Seneca e la schiavitù

Seneca e la schiavitù: la concezione della schiavitù nelle opere del filosofo e politico romano e confronto con altri pensatori del mondo antico

Seneca e la schiavitù
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SENECA E LA SCHIAVITU'

Seneca e la schiavitù
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Su quali basi per Seneca andrebbe impostato un rapporto corretto fra padroni e schiavi? A quali argomenti ricorre il filosofo per dimostrare la propria tesi?

In uno dei suoi più importanti passi, Seneca affronta il problema della schiavitù offrendoci un’idea in perfetta sintonia con lo Stoicismo.

Il filosofo condanna il rapporto che fino ad adesso tra padroni e schiavi era intercosso, nel quale vi era una subordinazione, sia dal punto di vista psicologico che fisico, totale del servo al padrone.

In antitesi a ciò, ed in linea con i dettami della filosofia stoica, Seneca sostiene l’uguaglianza tra liberi e schiavi dal punto di vista del diritto naturale, affermando che ogni uomo nasce dallo stesso seme, gode dello stesso cielo e vive, respira e muore allo stesso modo.

Dunque, alla luce di ciò, il padrone deve vivere con il suo servo “clementer et comiter”, dandogli la possibilità di parlare, di occupare posti di importanza e anche di esercitare la giustizia, in quanto ogni uomo deve considerare che l’unica differenza che può intercorrere tra due uomini di diversa condizione è data dalla fortuna che assegna ad ognuno un determinato destino.

Diversi pensatori nel mondo antico (fra i quali Aristotele) avevano espresso la loro opinione sulla condizione servile, giungendo comunemente a giustificarne l’esistenza. Rintraccia e sintetizza le principali opinioni degli autori greci e latini a questo proposito.

Sin dai tempi più antichi, la schiavitù è stato uno dei temi più affrontati da intellettuali e da filosofi del mondo greco e romano. La schiavitù nel mondo antico era totalmente accettata, in quanto considerata un fenomeno naturale.

Ad esempio, per Aristotele alcuni uomini differiscono da altri: gli uni sono destinati a comandare, gli altri ad obbedire. Egli giunge ad affermare che gli schiavi sono adatti alla fatiche e ad essere comandati.

Lo stesso pensiero viene ripreso dai sofisti che affermavano che la schiavitù esisteva per legge, per convenzione.

Spostandoci sul fronte latino è Catone che nel “De Agri Coltura” affronta il problema della schiavitù, affermando che gli schiavi non hanno un’anima e sono solo un instrumentum parlante per creare guadagno e capitale.

Una riflessione sulla condizione dei servi ci viene offerta anche da Plauto nell’Amphitruo, in cui, appunto, il servo Sosia medita sulla durezza della condizione servile e sul comportamento insensibile del suo padrone. 

LA SCHIAVITU' NELLA LETTERATURA LATINA

Indica le principali analogie e le eventuali differenze fra l’Epistola 47 e il brano tratto dal De beneficiis. Rifletti: perché Seneca non giunge a sostenere l’abolizione della schiavitù?

Sia il brano del De beneficiis sia l’Epistola 47 sono due testi che affrontano un medesimo tema: l’uguaglianza fra tutti gli uomini e la parità, sotto questo aspetto, fra schiavo e padrone.

In entrambi i testi, infatti, si ribadisce lo ius naturale di ogni individuo, in quanto gli uomini sono uguali perché “il cielo è il comune padre di tutti”.

Seneca non propone una riforma che cerca di abolire la schiavitù né tanto meno che modifica lo stato di cose preesistenti. Infatti, l’ideale dell’uguaglianza tra gli uomini rimane solo un ideale e non un progetto di trasformazione sociale.

Ancora, dunque, non ci sono le condizioni che possono portare ad una abolizione della schiavitù, in quanto gli schiavi sono una voce importante nella economia della storia di Roma; basti pensare che in Russia l’abolizione della schiavitù avvenne nel 1861.

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