De Clementia di Lucio Anneo Seneca: riflessioni

Riflessioni e considerazioni sul De Clementia si Seneca. Di cosa parla e come si compone l'opera del filosofo. Cos'è la clemenza per l'autore

De Clementia di Lucio Anneo Seneca: riflessioni
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DE CLEMENTIA SENECA

Morte di Seneca
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Il De clementia è un trattato di filosofia politica, scritto da Lucio Anneo Seneca tra il 55 e il 56 d.C..

L'autore esalta la monarchia illuminata e definisce la condotta politica che il neo imperatore Nerone dovrebbe seguire. Il trattato era originariamente diviso in tre libri, dei quali ci sono pervenuti solo i primi due (il secondo peraltro incompleto).

Il De Clementia è l’unico esempio in letteratura latina di speculum principis (specchio del principe), ovvero un’opera in cui l'autore funge da specchio per il principe, che attraverso di lui può così scorgere le virtù che lo caratterizzano. Un tratto significativo degli “specula principis” è la contrapposizione tra un modello negativo e uno positivo.

Nel proemio, che si trova all’inizio del primo libro, il filosofo esprime la olontà di fare da specchio al principe e di articolare la sua riflessione sulla clemenza in tre sezioni (che corrispondono ai tre libri che componevano l’opera):

  • la grazia concessa dai grandi;
  • la natura e l’atteggiamento propri della clemenza;
  • come diventare clementi.

Nel primo libro la clemenza viene definita come la virtù più umana che esista, anche se si addice soprattutto a re e principi. Sono loro, infatti, a costituire l’anima, mentre lo Stato costituisce il corpo; pertanto, come l’anima ha bisogno del corpo e viceversa, così il principe ha bisogno dello stato e viceversa.

Il principe, dunque, essendo clemente verso i cittadini, in realtà è clemente verso sé stesso, poiché anima e corpo sono legati indissolubilmente. Inoltre, l’essere clemente porta solo benefici: più si è clementi, più la gloria aumenta, più si è amati dal popolo, più quest’ultimo sarà propenso alla protezione del proprio sovrano, mentre i cospiratori contro il re diminuiranno significativamente.

La riflessione continua con una serie di esempi di sovrani clementi e crudeli (in contrapposizione) e degli effetti del loro comportamento. Il sovrano viene paragonato poi a un medico, all’ape regina, agli dei, al sole, a un tiranno. Il paragone più importante è quello col tiranno: le qualità positive del sovrano clemente risaltano maggiormente se messe a confronto con quelle negative del tiranno.

Tra le altre considerazioni c'è la necessità di rinunciare alla vendetta, il fatto che se si occupa una posizione elevata il comportamento deve sempre essere controllato nei minimi dettagli, la clemenza vista come mitezza nel punire e l’opposizione tra quest’ultima e la severità.

Nel secondo libro Seneca confuta l’opposizione tra clemenza e severità: entrambe sono virtù, quindi non possono essere messe in opposizione. Tuttavia, si inizia a parlare più nello specifico della misura necessaria nel punire e nell’essere clementi.

La clemenza si trova in contrapposizione con la crudeltà, che caratterizza gli uomini che non hanno misura nell’infliggere le punizioni. Di contro, è necessario non esagerare nell’esercizio della clemenza, per non sconfinare nella compassione (non una virtù ma un vizio, che caratterizza coloro che si abbattono alla vista dei mali altrui e vi partecipano emotivamente).

La clemenza è dunque la virtù che caratterizza il saggio (che in questo libro è sinonimo di sovrano), in quanto egli è mite nel punire e non si lascia toccare dalle sofferenze altrui.

In conclusione Seneca esprime la peculiarità della clemenza di non essere soggetta alla legge: chi agisce con clemenza sa di agire per il meglio, dal momento che la clemenza giustissima. Non serve che il sovrano si attenga alle leggi per giudicare, perché la clemenza gli è già sufficiente.

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