Il treno ha fischiato: analisi e riassunto

Analisi accurata della novella di Pirandello "Il treno ha fischiato" con riferimento ai temi generali del pensiero pirandelliano (2 pagine formato doc)

Appunto di wtp

IL TRENO HA FISCHIATO: ANALISI

Il treno ha fischiato di Luigi Pirandello.

La novella “Il treno ha fischiato” narra la vicenda di Belluca, un “impiegatuccio”usualmente mite e sottomesso, che una sera, pur essendo stremato per la stanchezza, non riesce ad addormentarsi e, ad un certo punto, sente nel silenzio il fischio lontano del treno. Questo fischio sarà dunque la chiave di volta che farà riemergere il protagonista da quel suo modo di vivere come “una bestia bendata” che “girava la stanga del molino”; una metafora questa che esprime perfettamente la sua inconsapevolezza del mondo esterno in quanto egli è, appunto, come una bestia bendata, sia l’infelicità e la monotonia di quella sua vita “impossibile”, che il narratore paragona ad un mostro a cui doveva per forza appartenere quella coda, cioè l’improvvisa pazzia, mostruosa se considerata da sola ma che, una volta “riattaccata” al mostro apparirà come “una coda naturalissima”.
Quindi possiamo dire che Bellica, attraverso queste metafore, ci appare come la vittima di una vita “mostruosa”che lo comanda come gli uomini comandano le bestie.

Il treno ha fischiato: commento

IL TRENO HA FISCHIATO: RIASSUNTO SECONDO LA FABULA

Bellica grazie al fischio di quel treno viene così travolto dal mondo esterno, di cui si era dimenticato, e “ebbro” per questa riscoperta, una volta in ufficio il giorno seguente, non lavora più come al solito e all’ira del suo capo-ufficio per la prima volta reagisce gridando che ormai non può più vivere così ora che il treno ha fischiato.
Ovviamente i suoi colleghi non lo capiscono, anzi credendolo pazzo lo ricoverano in un manicomio.
L’ufficio e il manicomio infatti, assieme alla casa, sono i luoghi chiusi che rappresentano la “non vita” di Bellica, cioè la sua vita prima del fischio del treno come se egli fosse stato murato vivo in una stanzetta per molto tempo, lontano dal mondo esterno di cui non ricorda più l’esistenza; solo il fischio di quel treno sarà in grado di squarciare quel grigio silenzio e riportare così in un solo attimo, con una forza travolgente tutta la bellezza e l’energia degli spazi aperti e sconfinati come la Siberia, le foreste del Congo e tutti i ricordi di una vita lontana, di un Belluca giovane, trascorso a visitare città come Firenze, Bologna, Torino e Venezia assaporandone la bellezza e la vita stessa.
Bellica quindi dopo essere stato travolto dal mondo esterno appare come impazzito.

Ma questa sua presunta pazzia è interpretata in modi diversi dai suoi colleghi, dal narratore e da Belluca stesso.
Infatti mentre i primi si fermano ad un’analisi superficiale in cui prendono semplicemente atto della sua improvvisa stranezza, che lo rende irriconoscibile rispetto al Belluca che erano soliti conoscere, e per questo si spaventano e, come per quietare i loro animi turbati, lo definiscono pazzo.
Più profonda è invece l’interpretazione della voce narrante che accogli “in silenzio la notizia” di tale pazzia e ne dà una spiegazione estremamente razionale e logica; egli infatti sostiene che tale evento era prevedibile considerando la vita “impossibile” che Belluca conduceva, una vita così impossibile tante che un evento comunissimo era in grado di dar luogo in lui ad effetti tanto straordinari quanto incomprensibili.
Diversa è infine la spiegazione che Belluca stesso dà della sua pazzia: egli non si definisce pazzo ma più semplicemente “ebbro di vita”, sconvolto da quel mondo dimenticato e che ora gli era entrato dentro tutto in una sola volta.

IL TRENO HA FISCHIATO: ANALISI DEL TESTO

Risulta quindi inevitabile confrontare il personaggio di Belluca con quello di Gengè Mostarda, protagonista del romanzo pirandelliano “Uno, nessuno, centomila”. Infatti ambedue sono considerati dagli altri pazzi e ambedue sono portati a tale pazzia da avvenimenti apparentemente insignificanti, ma vi è tuttavia una sostanziale differenza, infatti Gengè, volendosi liberare di tutte le maschere, concluderà che “conoscersi è morire” e si avvierà quindi a vivere “nessuno”, a vivere cioè nella natura alla ricerca della propria pace, lontano dalla vita sociale; mentre Belluca è convinto che il suo sia stato uno stato momentaneo e che egli un giorno riuscirà a far convivere quel suo “mondo ritrovato” con la vita di tutti i giorni rifugiandosi ogni tanto nella fantasia.