I regimi durante i 150 anni dell'unità d'Italia

Spunti di riflessione della tipologia C, tema di argomento storico, per la prima prova della maturità 2009

I regimi durante i 150 anni dell'unità d'Italia
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REGIMI IN ITALIA

A partire dai primi anni del dopoguerra si instaurò in Italia una nuova forza politica sottoforma di dittatura: il Fascismo. Il fondatore era Benito Mussolini, un ex socialista che definì il suo disegno politico totalitario, perché il suo obiettivo era quello di costituire uno Stato onnipotente in grado di controllare la vita sociale, politica ed economica dell’intero paese. Il movimento fascista nacque nella riunione in Piazza San Sepolcro a Milano il 23 marzo del 1919 con la costituzione dei Fasci italiani di combattimento. Il programma iniziale del fascismo costituiva una confusa mistura di elementi sindacalisti, anticlericali, repubblicani e nazionalisti; però si qualificò subito come un movimento antisocialista che ricorreva alla violenza attraverso le famigerate “squadre d’azione”. Nel novembre del 1921 il movimento si trasformò in Partito Nazionale Fascista (PNF). Il 28 ottobre 1922 le milizie fasciste si radunarono a Roma con la “Marcia su Roma” facendo ottenere a Mussolini l'incarico di costituire un nuovo gabinetto.

L’Italia benché uscita vittoriosa dal conflitto mondiale cadde in una profonda crisi politica e sociale. Le tragiche sofferenze diffusero il desiderio di procedere a radicali cambiamenti di ordine politico e sociale. Iniziò cosi il biennio rosso 1919-1920 in cui scatenarono diverse agitazioni popolari che portarono ad importanti conquiste sociali. L’apice di queste sommosse si ebbe con il fenomeno dell’occupazione delle fabbriche, attuato a partire del 1920 con l’occupazione della Fiat. Coloro che furono favorevoli a questi cambiamenti erano in particolare i partiti di massa. Innanzitutto vi era il partito socialista, lacerato al suo interno tra dualisti, riformisti e massimalisti. All’estrema sinistra del PSI vi era Antonio Gramsci che durante il congresso di Livorno del 1921 diede vita la Partito Comunista D’Italia. L’altro grande partito di massa era il PPI o partito popolare, nato nel 1919 sotto la guida del sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo.
 
In un primo tempo Mussolini costituì un governo di coalizione con nazionalisti, liberali e PPI. Con la nuova Legge Acerbo del 1923 venne abolito il sistema proporzionale a favore di un maggioritario e in quell’anno il PNF fu il primo partito in Parlamento. In questo periodo furono attuate diverse riforme, la più importante fu quella della scuola del 1923 che privilegiò la tradizionale cultura umanistica a detrimento di quella tecnica e scientifica. Però a seguito dell’assassinio del deputato socialista-riformista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), compiuto da sicari fascisti, crebbe nel paese il risentimento per l’illegalità e le violenze delle squadre fasciste, per questo in segno di protesta i deputati delle opposizioni abbandonarono la camera (“Secessione dell’Aventino”). Forte dell’appoggio di Vittorio Emanuele II, il quale continuò a mostrare fiducia, Mussolini decise di affrontare un brusco cambiamento e con il discorso in Parlamento del 3 gennaio del 1925 aprì la fase dittatoriale del suo regime.

Iniziò così la seconda fase del fascismo, quella del regime dittatoriale, creato con totale eversione dello Statuto Albertino e della tradizione liberale.

Il nuovo regime fu definitivamente sanzionato nel 1926 con le “leggi fascistissime”, un complesso di norme che deliberavano lo scioglimento dei partiti di opposizione, abolirono l’elettività dei sindaci sostituendoli con podestà di nomina regia, assegnarono il potere di formulare leggi al capo del governo, istituirono il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Ulteriore importante evoluzione della struttura istituzionale del regime fu la creazione nel 1934 delle Corporazioni: organismi centrali di collegamento tra le associazioni di imprenditori  e i sindacati dei lavoratori.

Ma con la seconda guerra mondiale, tutto cambiò di nuovo. Dopo la caduta del fascismo nel 1943 si instaura un nuovo governo presieduto dal generale Badoglio. Ma dopo la fine del conflitto, l’Italia chiede al suo popolo, tramite referendum (per la prima volta votano anche le donne) di scegliere  un regime tra la repubblica e la monarchia. Le votazioni avvengono il 2 giugno e segnano la vittoria della prima. Il re, Umberto II, quindi parte in esilio. Il 1 gennaio del ’48 entra in vigore la Costituzione Repubblicana. Essa rappresenta il frutto del lavoro dell'Assemblea costituente, composta di 556 membri (eletti anch’essi il 2 giugno 1946). Il progetto, redatto da una commissione, fu sottoposto il 31 gennaio 1947 all'Assemblea, che approvò tutti gli emendamenti; la votazione per l'approvazione del testo definitivo ebbe luogo il 22 dicembre 1947.

La Costituzione, composta di 139 articoli, fu firmata dal presidente della Repubblica Enrico De Nicola e controfirmata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. La Costituzione definisce le strutture dell'ordinamento statale:

  • Il Parlamento, nucleo centrale del sistema politico, con due camere;
  • Il presidente della Repubblica, (con un ruolo di garante dell'unità nazionale e di coordinatore, mediatore e regolatore dei rapporti tra i poteri dello stato)
  • Il presidente del Consiglio dei ministri e il governo, detentori del potere esecutivo e dell’indirizzo politico;
  • La magistratura, di cui è riconosciuta l'autonomia.

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