Il papiro

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Appunto di polstrade
papiro Lessicosm.
[sec. XIV; dal lat. papyrus, dal gr. ppyros]. 1) Pianta (Cyperus papyrus) della fam. Ciperacee che cresce in Siria, Palestina, Africa tropicale e Sicilia. È un'erba perenne rizomatosa, con fusti verdi, trigoni, alti da 2 a 5 m, con guaine afille o prolungate in lamina; all'apice di ogni fusto compare un'ampia ombrella con brattee lanceolate e ombrellette tribratteate con numerosi fiori pedicellati formati da piccole spighette rossigne. Il p. viene spesso coltivato in vasche o nelle serre calde, a scopo decorativo. 2) Materiale scrittorio, usato anticamente e ottenuto dalla sostanza midollosa tratta dall'interno del fusto del p. che veniva tagliata in strisce poi sovrapposte e incrociate; per estens., testo, documento scritto su carta di p.: p.
egiziani. In partic., charta papyri, espressione usata in Occidente intorno al sec. XII per indicare la carta di stracci allora introdotta per soppiantare la pergamena (che a sua volta aveva sostituito l'uso del p. 3) Scherz., scritto prolisso. 4) Nel gergo goliardico, documento redatto in latino maccheronico e ornato di disegni vari che gli "anziani" rilasciano alle matricole.PaleografiaLa fabbricazione del p. come materiale scrittorio e per altri usi storicamente meno importanti ebbe inizio in Egitto verosimilmente verso il III millennio a. C.; introdotta in Grecia verso il sec. VI a. C., si diffuse poi più largamente al tempo e per opera di Alessandro Magno; a Roma il p. egiziano incominciò a essere usato correntemente verso il sec. II a. C. La tecnica egiziana di fabbricazione del p., descritta da Plinio nella sua Naturalis Historia (XIII, 11-13), era la seguente: la parte inferiore, più morbida, del fusto, per un'altezza da 30 a 40 cm secondo la grossezza del fusto, dopo essere stata scortecciata veniva tagliata con una lama particolare (acu) in strisce ( schidae o schedae), che si univano tra loro mediamente in numero di 20 (di più o di meno per fogli di dimensioni particolari) sovrapponendo per un piccolo lembo l'una all'altra lungo il lato maggiore; si formava così la philira a cui si sovrapponeva una seconda philira con le strisce o schede disposte ortogonalmente rispetto a quelle della prima; ne risultava un graticcio (crates) che veniva sottoposto alla pressione di un cilindro rotante fra strati di materiale assorbente; questo veniva poi essiccato, allisciato e lucidato per ottenere il foglio finito (plagula); si univano infine l'una all'altra, per mezzo di una colla di farina e aceto, tante plagulae quante ne richiedeva la lunghezza del testo che dovevano accogliere; sui lati brevi della striscia così ottenuta si incollavano due bastoncini (umbilicus) per agevolare l'avvolgimento a rotolo (volumen). Sulla striscia la scrittura (tracciata col calamo o cannuccia appuntita) era di norma disposta in colonne ( collema o selides) parallele tra loro e parallele al lato minore della striscia che pertanto veniva svolta orizzontalmente (contrariamente a quanto avvenne più tardi per i rot