La religione romana nel periodo di Augusto
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La religione romana nel periodo di Augusto La religione romana nel periodo di Augusto La religione dei Romani ha conservato sempre una fisionomia fondamentale, che resta inalterata durante tutti i secoli della sua storia.
Essa ci appare come la religione di un popolo da agricoltori in assiduo contatto con la terra, che ha bisogno di essere continuamente sistemata e sottratta con imponenti opere collettive di drenaggio all'insidioso impaludamento; che deve essere coltivata con diuturna fatica e preservata, con tutti i riti e le cerimonie che il rituale conosce e prescrive, dai pericoli che minacciano la vegetazione ad ogni epoca dell'anno. Questa religione fu dunque fatta per soddisfare le esigenze di un popolo agricoltore, intento alle sue necessità e alla difesa del suo assiduo lavoro, si presenterà povera di quella fantasia coloritrice degli scambi con genti lontane, ma ricca di precisazioni etico-giuridiche che diano a ciascuno, uomo o nume che egli sia, ciò che gli spetta e garantiscano sia i confini della proprietà e i rapporti personali, sia anche la buona armonia tra il mondo degli dei e quello degli uomini, quella pax deorum che fu la più costante preoccupazione del culto pubblico dei Romani. Al romano importa soprattutto conoscere non tanto la figura, quanto l'azione di queste potenze, per poterle sollecitare a vantaggio del suo raccolto e del suo bestiame. Da questo modo di concepire i rapporti tra l'uomo e la divinità, segue che il sacerdote non è tanto il portavoce della divinità stessa, ma bensì il tecnico del rituale, “l'esperto” che è presente per garantire la perfetta esecuzione degli atti religiosi, i quali in realtà venivano compiuti solo dal capo della comunità: pater familias nella casa, magistrati dello stato, generali dell'esercito. Altra caratteristica della religione romana è di essere pervasa di senso sociale, di guisa che più che soddisfare all'anelito dell'anima individuale essa provvede a regolare le varie attività dello stato, affinché tutto si compia secondo il beneplacito degli dei. Questo spiega l'importanza religioso-politica data all'auspicio, l'organizzazione statale del sacerdozio sotto la presidenza del pontefice massimo, la permanenza immutata del culto pubblico anche quando per il progresso culturale e politico si erano venute modificando le antiche concezioni religiose. Le più antiche divinità romane. Il calendario. - Le divinità più antiche ufficialmente venerate dai Romani sono quelle il cui nome si trova elencato a grossi caratteri nel calendario, il quale dall'epoca anteriore alla riforma di Cesare fino a tutta l'epoca imperiale si è mantenuto invariato, segno evidente che esso era stato fissato a un dato momento della storia religiosa di Roma, anteriore alla fondazione del tempio di Giove capitolino, perché questa non è menzionata nel calendario stesso. Di tutte però, le divinità più venerate, come si rileva dal numero di giorni festivi, sono Giove e Marte. Giove, divinità non solo latina,