Metamorfosi di Ovidio: traduzione

Traduzione e annotazioni dei versi 1-415 del I Libro dell'opera di Ovidio, Le Metamorfosi (20 pagine formato doc)

Appunto di 87nicco87

METAMORFOSI DI OVIDIO: TRADUZIONE

Metamorfosi di Ovidio.

Versi 1-4. Il proemio comprende i primi quattro versi del poema. È un proemio semplice e stringato, e dal punto di vista lessicale non è neppure troppo aulico: non c’è ricerca espressiva per un linguaggio particolarmente elevato. Il tono è dimesso, non tuonato come poteva essere in altri poemi del passato.
Non troviamo nell’esametro il titolo effettivo dell’opera, che verrà utilizzato solo a partire da Seneca e Quintiliano, ma Ovidio afferma di voler narrare le mutatae formae.
Notevoli problemi sono sorti nell’interpretazione della parentesi, e in particolare di quell’aggettivo, illa, espresso dopo la congiunzione et al secondo verso. Non sappiamo, infatti, se si riferisca ai “disegni”, ossia ai coepta, oppure alle formas se si accetta nella forma illas, presente in alcuni codici (prendendo per buona la forma illas, è la divinità che trasforma cose e persone).
Abbiamo poi il termine mundus, che non si può non intendere, in questo caso, come il cosmo.
Il termine mundus, che sostanzialmente indica il cielo, il firmamento, si differenziava dall’orbis terrarum, che era il globo.

Le Metamorfosi di Ovidio: riassunto

METAMORFOSI, OVIDIO: TRADUZIONE

Il verbo dicere al posto del tradizionale cano, che si trova per esempio nell’Eneide di Virgilio, e che meglio si adatta ad un poeta che è anche vatis, è già un elemento di novità della poetica ovidiana, che contrasta con i canoni dell’epica. Anche per quanto riguarda l’ispirazione divina Ovidio non si sofferma su un dio in particolare, ma anzi egli parla di di.
Il termine aspirate, che deriva dal verbo adspiro (ad sottolinea la vicinanza, e rimanda al linguaggio della preghiera), è molto comune, e contrasta con coeptis, poco usuale, invece, nella poetica tradizionale.
Il verbo deduco può sì far riferimento ad una certa continuità narrativa, ma è anche un verbo comunissimo nel linguaggio alessandrino, e in particolare in Virgilio e Orazio, che lo usano nell’espressione deducere carmen, cioè la poesia limata (deducere è il verbo che si utilizza anche per dire “filare la lana”).