"Gli occhiali d'oro"
Recensione del romanzo "Gli occhiali d'oro" di Giorgio Bassani. (file.doc, 2 pag) (0 pagine formato doc)
Giacobazzi Luca Recensione del romanzo "Gli occhiali d'oro" di Giorgio Bassani Edizione: Classici Moderni, Oscar Mondadori.
Costo: 11000£. Pagine: 112. Questo testo, a metà tra il racconto ed il romanzo, presenta al suo interno una sorta di lenta evoluzione: con l'andare delle pagine, oltre ad essere evidente e ben scandito il passare degli anni, la crescita e l'evoluzione dei protagonisti, il susseguirsi dei fatti, sia quelli che costituiscono la trama sia quelli che fungono da sfondo, si ha anche uno spostamento dell'attenzione dell'autore da un personaggio ad un altro, se vogliamo, una sorta di frequente cambio in corsa del protagonista. Infatti, il racconto inizia con il narratore che nel 1958 ricorda e analizza criticamente fatti a cui partecipò personalmente a partire dal 1919, quando era solo un bambino, e che si protrassero per tutto il ventennio fascista. Protagonista della sua narrazione è un otorinolaringoiatra nato a Venezia e poi trasferitosi a Ferrara, dove in breve tempo riuscì ad affermarsi sia professionalmente sia socialmente; Athos Fadigati, questo il nome del medico, aveva conquistato la fiducia e il rispetto di tutta la società ferrarese, dalla nobiltà alla borghesia, dal ceto imprenditoriale a quello operaio, partecipando più o meno attivamente alla vita mondana della città, con estremo contegno e riservatezza. Uomo alto e molto robusto, era però scapolo, e presto questo suo disinteresse nella possibilità di trovarsi una consorte fece sorgere strane voci a proposito dei suoi gusti sessuali: la stoltezza popolare fece il resto, dichiarando la vita molto riservata, che aveva sempre condotto Fadigati, un'ammissione di diversità, di colpevolezza, seppur ammirevolmente celata. Terminata la descrizione del medico e soprattutto della società ferrarese, dei suoi pregiudizi e della sua meschinità nel giudicare e nel condannare in base a questi giudizi, spesso guidati da infondate dicerie, il narratore da il via alla seconda parte di questo romanzo, in cui egli entra in scena in prima persona, narrando del proprio incontro con Fadigati, e dando un'indiretta descrizione di sé attraverso i propri pensieri, i propri comportamenti e, inevitabilmente, i propri giudizi. Nel 1936 il narratore, ora nuovo protagonista, era un ragazzo ebreo che frequentava gli studi universitari a Bologna, come molti altri suoi coetanei, e insieme a questi aveva creato una sorta di microcosmo all'interno di un vagone di terza classe che ogni mattina li portava appunto nel capoluogo emiliano. Il dottor Fadigati cominciò a prendere lo stesso treno ogni martedì e venerdì mattina e, spinto dal suo interesse nel conoscere e studiare le persone, cercò di allacciare una sorta d'amicizia con questi ragazzi. La narrazione delle vicende e le riflessioni interiori del narratore s'intersecano poi sempre di più, fino a diventare l'una parte dell'altra: questi ricorda come due dei suoi amici, Nino Bottecchiari ed Eraldo Delilieris, vanificassero continuamente ogni tentativo