Tristia di Ovidio: traduzione

Tristia di Ovidio: traduzione di alcune elegie (11 pagine formato doc)

Appunto di 87nicco87

OVIDIO TRISTIA: TRADUZIONE

Tristia elegia I,7.

Nella elegia I,7 dei Tristia, Ovidio si rivolge ad un amico che doveva ammirarlo molto, in quanto teneva al dito un anello che portava come sigillo proprio il ritratto del poeta. A questo amico Ovidio vuole affidare la sua opera più grande, perché a lui era impossibile tutelarla da lontano.

Versi 11-16. [MI] È GRADITO IL TUO AFFETTO, MA LA MIA MAGGIORE IMMAGINE SONO LE POESIE CHE TI AFFIDO DI LEGGERE QUALI ESSE SIANO, POESIE CHE CANTANO LE FORME MUTATE DEGLI UOMINI, POICHÉ L’INFELICE FUGA DEL PADRONE INTERRUPPE  L’OPERA.
IO IN PERSONA ANDANDOMENE [IN ESILIO], COSÌ COME MOLTE DELLE MIE COSE (OPERE), HO POSTO [LE METAMORFOSI] ADDOLORATO DI MIA MANO SUL FUOCO;

Il verbo mando è qui usato, in tono molto forte, anche perché è un verbo utilizzato proprio per le volontà testamentarie.
Nei versi successivi abbiamo poi la conferma del fatto che tra i testi dati alle fiamme (immagine poetica) nella sua giovinezza c’era anche quello delle Metamorfosi.

Ovidio: vita, opere e stile

OVIDIO TRISTIA: TRADUZIONE 17-22

Versi 17-22.

E COME È TRAMANDATO CHE TESTIADE (LA FIGLIA DI TESTIO) AVEVA BRUCIATO SUO FIGLIO SOTTO UN TIZZONE, E CHE FOSSE MIGLIORE COME SORELLA CHE COME MADRE, COSÌ IO HO POSTO (NON HO NON POSTO) SUGLI ARDENTI ROGHI I BENEMERITI LIBRI, LE MIE [PROPRIE] (NOSTRE) VISCERE, AFFINCHÉ MORISSERO CON ME, O PERCHÉ AVEVO DETESTATO LE MUSE, COME I MIEI PROPRI COMPONIMENTI, O PERCHÉ L’OPERA ERA ANCORA NON COMPLETA E RUDE.

In questi versi, Ovidio afferma di aver detestato le Muse in quanto proprio a causa loro e del suo gusto e la sua indole poetica è stato cacciato dalla sua città.
Nonostante egli affermi di aver bruciato le Metamorfosi, noi sappiamo che comunque a Roma l’opera circolava tranquillamente, dunque affermiamo con certezza che quella di Ovidio è solo una trovata letteraria che già si riscontra in Orazio.

OVIDIO TRISTIA: TRADUZIONE 23-32

Versi 23-32. POICHÉ QUESTE [POESIE] NON SONO STATE DISTRUTTE INTERAMENTE, MA RESTANO – PENSO CHE FOSSERO STATI SCRITTI IN PIÙ ESEMPLARI –, ORA TI PREGO CHE VIVANO E CHE  IL [MIO] TEMPO LIBERO NON PIGRO (NON IGNAVO) DILETTI CHI LEGGE E AMMONISCA DI ME.
E TUTTAVIA QUELLA (L’OPERA) NON POTRÀ ESSERE LETTA PAZIENTEMENTE DA NESSUNO, SE QUELLO NON SAPRÀ CHE QUESTA MANCA DELL’ULTIMA MANO; L’OPERA FU STRAPPATA DALL’INCUDINE E MANCÒ L’ULTIMA LIMA AI MIEI SCRITTI, E IO CHIEDO PERDONO PER LODE, LODATO IO ABBONDANTEMENTE, O LETTORE, SE NON TI SARÒ DI FASTIDIO.

Scorrendo con i distici di questa elegia ci rendiamo conto del fatto che il periodare diventa sempre più ampio rispetto a prima, e anche rispetto ad altre elegie.
Dal verso 27 in poi, il poeta utilizza il lessico classico per parlare del suo lavoro: la summam manum, o anche l’ultima lima, sono termini chiave che indicano l’attività di Ovidio, l’attività del poeta, che impiega i suoi otia in maniera “non pigra” (non ignava). Il paradosso sta proprio in quest’ultimo aspetto: l’otium, ossia l’inattività per eccellenza, che si opponeva ai negozia, diventa, per i poeti che vanno dai cantores Euphoriones in poi, il momento di pieno lavoro poetico, che si conduce all’interno di una sorta di “laboratorio poetico”, dal quale l’opera delle Metamorfosi è stata però strappata prima del tempo, impedendo dunque al poeta di dare un’ultima lettura e correzione.