Riassunto sulla questione della lingua italiana

Pietro Bembo e la bi-lingua (volgare e latino): riassunto sulla questione della lingua italiana dalle origini

Riassunto sulla questione della lingua italiana
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QUESTIONE DELLA LINGUA ITALIANA

Pietro Bembo
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Il codice bilingue (volgare e latino) è stato una caratteristica della produzione culturale italiana sin dal ‘200. L’Umanesimo aveva riproposto una superiore dignità del latino, riservando prevalentemente a questo linguaggio le trattazioni su argomentazioni di filosofia, teologia, storia e politica.

Il dominio del volgare si era ristretto alla poesia, alla prosa narrativa e a quella morale. Con il Rinascimento si determinò, invece, una svolta netta e irreversibile. Varie posizioni si scontrarono sulla questione della lingua italiana volgare come codice letterario. Da questo momento in poi il latino fu riservato alle trattazioni specialistiche, ai testi della cultura universitaria, ad alcune opere storiografiche di tipo celebrativo di cui si voleva assicurare una diffusione europea.

IL VOLGARE ITALIANO

Ma quale volgare si sarebbe dovuto usare per la letteratura?

Tre tesi si scontrano tra di loro. La più organica ed articolata, che risulterà vincente, è quella di Pietro Bembo, esponente cardine della letteratura del Rinascimento. Il testo con cui prende posizione nell’ambito della questione della lingua prende il titolo di Prose della volgar lingua, un trattato in volgare diviso in tre libri ed esposto in forma dialogica, secondo la forma che si è visto essere tipica della cultura umanistico-rinascimentale.

Il volgare che il Bembo esalta non è quello della lingua parlata ma quello della lingua scritta realizzata attraverso la tradizione letteraria che è pervenuta al massimo livello di perfezione con i grandi scrittori del ‘300. Tra questi, il Bembo esalta non Dante, ma Petrarca per la poesia e il Boccaccio per la prosa. Sulla lingua di Dante Alighieri, Bembo nutre molte riserve, poiché, scrive, le sue parole sono “non usate e rozze”. Tale giudizio negativo rivela l’ideale rinascimentale di un linguaggio aristocratico.

Finalizzato ad esigenze di grazia, di eleganza e compostezza, Bembo, nel momento in cui esaltava un volgare letterario affidato alla tradizione, esprimeva una chiara diffidenza nei confronti di una lingua letteraria fondata sul volgare parlato.

Il pregio della proposta era quello di stabilire un modello unitario, una normativa su cui costruire, in assenza di una unitaria politica della Penisola, un modello linguistico vincolante ed universale, che si acquisiva con lo studio e la pratica letteraria. L’elemento negativo era quello di irrigidire il linguaggio letterario delle scritture, impedendo una feconda unione con la lingua toscana o fiorentina viva e parlata, in funzione di un continuo arricchimento letterario.

Le idee del Bembo furono accettate da quasi tutti i letterati del tempo.

QUESTIONE DELLA LINGUA ITALIANA: TESI

Le altre due tesi, concordi con il Bembo nell’esaltazione del volgare nei confronti del latino, avanzano proposte diverse in relazione all’idea di lingua letteraria. Il vicentino GianGiorgio Trissino, traduttore in volgare italiano del De Vulgari Eloquentia di Dante, si oppone a Bembo con un dialogo, “il castellano”, sostenendo l’idea di una lingua ottenuta per integrazione tra i diversi linguaggi regionali, tra cui si sarebbero dovuti scegliere gli elementi più comuni. La proposta del Trissino, nata da un’errata lettura del testo dantesco sulla lingua, era la più artificiosa e fu la meno seguita.

Più forte, invece, vivace e combattiva, con notevoli realizzazioni nel campo della pratica letteraria, fu, invece, la terza, che identificava il modello della lingua letteraria nel toscano vivo e parlato. Tra gli altri sostenitori di quest’ultima tesi ricordiamo il Machiavelli, che espose le sue idee nel “dialogo attorno alla lingua”. Secondo il Machiavelli, l’unico modello di lingua valido era il fiorentino, non solo quello dei trecentisti, ma anche quello dell’uso parlato contemporaneo, sia dalla classe colta sia del popolo.

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