Verga e le novelle

Appunto sulle novelle di Verga.(3 pag., formato doc) (0 pagine formato doc)

Appunto di giuligiuli
GIOVANNI VERGA (1840-1922) Giovanni Verga (1840-1922) Dopo alcune prove giovanili che hanno ad oggetto romanzi storici (“I carbonari della montagna”), nel 1865 Verga lascia la natia Catania per trasferirsi prima a Firenze poi a Milano, dove già viveva l'amico Capuana, e in questi anni entra in contatto con i gruppi scapigliati che postulano un nuovo realismo come antidoto ai languori tardo-romantici.
Nascono in queste due città i primi cinque romanzi di Verga del cosiddetto periodo pre-verista: “Una peccatrice”, “Storia di una capinera”, “Eva”, “Eros”, “Tigre reale”. Si tratta di racconti nei quali la spinta verso il realismo viene frenata da moduli narrativi melodrammatici che richiamano, per l'appunto, al tardo romanticismo.
Ad esempio, in “Una peccatrice”, la donna abbandonata dall'amante si suicida; in “Tigre reale” in seguito alla morte della bellissima amante, baronessa russa, il fedifrago ritorna pentito dalla famiglia e il treno che porta a casa la famiglia si incontra in una stazione col treno che porta la baronessa morta. Tuttavia già in questi primi racconti si fanno strada dei motivi propri del verismo maggiore, per cui è corretto parlare di una continuità che lega il Verga-pre-verista al Verga-verista. C'è in primo luogo la ricordata volontà di verismo di Verga, il quale parla esplicitamente di voler scrivere degli “studi dal vero” e che nella prefazione al romanzo “Eva”, esprime tutti i suoi umori polemici nei confronti dell'ipocrisia borghese; inoltre, già i protagonisti di questo racconto sono dei vinti come poi i loro fratelli maggiori, vinti nella loro aspirazione all'amore o alla fama, come, poi, tutti i personaggi dei futuri romanzi verghiani. (pag. 921) La svolta nella poetica verghiana avviene nel 1874 con la novella “Nedda”. Dai salotti milanesi dei suoi primi romanzi, Verga passa alla desolata campagna siciliana, raccontando la storia di un'umile raccoglitrice di olive che vive tra gli stenti; ella incontra l'amore con Janu, ma il giovane muore tragicamente lasciandole in grembo una bambina; il finale è di intensa tragicità: la svergognata viene abbandonata da tutti e la sua bimba muore di stenti. Certamente, questo è un testo di passaggio tra il vecchio e il nuovo: di vecchio ci sono sia il linguaggio, lo stile, la lingua ancora convenzionali, sia certi eccessi melodrammatici come il finale; di nuovo c'è la scoperta del mondo popolare e un timido approccio a uno stile diverso, che, per ora, si limita ad una sola espressione, che Verga scrive in corsivo per la sua singolarità: “che si sarebbero mangiate”. Da segnalare, inoltre, l'uso di espressioni in dialetto siciliano, che era un modo ancora rozzo per adeguare il linguaggio al personaggio. Dopo “Nedda”, Verga scrive altri racconti di ambientazione borghese (“Eros” del 1875), ma il solco è ormai tracciato,