dell’accademia fra il 1855 e il 1867. I Macchiaioli propugnavano una pittura antiaccademica che raccontasse il vero, volta a cogliere il senso più che l'apparenza delle cose, attraverso la tecnica abbreviata e diretta della macchia.

Nel 1856 approdavano a Firenze Domenico Morelli e Saverio Altamura che si unirono ai più attivi frequentatori del Caffè Michelangiolo come Borrani, D'Ancona, Buonamici, Mochi, Morricci, Lega, Fattori e Telemaco Signorini. L'arte di questi pittori come la definì Adriano Cecioni, teorico e critico del movimento, consisteva: "nel rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri". A Firenze si forma così un gruppo di giovani appassionati ad un genere quasi sconosciuto nella tradizione toscana: il paesaggio. Dipingere all’aperto, a contatto con la natura, è un'altra delle parole d'ordine insieme ad un tipo di rappresentazione della realtà volta a sottolineare gli aspetti quotidiani ed autentici della vita, in contrapposizione alla retorica accademica ed enfatica delle pittura di genere. Gli accostamenti di colore-ombra e colore-luce crearono effetti di grande luminosità e di suggestiva resa atmosferica, e semplificarono il paesaggio fino alle sue strutture essenziali. Affermatosi definitivamente all'Esposizione Nazionale di Firenze del 1865, intorno agli anni settanta il movimento si andò esaurendo dopo aver inutilmente tentato di superare i confini regionali per diventare il nuovo linguaggio figurativo dell'Italia del Risorgimento.

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