Chi è Didone: storia della regina di Cartagine

Chi è Didone: storia, mito e descrizione della sorella di Pigmalione e sposa di Sicheo, la regina di Cartagine raccontata da Virgilio nell'Eneide

Chi è Didone: storia della regina di Cartagine
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Chi è Didone

Didone, la regina di Cartagine, con Enea
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Didone, figura emblematica della mitologia romana e protagonista centrale dell'Eneide di Virgilio, incarna una storia ricca di passione, tragedia e forza. Fondatrice e prima regina di Cartagine, la sua vicenda si intreccia profondamente con temi di amore, sacrificio e destino. Secondo la leggenda Didone fu la fondatrice di Cartagine. Era figlia di Belo, sorella di Pigmalione e sposa di Sicheo.

Su Didone sono confluite varie leggende e miti: uno di origine africana e orientale, narrato da Timeo e Giustino, e rielaborato poi da diversi poeti romani, in particolare da Virgilio.

La leggenda più antica narra la fuga di Didone da Tiro dopo la morte del padre e l’uccisione del marito da parte dal fratello Pigmalione. Didone arriva poi sulle coste dell’Africa dove fonda la città di Cartagine. Un re africano si innamorerà di lei e Didone si suicida per non sposarlo.

Virgilio rispetta la fuga di Didone da Tiro e la leggenda della fondazione di Cartagine, ma il suicidio di Didone lo attribuisce all’amore di Didone nei confronti dell’eroe troiano Enea.

Il nome Didone, che significa “la fuggitiva”, le fu attribuito dagli abitanti della terra africana in cui arrivò dopo il suo viaggio.

Il mito della fondazione di Cartagine

Didone (o Elissa o Elisha), era figlia di Belo (o Mutto), re di Tiro, sorella di Pigmalione, nipote di Sicheo (o Sicarba) e poi moglie di quest’ultimo.

Alla morte di Belo salirono al potere sia Didone sia Pigmalione: il padre infatti, prima di morire, divise il suo regno in due parti e ne diede una a ciascun figlio. Pigmalione, avido di potere, poco disposto a dividere il potere con la sorella e geloso delle ricchezze del cognato, nonché suo zio, uccise Sicarba. Didone rimase all’oscuro di questo delitto finché il marito le apparve in sonno e le rivelò la causa della sua morte.

Didone, spinta dal consiglio del marito, pensò di fuggire con un gruppo di fedeli e con i tesori di Sicarba, ma non aveva le navi. Allora escogitò uno stratagemma: chiese a Pigmalione un incontro per tentare di arrivare ad un accordo e il fratello mandò navi e marinai a prenderla. Di notte, aiutata dai suoi, Didone caricò di nascosto l’oro a bordo e mise sacchi e sacchi colmi di sabbia sul ponte facendo credere che in quei sacchi fosse contenuto tutto l’oro del marito.

Dopo che le navi furono salpate, Didone gemente cominciò ad invocare lo sposo assassinato, lo pregò di riprendersi l’oro del quale il fratello non era degno e, aiutata dai suoi, gettò i sacchi di sabbia in mare. Gli uomini mandati da Pigmalione allibirono e capirono che mai si sarebbero potuti presentare al cospetto del re senza il tesoro e così spiegarono le vele e fecero rotta verso Cipro, proprio come Didone aveva sperato. Qui li attese una sorpresa, sempre orchestrata dalla regina: ottanta belle ragazze li aspettavano sulla spiaggia e si dichiararono disposte a seguirli ovunque.

Nel frattempo i marinai seppero che il tesoro era ancora a bordo e non ebbero più esitazioni: con l’oro e le ragazze erano disposti a seguire Didone nell’impresa di fondare una nuova città.

Approdò sulle coste settentrionali dell’Africa, dove fu accolta benevolmente dagli abitanti di quella terra che la chiamarono “Didone”, cioè “la fuggitiva”. Le posero la condizione che poteva acquistare tanto terreno quanto ne potesse circondare una pelle di bue, allora astutamente la regina la fece tagliare a strisce così sottili da coprire una collina sulla quale fondò Cartagine.

Il suicidio di Didone

Del suicidio di Didone parlano sia Timeo e Giustino, sia Virgilio. Vediamo in cosa si differenziano le due versioni e cosa sappiamo di questo mito.

La versione di Timeo e Giustino

Secondo gli storiografi Timeo e Giustino Didone era diventata un partito molto ricercato fra i principi locali, considerando che era la Sovrana di Cartagine.  

Ma la donna si voleva mantenere fedele al ricordo di Sicarba, e rifiutava tutti i pretendenti, finché il più forte, Iarba di Massitania, non le diede un ultimatum: se lei non lo avesse sposato lui le avrebbe fatto guerra.

Allora Didone, con la scusa di fare un ultimo sacrificio funebre a Sicarba, si gettò nel rogo ardente, eliminando così il pericolo di guerra alla città e mantenendosi fedele al marito.

La versione di Virgilio nell'Eneide

Il poeta Virgilio invece attribuì il suicidio di Didone al suo amore per l’eroe troiano Enea.

Virgilio nell’Eneide, come altri poeti latini, non si preoccupò dell’ostacolo temporale di circa 370 anni: fece combaciare la fondazione di Cartagine da parte di Didone con l’arrivo di Enea, esule dalla guerra di Troia, sulle coste dell’Africa, cosa impossibile perché intercorsero quasi quattro secoli dalla caduta di Troia alla fondazione di Cartagine.

Virgilio nell’Eneide rappresentò Didone come una donna di una bellezza trionfante e superiore nel portamento a tutte le dee, una donna di potere, fondatrice di una città che avrebbe per secoli conteso a Roma il primato, una città che i greci hanno odiato e combattuto e infine i romani cancellata dalla faccia della terra. Didone è per Virgilio sempre la "pulcherrima" donna bionda, alla quale Giove ha concesso la grazia di fondare una nuova Tiro e domare col diritto e la legge popoli alteri.

Virgilio narra che il principe troiano Enea fece naufragio sulle rive di Cartagine dopo essere sfuggito alla distruzione di Troia con il padre Anchise, il figlio Ascanio (o Iulo) e i compagni. Didone, che si era votata alla castità dopo l'uccisione del marito, accolse benevolmente i troiani e si innamorò di Enea, e i due divennero amanti.

Didone voleva che Enea rimanesse con lei per sempre, ma l’eroe troiano non poteva perché il Fato gli aveva affidato il compito di fondare una città. Però sembrava che Enea fosse anche disposto a lasciare andare in fumo i grandi destini che gli aveva promesso il Fato: per questa ragione Giove mandò da lui Mercurio per richiamarlo al dovere e imporgli di riprendere subito il mare.

Allora Enea dovette obbedire ed abbandonare, non senza un sincero rimorso, Didone, disperata in vista delle navi troiane che salpavano da Cartagine. La regina fece innalzare un rogo sul lido, vi sali, e mentre si levava la fiamma, si trafisse il cuore. Quando, più tardi, Enea scese agli Inferi per trovarvi il padre Anchise, Virgilio fece sì che Enea intravedesse, tra le ombre, quella di Didone e cercasse di avvicinarla, ma l'ombra si scostò da lui, senza una parola, si dileguò, ravvicinandosi all'ombra del marito Sicheo.

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