Il giardino di Armida di Torquato Tasso: parafrasi

Il giardino di Armida: parafrasi del testo della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Cosa dice la descrizione al Canto XVI, ottave 9-15

Il giardino di Armida di Torquato Tasso: parafrasi
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IL GIARDINO DI ARMIDA

Francesco Hayez, Rinaldo e Armida
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La descrizione del giardino di Armida si trova all'interno della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Nella fattispecie, coinvolge le ottave 9-15 del XVI canto, dopo che Rinaldo, trasportato nelle isole Fortunate all'interno del palazzo della maga Armida, si è ritrovato vittima del suo incantesimo, dimenticando i suoi doveri di paladino per restare tra le braccia della donna, perdutamente innamorata di lui.

Ubaldo e Carlo, sulle sue tracce, si ritrovano nel giardino della maga dopo aver superato diverse peripezie.

IL GIARDINO DI ARMIDA, PARAFRASI

Il ricco edificio è tondo, e nella sua più profonda
insenatura, quasi al centro del tondo,
è adornato un giardino e sovrasta
tutti i più famosi che mai fiorirono.
Tutt’intorno si trova una serie di logge
così intricate che l’occhio non può seguirle che è stata creata dai demoni che sono
che giace tra le vie oblique di quel ingannevole
impenetrabile ravvolgimento.

Costoro (Carlo e Ubaldo) passarono per l’entrata principale
(Che questo palazzo ne aveva cento)

Come il Meandro fra rive oblique e incerte
Scherza e con uno strano corso ora cala e ora monta,
e rivolge le sue acque ora verso la fonte ora verso il mare,
mentre le acque avanzano, incontrano quelle che sembrano tornare indietro a causa di una avvolgimento sinuoso
così e più inestricabilmente intrecciate
sono le vie del giardino, ma il libro che il mago di Ascalona ha dato ai due crociati
contiene il disegno del labirinto e parla delle sue vie contorte
spiegandole e risolvendo ogni loro difficoltà.

Dopo essere usciti dalle vie intricate del labirinto,
comparì davanti a loro uno stupendo giardino
stagni, corsi d’acqua limpidi come il cristallo,
fiori vari e varie piante, erbe strane,
collinette soleggiate, valli ombrose,
e offriva la vista di selve e grotte;
e, cosa che accresce la bellezza e il pregio del giardino,
non si scopre per nulla l’artificio magico che crea tutto questo.

Sei indotto a credere (tanto le parti coltivate sono mescolate con quelle lasciate incolte e selvagge ad arte)
Solamente naturali siano gli ornamenti e i siti.
Sembra un artificio della natura, che per diletto
imiti scherzando l’arte, sua imitatrice.
Persino il vento stesso, è un effetto della maga,
il vento che fa fiorire gli alberi:
con i fiori eterni anche il frutto è eterno,
e mentre ne spunta uno, ne matura un altro.

Nel tronco stesso e tra la stessa foglia
Invecchia il fico sopra al fico che nasce;
il frutto nascente e quello già maturo pendono dallo stesso ramo,
il secondo con la buccia già dorata, l’altro invece con la buccia ancora verde;
lussureggiante serpeggia in alto e germoglia
la vite nel giardino soleggiato:
qui l’uva è ancora acerba, e qui c’è quella
dorata e rosseggiante.

Bellissimi uccelli tra i verdi rami
Accordano in gara canti armoniosi;
mormora il vento, e fa stormire le foglie
e mormorare le acque del ruscello che variamente lei ordina.
Quando gli uccelli tacciono il vento risponde con un mormorio più profondo,
quando cantano invece scuote più leggermente le foglie e le acque;
sia per caso o per arte, il vento melodioso ora accompagna i canti degli uccelli ed ora
si alterna ad essi.

Vola fra gli altri un pappagallo
Con il becco rosso porpora,
e snoda la lingua in modo sciolto, e articola,
la voce in modo tale che assomiglia al linguaggio dell'uomo.
Produsse un discorso articolato
E continuato con tanta maestria da sembrare un prodigio.
Tacquero gli altri uccelli intenti ad ascoltarlo,
ed il vento fermò i suoi sussurri.

- Ammira - egli cantò - la rosa che spunta
Dal verde suo così modesta e pura,
che mezza aperta e ancora mezza sboccia,
quanto meno si mostra , tanto più è bella.
Ecco poi il seno nudo che già mostra esuberante,
ecco che poi s’indebolisce e non sembra quella,
quella che fu prima desiderata
da mille donzelle e da mille amanti.

La giovinezza passa rapidamente come una giornata
Che subito volge al tramonto;
benché ogni anno ritorni la primavera,
non riaffiora più e non diventa più verde.
Cogliamo la rosa nel mattino ridente di questo giorno,
che ben presto perde la sua luminosità;
cogliamo d’amor la rosa: amiamo ora che si può amare
essendo riamati.

Poi il pappagallo tacque, ed il coro concorde degli uccelli,
come approvando ricomincia.
Le colombe raddoppiano i loro baci,
ogni animale ricomincia ad amare;
sembra che la dura quercia e l’alloro casto
e tutte le diverse piante del giardino,
sembra che la terra e l’acqua formino e sospirino
dolcissimi sensi e sospiri d’amore.

Fra la tenera melodia, e fra tante dolcezze piacevoli e adulatrici,
camminano Carlo ed Ubaldo, che rigidi e costanti
si irrigidiscono a respingere gli allettamenti del piacere.
Atra le fronde penetra il loro sguardo,
e vede o gli sembra di vedere
vede di sicuro Rinaldo e Armida,
lei seduta sull’erba, e Rinaldo posa il capo nel suo grembo.

Lei ha il velo diviso davanti al petto
E lascia che i capelli si spargano sciolti al vento d'estate.
Si mostra languida e civetta, le gocce di sudore
Rendono più luminoso il suo volto, arrossato per la sua passione amorosa:
come un raggio di luce scintilla sulle onde, le scintilla un sorriso tremolante e libero
negli occhi lucidi.
Lui è appoggiato sopra di lei; e posa il capo sul suo seno
E solleva il volto vicino al suo.

E gli sguardi pieni di desiderio in lei saziando
si consumano e si sciolgono
Lei s’inchina e assapora spesso dolci baci
ora dagli occhi ed ora dalle labbra succhia.
Ed in quel punto si sente sospirare profondamente
Lui che pensa: “ora l’anima scappa
E si congiunge con quella sua”. Nascosti
Osservano il due guerrieri gli atti degli amanti.

Dal fianco dell’amante (inconsueto oggetto per un guerriero)
Pendeva uno specchio lucido e pulito.
Lei si alzò e fece tenere da Rinaldo lo specchio,
strumento eletto per i misteri d’amore.
Lei con occhi ridenti, egli con occhi accesi di passione
Mirano ognuno con i propri occhi la donna:
lei si rispecchia nello specchio, e fa da specchio
con i suoi occhi a Rinaldo.

Rinaldo è lieto di essere schiavo d’amore di Armida,
lei del dominio esercitato sull’eroe.
-Volgi- diceva- dai volgi- il cavaliere-
quegli occhi con i quali dai la felicità a chi ti guarda.
Che sono, se tu non lo sai, il ritratto vero
Della passione che mi accende.
Il mio cuore riflette appieno le tue meravigliose bellezze
Più che il tuo specchio.

Dai! Poi che sdegni me, potessi tu
Almeno contemplare come è bello il tuo volto;
perché il tuo sguardo, che non si appaga nel contemplare alcuna altra bellezza,
gioirebbe felice se si rivolgesse a contemplare se stesso.
Non può lo specchio ritirar una così dolce immagine,
la tua bellezza paradisiaca, non può essere contenuta nel piccolo specchio:
ti sarebbe degno il cielo, e neanche le stelle
possono riguardare le tue sembianze belle.-

Ride Armida udendo quello, ma non smise
Di specchiarsi e di farsi bella.
Poi intrecciò i capelli e ricompose
In bell’ordine il loro disordine capriccioso,
inanellò i fini capelli e in questi,
come smalto sull’oro, cosparse dei fiori;
congiunse al naturale candore della pelle le rose estranee
cioè aggiunte dall’esterno.

Nemmeno il superbo pavone spiega il fasto delle piume
Che sembrano recare ciascuna l’immagine di un occhio,
né l’arcobaleno colora di rosso e d’oro
l’arco rugiadoso alla luce del sole.
Ma ben sopra la cintura mostra ogni pregio
Che né nuda è solita lasciare.
Nel costruire la cintura, si valse di entità immateriali, a cui diede magicamente consistenza concreta;
e quando lo creò, mescolò materie che a nessun altro è lecito mescolare.

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Teneri segni, e placide e tranquille
Respinte, e care carezze e liete paci,
parolette sorridenti, e dolci lacrime di pianto,
e sospiri spezzati, e molli baci;
fuse tutte queste cose, e dopo le unì
e le temperò a fuoco lento,
e ne formò quella cintura
che aveva stretta in vita.

Quando finì di rispecchiarsi, chiese a lui
Il permesso di allontanarsi, e lo bacia e di allontana.
Lei è solita uscire durante il giorno dal giardino per rivedere
Le sue cose e le sue carte.
Lui rimane, perché a lui non è concesso
Porre il piede o trascorre un solo momento in qualche altro posto,
si aggira tra gli animali e le piante
amante solitario, se non quand’è con Armida.

Ma quando l’ombra con gli amici silenzi
Richiama gli amanti prudenti ai loro incontri segreti
Trascorrono le ore notturne felici
Sotto un tetto comune dentro a quegli orti.
Ma per le sue operazioni felici
Armida Lasciò il giardino e i suoi divertimenti
Ed i due che erano nascosti tra i cespugli
Comparvero armati davanti a lui.

Come un fiero cavallo da guerra, che dopo
La vittoria sia tolto alla gloria
Ma anche alla fatica delle battaglie, e sia lasciato in riposo
Meno glorioso tra gli armamenti delle cavalle come stallone E vaghi libero per i pascoli
Se lo desta un suono di tromba o il lampeggiare di una spada
Subito si volge nitrendo colà
Già brama il campo di battaglia e, portando l’uomo sul dorso
Urtato dai cavalli avversari urtarli a sua volta nella corsa.

Così si sentì Rinaldo, quando all’improvviso
Il lampo delle armi arrivò ai suoi occhi.
Quel suo spirito guerriero, feroce ed ardente
In quel lampo ricomparve,
benché lo spirito guerriero fosse languente
tra gli agi e le comodità e fosse come inebriato e sopito tra i piaceri.
Intanto Ubaldo venne da altrove e rivolse
Lo scudo luccicante verso di lui.

Egli girò il suo sguardo allo scudo
Sul quale si specchia in lui in quale stato sia e con quanta
Ricercata eleganza sia ornato; respira
Tutti i profumi e lussuriosi capelli e la pelle
E vede che persino la spada, per non dire del resto, gli pende
Dal fianco effemminata dal troppo lusso.
Guarnito sembra un inutile ornamento
E non un fiero strumento militare.

Come un uomo oppresso da un cupo e grave sonno
Dopo un lungo vaneggiamento in se riviene,
tale ritornò lui nel rimirarsi,
non sopporta di veder se stesso in quelle condizioni,
guardando a terra la vergogna lo assale.
Profonderebbe sotto il mare e dentro il fuoco
Per nascondersi e nel centro della terra.

Ubaldo incominciò a parlare allora:
- L’Asia e tutta l’Europa vanno in guerra:
chiunque desideri pregio e adora Cristo
si affatica portando le armi adesso nella terra di Siria.
Tu solo, o figlio di Bertoldo, fuori
Dal mondo, in ozio, un piccolo angolo di terra chiuso lontano dal mondo esterno

Te solo questa guerra che sconvolge il mondo non smuove
Per nulla, egregio campione d una fanciulla.

Quale sonno o quale letargo ha così spento
La tua virtù cavalliera? O quale viltà la attrae?
Su su: te l’esercito di soldati e te Goffredo invita.,
te la fortuna e la vittoria aspettano.
Vieni o fatale guerriero, e sia finita
La ben cominciata impresa; e gli infedeli,
che già facesti vacillare con le tue precedenti imprese, sulla terra
sotto l’inevitabile tua spada.

Tacque ed al nobile garzone restarono per poco
Spazi confusi e senza movimento la voce.
Ma dopo che la vergogna lasciò posto allo sdegno,
lo sdegno e il fiero campione della ragione,
un diverso rossore del volto, , suscitato dallo sdegno
successe, che più avvampava e che più cuoce,
Si strappò di dosso gli inutili ornamenti e quelle eleganze
Indegne di un guerriero, e segni di una misera schiavitù;

e si affrettò a partire, passando attraverso l’intricato groviglio
del labirinto uscì.

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