Tesina sull'inquinamento ambientale

Tesina sull'inquinamento ambientale: origini, cause, cambiamento climatico, gas serra, buco dell'ozono, piogge acide e possibili rimedi

Tesina sull'inquinamento ambientale
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Inquinamento ambientale: tesina

Tesina sull'inquinamento ambientale
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Durante il corso della storia il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda è cambiato al variare delle sue esigenze. L’uomo primitivo, che si nutriva di piante ed animali e che a sua a volta poteva soccombere nella lotta contro animali più forti, si collocava nel sistema naturale come qualsiasi altra forma vivente. Con la scoperta dei primi utensili e del fuoco ha cominciato a imporsi sull’ambiente ed a modificarlo. Inquinare è una parola che ha un significato molto generico: si può dire che se in un ambiente si introducono sostanze estranee a quell’ambiente lo si inquina. Questo però vuol dire che l’inquinamento ambientale è iniziato da quando i primi uomini hanno cominciato a usare il fuoco: fumi, polveri delle sostanze bruciate, ceneri sono saliti nell’atmosfera e si sono sparsi sul suolo e nelle acque.

E ancora si è scoperto che l’uso del fuoco portò a malattie polmonari croniche, dovute alla respirazione dei fumi; che i minatori del neolitico soffrivano per l’inalazione di polveri di roccia e minerali; che nelle ossa di un ominide di 200.000 anni fa vi erano segni di avvelenamento dovuto alla ingestione di acqua contaminata da metalli in essa disciolti. Tuttavia, l’inizio dell’inquinamento ambientale su vasta scala si fa risalire alla nascita delle prime città, più di 5000 anni fa. Lo sviluppo di un’agricoltura sistematica, tra il 3500 e il 1800 a.C. in Mesopotamia, introdusse i primi problemi di sovrapproduzione agricola e i negativi effetti ambientali a essa legati, soprattutto impoverimento dei terreni e disboscamento. I romani costruirono le prime fognature urbane a partire dal VI secolo a.C., segno che il problema igienico legato alla vita collettiva cominciava a essere seriamente avvertito. La possibilità di dominare la natura e di alterarla si sono moltiplicate quando l’uomo ha acquisito maggiori conoscenze tecniche ed è riuscito a realizzare strumenti sempre più raffinati passando dall’aratro di legno al trattore, dal fuoco alle armi più potenti e distruttive. Tuttavia, non sono stati i mezzi di cui l’uomo ha potuto disporre a farlo diventare, negli ultimi decenni, il principale predatore del pianeta, quanto l’uso irresponsabile ed incontrollato di tali mezzi. Nel XVIII secolo, con la prima rivoluzione industriale e le prime scoperte tecnologiche l’uomo cambia il modo di lavorare e di vivere, sorgono le prime fabbriche e le prime città industriali con l’inizio dell’urbanesimo. Ma è con l’inizio del Novecento e con la seconda rivoluzione industriale viene trasformata la vita quotidiana, l’inizio del consumismo e l’utilizzo di massa di beni come le automobili, con l’uso del petrolio e dei suoi derivati come fonte di energia, nasce l’inquinamento. Mentre la Prima Rivoluzione Industriale ha migliorato, in generale, il tenore di vita della popolazione sotto solo due aspetti: l’aumento della produzione agricola e le innovazioni nella produzione tessile e quindi ha immesso sul mercato, a condizioni d’acquisto più favorevoli, generi alimentari e tessuti che sono beni di consumo immediato.

Invece la seconda rivoluzione industriale ha offerto beni di consumo durevoli come il telefono, l’automobile, la macchina da scrivere; sono sorti i primi grandi magazzini per la distribuzione di massa, le grandi industrie automobilistiche, meccaniche e chimiche. Le conquiste tecnologiche sono state adoperate per sviluppare soprattutto quei settori dell’industria che producono beni di consumo capaci di dare maggiori profitti, trascurando invece quelli socialmente più utili e meno inquinanti.

Dalla seconda rivoluzione industriale le emissioni di gas nell’atmosfera sono diventate un problema su scala globale, portando in poco più di un secolo all’attuale condizione caratterizzata dall’effetto serra, dallo smog e dalle piogge acide. Inoltre, i grandi insediamenti e le attività umane dei nostri giorni incidono enormemente sugli equilibri ambientali dell’intero pianeta, creando le condizioni che, se non si porrà rimedio, potrebbero portare a disastrose conseguenze: profondi cambiamenti climatici, carestie, desertificazione, maggiore aggressività delle radiazioni dannose provenienti dal Sole non più schermate dallo strato di ozono che si fa sempre più sottile. Tecnicamente l’inquinamento è un complesso di effetti nocivi che si ripercuotono sulla biosfera e sull'uomo, dipendenti dall'azione di fattori di alterazione degli equilibri esistenti, liberati per lo più come sottoprodotti dell'attività umana nell'aria, nell'acqua e nel suolo. Nel problema generale dell'inquinamento del pianeta Terra, l'inquinamento atmosferico costituisce uno degli aspetti più pericolosi e preoccupanti. Diverse ne sono le cause, riducibili sostanzialmente a tre: residui di gas di combustione, rifiuti aeriformi e pulverulenti di industrie, gas di scappamento degli autoveicoli. Gravissimi sono pure l'inquinamento idrico, provocato da scarichi industriali, agricoli e urbani, e l'inquinamento del suolo per l'accumulo di rifiuti solidi e liquidi prodotti da attività industriali e domestiche e dall'uso non di rado scorretto, in agricoltura, di fertilizzanti, anticrittogamici ecc. Meno evidenti ma ancora più difficili da arginare sono l'inquinamento acustico, presente nelle fabbriche, in città e presso le autostrade, l'inquinamento elettromagnetico, legato al proliferare di stazioni radiotelevisive, e l'inquinamento termico, che pure può produrre effetti di rilevante entità.

I gas serra

I cosiddetti gas serra favoriscono l’aumento della temperatura. Questi gas hanno origine dalle molecole prodotte dalla combustione e da altri processi chimici. Addensandosi negli strati inferiori dell’atmosfera (la troposfera), essi impediscono ai raggi solari, riflessi dalla superficie terrestre e oceanica, di diffondersi negli strati superiori. Di conseguenza, a contatto con la superficie terrestre, la temperatura aumenta sensibilmente più di quanto non farebbe senza le emissioni di gas. Si ritiene che l’alterazione della troposfera sia provocata dall’uomo e sia dovuta all’azione di tre composti principali:

  • l’anidride carbonica (CO2), la cui concentrazione atmosferica è aumentata 1,5 volte dall’inizio dell’Ottocento alla fine del Novecento;
  • il metano (CH4), la cui concentrazione è aumentata 4 volte nel corso del Novecento;
  • il protossido di azoto (NO2O), la cui concentrazione è aumentata 1,5 volte nel Novecento.

A questi composti se ne aggiungono altri tre, prodotti essenzialmente dall’industria petrolchimica: gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoro di zolfo (SF).

Il buco dell’ozono

Buco dell'ozono
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Un problema tra i più gravi legati all’immissione di gas nell’atmosfera è rappresentato dal buco dell’ozono. L’ozono (O3) è una molecola triatomica (cioè è composta da tre atomi) di ossigeno e si concentra nella parte superiore della stratosfera. Le molecole di ozono sono molto importanti poiché, agendo come un filtro, impediscono che le radiazione ultraviolette con una lunghezza d’onda nociva alla vita umana raggiungano la superficie terrestre. Agli inizi degli anni Settanta si è registrato un assottigliamento nello strato di ozono soprattutto al di sopra dell’Antartide: un buco che consente il passaggio delle radiazioni dannose e che oggi ha assunto proporzioni vastissime e preoccupanti. I raggi ultravioletti che filtrano attraverso il buco dell’ozono fanno insorgere malattie della pelle nell’uomo e rallentano la fotosintesi clorofilliana. Tra le cause responsabili di questo fenomeno ci sono: le numerose esplosioni di bombe atomiche e termonucleari per scopi sperimentali da parte di USA, URSS, Francia, Regno Unito e Cina; i gas di scarico degli aerei; i clorofluorocarburi, i cosiddetti CFC, prodotti dagli impianti di raffreddamento e dalle bombolette spray. Nel 1987 a Montreal è stato stipulato un accordo per la riduzione dei CFC le cui emissioni, dopo aver raggiunto il picco massimo nell’anno 1994, sembra siano oggi in diminuzione.

Le piogge acide

Le foreste di tutto il mondo sono state seriamente danneggiate da sostanze inquinanti che, una volta immesse nell’atmosfera, ricadono al suolo insieme alle piogge, causando le cosiddette piogge acide. Tali sostanze non si limitano a inquinare l’ambiente nel quale vengono prodotte, ma si diffondono grazie all’azione dei venti. Infatti, una importante caratteristica delle piogge acide è quella di ricadere a notevole distanza, addirittura a 2.000 km dai luoghi in cui vengono immesse nell’atmosfera le sostanze inquinanti. Un problema di così ampia portata può, però, essere affrontato solo attraverso un’efficace collaborazione internazionale. L’atmosfera terrestre è composta per il 79% da azoto, per il 20% da ossigeno e per una piccola parte da anidride carbonica, idrogeno e altri gas.

Le piante, grazie alle fotosintesi clorofilliana, consumano anidride carbonica e producono ossigeno, mentre gli animali e l’uomo fanno il contrario. Negli ultimi secoli le attività umane hanno in parte modificato questo equilibrio, producendo una notevole quantità di gas prima assenti dall’atmosfera. Tra questi gas rientrano l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto derivanti dalle combustioni che hanno luogo negli impianti di riscaldamento, dalle centrali elettriche e dai motori degli autoveicoli. I gas reagiscono con l’acqua e formano così le sostanze acide presenti nelle piogge. Questo fenomeno sta interessando in modo preoccupante il patrimonio forestale di tutta l’Europa, già duramente minacciato dai massicci diboscamenti. Gli effetti delle piogge acide sono particolarmente gravi nell’Europa centrale e in Inghilterra dove oltre il 50% delle piante presenta i sintomi tipici di questo avvelenamento: il progressivo diradamento e la decolorazione delle foglie.

Tra le specie più colpite ci sono il pino, l’abete e il castagno. Le conseguenze della piogge acide non riguardano solo i boschi, ma anche le coltivazioni agricole e le acque dolci. Infatti l’acidificazione delle acque di molti laghi, che interessa indistintamente tutta Europa e l’America settentrionale, causa spesso la scomparsa di ogni forma di vita dall’interno del bacino lacustre. In tutti i Paesi sviluppati si stanno perciò adottando misure tendenti a diminuire le piogge acide, privilegiando combustibili “puliti” oppure dotando le nuove centrali elettriche di impianti di depurazione.

El Niño, un fenomeno climatico

Le acque superficiali dell’Oceano Pacifico vengono riscaldate da un vento secco che si forma sui deserti australiani e si dirige verso le coste occidentali, provocando ogni 4-5 un aumento della temperatura delle acque marine di 2-3 °C. A questo fenomeno si deve la formazione di un enorme quantità d’acqua calda davanti alle coste del Perù e dell’Equador. L’azione di questa corrente atmosferica e il conseguente riscaldamento delle acque del mare sono due aspetti dello stesso fenomeno, chiamato El Niño perché ha sempre avuto luogo in corrispondenza del Natale. El Niño è stato rilevato per la prima volta nel 1531, ma soltanto dagli anni Ottanta del Novecento ci si è accorti che:

  • sta diventando irregolare;
  • sta provocando conseguenze sempre più gravi per le comunità umane: piogge violente sulle coste americane del Pacifico; cicloni tropicali sulle coste asiatiche; siccità in Australia, India, Brasile e Africa Orientale.

Lo smog

L’inquinamento atmosferico delle città più sviluppate è legato prevalentemente al traffico automobilistico e agli impianti di riscaldamento. Da un lato provoca molte malattie nel sistema respiratorio degli abitanti, dall’altro accelera il degrado di monumenti ed edifici. Anidride solforosa, monossido di carbonio e biossido di azoto sono alcuni dei gas tossici che, immessi nell’atmosfera causano danni seri alla salute e all’ambiente.

L’inquinamento delle acque

Inquinamento delle acque
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I mari risentono in modo molto significativo dell’inquinamento fluviale, perché il corso d’acqua finisce per riversare in mare ciò che riceve. La tutela dei grandi fiumi è uno dei grandi problemi di cui si devono occupare i governi e le agenzie per l’ambiente. La presenza di sostanze come il fosforo o l’azoto nell’acqua provoca il fenomeno dell’eutrofizzazione, cioè la crescita eccessiva delle alghe. Le alghe morte si depositano sui fondali e favoriscono la proliferazione dei batteri. Questi consumano grandi quantità di ossigeno, che può portare come conseguenza la morte per asfissia dei pesci. Le acque interne dei fiumi e dei laghi costituiscono riserve idriche per l’agricoltura, alimentano i pozzi, contribuiscono a soddisfare la richiesta di acqua potabile della popolazione. Depuratori e controlli, purtroppo, non sempre sono sufficienti a garantire loro sicurezza e tutela.

Inquinamento del mare

I principali fattori di inquinamento marino sono:

  • gli scarichi civili e industriali che si riversano nelle acque oceaniche. In molti Paesi non esiste infatti un reale controllo sull’emissione di sostanze inquinanti da parte degli insediamenti urbani e industriali costieri;
  • la navigazione di migliaia di navi che trasportano petrolio e altre sostanze tossiche. In numerose occasioni si sono purtroppo verificati incidenti che hanno causato la fuoriuscita del carico inquinante, con le disastrose conseguenze per la flora e la fauna marina;
  • le attività di sfruttamento dei fondali. Quando accade un incidente sulle piattaforme petrolifere si verifica una dispersione di petrolio che danneggia inevitabilmente coste e fondali marini;
  • gli effetti dell’inquinamento fluviale. Se le acque dei fiumi non vengono ripulite delle sostanze nocive, quando si riversano nei mari in cui sfociano contribuiscono irrimediabilmente al loro degrado.

Per fronteggiare questi tipi di inquinamento, le Nazioni Unite hanno sviluppato un ampio programma di protezione ambientale.

A questo scopo è stato creato l’UNEP (United Nations Environment Program) cioè il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, un organismo che fornisce assistenza tecnica e scientifica ai singoli governi, con l’obbiettivo di migliorare la politica a favore dell’ecologia.

La deforestazione

Foresta amazzonica
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Di anno in anno l’uomo sottrae territorio alle foreste per sfruttare risorse minerarie, ricavare terreni per l’agricoltura, costruir dighe per produrre l’energia elettrica, tracciare strade e ferrovie, creare villaggi turistici. Le più colpite sono le foreste pluviali e, in particolare, quella amazzonica. Due sono le principali conseguenze della deforestazione:

  • alterazione del clima: distruggere le foreste pluviali significa accelerare il cambiamento climatico. Esse producono infatti la metà dell’ossigeno prodotto dalle piante e, attraverso la fotosintesi clorofilliana, eliminano enormi quantità di anidride carbonica dall’atmosfera. Abbattendole, si riduce l’ossigeno e aumenta l’anidride carbonica che concorre a far aumentare la temperatura dell’atmosfera. Inoltre si riduce il flusso di aria umida, causando una diminuzione delle precipitazioni alle latitudini più alte, che aggrava la desertificazione;
  • distruzione irrimediabile della vegetazione: la foresta pluviale è un ecosistema particolare che, una volta compromesso, non può essere integralmente recuperato, cioè la distruzione è irreversibile. Per comprendere quanto sia importante la sua difesa, basti pensare, ad esempio, che oggi poco meno della metà dei farmaci in uso nel mondo contiene sostanze provenienti da queste foreste nelle quali, secondo gli scienziati, esiste ancora circa un milione di piante poco note e dotate di proprietà medicamentose.

La desertificazione

Negli ultimi decenni la desertificazione ha subito una forte accelerazione in tutto il mondo. Oltre che dal cambiamento climatico, l’espansione delle aree desertiche è stata provocata dallo sfruttamento intensivo del suolo per ricavare prodotti alimentari; dall’abbattimento degli alberi per ottenere legna; dal pascolo eccessivo, con la distruzione della vegetazione spontanea; dagli errati sistemi di irrigazione, che diffondono purtroppo sostanze dannose nei terreni. Le Nazioni Unite stimano che il rischio di desertificazione interessi diverse aree, pari all’estensione del territorio americano. Per affrontare il problema bisogna, prima di tutto abbattere l’emissione di gas serra nell’atmosfera, perché essi contribuiscono a ridurre le precipitazioni: molti territori inaridiscono e vengono inglobati dai vicini deserti. Occorre in secondo modo aiutare le popolazioni che vivono nelle zone a rischio affinché evitino di impoverire il terreno, spinte dall’indigenza e dalla fame. In sostanza, soltanto attraverso un’opera di solidarietà internazionale sarà possibile, in futuro, porre rimedio a questo problema.

Inquinamento ambientale: i possibili rimedi

Nel corso della Conferenza di Rio del 1992 fu approvata la Convenzione sul cambiamento climatico. Le posizioni dei vari paesi però erano contrastanti:

  • l’Unione Europea puntava a ridurre le emissioni di anidride carbonica, prodotte soprattutto dall’industria energetica;
  • gli USA non volevano assumere alcun impegno specifico;
  • gli altri Paesi sviluppati avevano atteggiamenti diversi l’uno dall’altro, ma in generale nutrivano avversione e perplessità nei riguardi del progetto di Convenzione.

Alla fine fu trovato un compromesso:

  • i Paesi industrializzati assumevano l’impegno specifico di ridurre le emissioni causate dalle attività e dai consumi dell’uomo;
  • l’anidride carbonica veniva riconosciuta componente dannosa e quindi da ridurre;
  • nel 1998 si sarebbe eseguito un controllo sui progressi compiuti nei primi anni di attuazione della Convenzione.

Ma agli intenti non seguirono atti concreti: gli scienziati e le Nazioni Unite non poterono far altro che esortare a una più efficace collaborazione internazionale.

A causa di queste difficoltà, gli incontri tra i rappresentanti dei governi si susseguirono con risultati scoraggianti, finché nel 1997, alla Conferenza di Kyoto, vennero discussi i modi concreti e le soluzioni operative con cui mettere in atto la Convenzione del 1992. La trattativa ebbe come oggetto i gas serra. Per comprendere la dimensione politica del problema, occorre tenere conto che 55 paesi, poco meno di 1/3 degli stati del mondo, emettono attualmente oltre la metà dei gas serra diffusi nel pianeta. Gli USA emettono quantità di gran lunga superiore a quella di ogni altro Paese, comprese grandi potenze come Giappone, Russia e Cina. A Kyoto si trattava di approvare un protocollo che impegnasse i Paesi industrializzati a ridurre, nel loro insieme, del 5,2% entro il 2008-2012. Per ciascun Paese si sarebbe dovuta stabilire in quale misura diminuire le emissioni. Inoltre, ogni Stato avrebbe dovuto conseguire alcuni obbiettivi essenziali:

  • trasformare i sistemi di produzione di energia, per controllare il settore che genera la maggiore quantità di gas serra;
  • sviluppare energie alternative, pulite, come quella solare;
  • proteggere le foreste;
  • promuovere forme di agricoltura e allevamento cosiddette sostenibili, capaci cioè di ridurre l’inquinamento;
  • limitare le emissioni di metano e di altri gas nelle case e nel settore dei trasporti.

Due sono i rimedi generali ipotizzabili per modificare le pericolose tendenze in atto: da una parte la ratifica, la ratifica del protocollo di Kyoto; dall’altra un serio confronto con i paesi in via di sviluppo. Questi ultimi infatti, sono concentrati tra le fasce intertropicali, proprio dove i rischi ambientali risultano maggiori. È comprensibile che questi Paesi non vogliano rinunciare alla loro già difficoltosa crescita economica in nome della tutela dell’ambiente; è indispensabile dunque che siano quelli più avanzati a prestare loro assistenza organizzativa e offrire tecnologia pulita, per raggiungere un obbiettivo che riguarda l’intera umanità: la salvaguardia del pianeta.

Esistono alcune fondamentali soluzioni per ridurre l’inquinamento e limitare le conseguenze sulla salute. I tre combustibili più usati, olio, benzina e carbone, possono essere sostituiti in buona parte con altre forme di energia che generano che generano una quantità molto ridotta di gas nocivi, le energie pulite. Un primo rimedio consiste appunto nell’intervenire sugli impianti di riscaldamento sostituendo l’olio combustibile con il metano, molto meno inquinante. In numerose città la sostituzione è già avvenuta, con sensibile beneficio per le condizioni dell’atmosfera. Un secondo rimedio è rappresentato dall’uso dell’energia solare. Mediante appositi pannelli solari, disposti sui tetti delle case, è possibile ottenere acqua calda e farla circolare nei termosifoni, riducendo così il consumo di combustibili. Naturalmente l’energia solare può essere ben utilizzata nelle regioni molto soleggiate, cioè nell’Italia centro-meridionale, in Sicilia e in Sardegna, molto meno nella zona settentrionale come nella pianura padana. Un terzo rimedio prevede un incremento dei veicoli elettrici al posto di quelli a combustibili fossili. Qualche intervento in questo senso è già stato compiuto come ad esempio nei trasporti pubblici: su molti autobus infatti sono stati montati impianti di alimentazione a batteria.

Per il trasporto privato invece ci sono più difficoltà, dovute maggiormente all’alto costo di automobili e ciclomotori elettrici.

Ma la soluzione dei problemi dell’inquinamento è affidata, oltre che alla scienza e alla tecnologia, alle abitudini e alla coscienza ecologica degli cittadini. È infatti necessario che le autorità locali, soprattutto i comuni, favoriscano il ricorso ai mezzi pubblici al posto delle auto private e sensibilizzino l’opinione pubblica alla difesa dell’ambiente.

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