L'elegia d'amore di Tibullo e Properzio

L'elegia d'amore nasce in età augustea e nasce come strumento di corteggiamento. I temi principali sono l'amore tormentato e irriverente. Properzio e Tibullo sono tra i più grandi poeti elegiaci dell'antichità.
L'elegia d'amore di Tibullo e Properzio
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1Che cos’è l’elegia?

Busto di Gaio Valerio Catullo a Sirmione
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L’elegia è uno dei componimenti più antichi della letteratura occidentale: l’etimologia di questa parola è incerta, ma molti studiosi sostengono che derivi da “e-leghos”, letteralmente “dire ahimè” e sarebbe un canto di lamento funebre. Nonostante questa affiliazione alla morte, l’elegia era destinata a molteplici tematiche, dalla lamentazione funebre al discorso morale, e all’orazione politica, dal desiderio d’amore all’inno guerresco

L’elegia è composta dai «distici elegiaci», formati da un esametro e da un pentametro: questa alternanza ritmica conferisce all’elegia un carattere solenne, ma al tempo stesso vivido e di grande efficacia espressiva

Nell’età ellenistica – grazie ai filologi e agli scrittori alessandrini – questo genere letterario gode di una nuova fortuna ed è associata sempre più alla tematica amorosa e all’erudizione mitologica. Considerando che l’elegia latina riprende direttamente quella alessandrina, possiamo intuire che saranno proprio questi due aspetti a influenzare profondamente i poeti romani. 

Per quanto riguarda l’utilizzo della mitologia, l’elegia romana si diversifica da quella alessandrina perché il mito non è più elemento principale quasi fine a sé stesso, ma serve per reinterpretare il presente e le vicende interiori del poeta: in questo modo il carattere lirico-soggettivo prevale su quello narrativo-oggettivo. Non è da escludere una contaminazione dell’elegia romana con l’epigramma alessandrino sempre in distici elegiaci, ma più breve dell’elegia e riservato a tematiche personali. 

2L’elegia romana e l’amore elegiaco

Grazie al Carmen doctum LXVIII Catullo può essere considerato il primo autore di elegie: il poeta collega l’amore mitologico fra Protesilao e Laodamia a quello suo per Lesbia, in linea coi modelli alessandrini. Lo stesso Properzio lo indica come uno dei poeti d’amore in versi elegiaci, di cui egli stesso si sente successore. Ovidio invece nei Tristia (IV, 10, 51-54) indica come iniziatore Cornelio Gallo, e come continuatori Tibullo, Properzio e se stesso. Quintiliano nelle Institutiones oratoriae (X, 1, 93) indica gli stessi quattro poeti, non in ordine cronologico, ma di valore: «Elegia quoque Graecos provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus. Sunt qui Propertium malint. Ovidius utroque lascivior, sicut durior Gallus».  

Il clima in cui si sviluppa l’elegia romana è molto particolare e vale la pena sottolinearlo: si tratta della fase di passaggio dalla repubblica all’impero, da Cesare ad Augusto. In questo periodo il cittadino diventa suddito e quindi perde la libertà del mondo esteriore, non ha più bisogno di arringare per salvare lo Stato, ma acquisisce la libertà interiore.  

L’otium di Catullo diventa necessario più che mai per scendere a fondo nella propria ricerca poetica che è anche ricerca della donna e più in generale dell’altro da sé. Per l’amante elegiaco, dunque, l’amore è soprattutto furor, error, insania e dementia, e amare significa nullo consilio (Properzio) o sine ratione (Ovidio).  

L’amore comporta un distacco dai valori tradizionali: termini come nequitia, segnitia, improbus, desidia, inertia rivelano la natura negativa dell’amore esclusivo e al tempo stesso l’impossibilità di sottrarsi al proprio destino di amante infelice e di rado ricambiato. Questa prospettiva sembrerebbe togliere quasi responsabilità ai poeti che si trovano ad affrontare un sentimento più grande di loro, che sfugge a qualunque dettame sociale e che si legittima per il solo fatto di essere l’esperienza più significativa della vita.  

Il lessico militare è quindi una conseguenza di questa superiore volontà: come il soldato non può sottrarsi all’ordine del generale, i poeti non possono sottrarsi ai comandamenti dell’amore e scendono orgogliosamente in campo per conquistare l’amata.  

3L’elegia di Tibullo, il soldato dell’amore

Tibullo e Delia
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Di Tibullo abbiamo tre libri di elegie tematicamente più codificate rispetto all’esempio di Catullo. Il primo libro contiene dieci elegie, di cui cinque dedicate ad una donna chiamata Delia, la donna amata dal poeta in modo totalizzante. Tibullo ci parla infatti di militia amoris, militanza d’amore, di conquista, di fedeltà, di coraggio quasi che l’amore per lui implicasse un moto di violenza: bisognava avere nervi e cuori saldi per riuscire nell’impresa.

Tre elegie sono dedicate a un giovinetto di nome Màrato, anch’egli oggetto del desiderio del poeta – segno che i costumi sessuali antichi sono quanto di più diverso dalla nostra cultura.

C’è poi l’elogio di Messalla Corvino in occasione del suo compleanno, mentre la decima celebra la pace e la vita agreste, un vero topos dell’età augustea.

Leggiamo adesso un estratto dalla prima elegia del primo libro (I.1), che ha un valore programmatico:  

Quanto mi piace, stando sdraiato, sentire
la furia dei venti e stringere teneramente
al seno la mia donna o, quando l’Austro invernale
riversa acque gelide, dormire un sonno tranquillo
cullato dalla pioggia. Questo è ciò che voglio:
a buon diritto sia ricco chi riesce a sopportare
il mare in burrasca e le aspre piogge.
Scompaia tutto l’oro che c’è e le pietre preziose,
piuttosto che far piangere per i nostri viaggi una donna.
Tu sì che devi, Messalla, combattere in terra e in mare,
perché la tua casa esibisca le spoglie nemiche;
me mi trattengono i vincoli di una bella ragazza,
e faccio il guardiano alla sua porta chiusa.
Delia mia, io non voglio la gloria e, purché rimanga con te,
mi chiamino pure ozioso e pigro.
Voglio guardarti, quando verrà la mia ultima
ora, e morire tenendoti con la mano che manca.  

Il poeta afferma la sua predilezione per la vita semplice, in campagna, lontano dai tumulti cittadini e dalle passioni politiche. Solo l’amata Delia può essere al fianco del poeta. Niente ricchezze, niente gloria: a Tibullo basta la militia d’amore con il pensiero che Delia gli sarà accanto piangente nel giorno della morte.  

Il motivo dell’amore per la vita campestre torna anche nella decima elegia, ove si deplora la guerra e si esalta la funzione civilizzatrice della pace: vediamo le armi che si arrugginiscono e luccicano invece gli attrezzi del contadino. Liberi dai nemici dell’impero, ci si può dedicare all’altra e ben più importante militia che spesso implica davvero litigi ed anche violenza.  

Il secondo libro ha per protagonista una donna il cui nome è tutto un programma: Nemesi, la nemica. Delle sei elegie, tre sono dedicate a lei. 

Il terzo libro, come dicevamo, è una sorta di antologia che raccoglie ben venti elegie, di cui solo le ultime due sono sicuramente di Tibullo: si tratta di elegie d’amore per una puella di cui non viene fatto il nome

I temi trattati (quello amoroso soprattutto, ma anche altri: quello del rifiuto della guerra, dell’amore per la campagna, del disprezzo per le ricchezze]) riprendono motivi convenzionali, luoghi comuni consolidati dalla tradizione letteraria, in particolare con riferimento ai modelli alessandrini, soprattutto di Callimaco, ma è importante anche l’influenza del Virgilio delle Georgiche per quanto riguarda l'esaltazione della vita agreste. 

Non è un caso che fra le elegie (d’amore, ma non solo) di Tibullo e quelle di Properzio ci siano tante affinità, si presentino situazioni sentimentali analoghe (l’infedeltà della donna e la conseguente gelosia, la condanna al servitium amoris, il vagheggiamento della morte confortata dalla presenza dell’amata, ecc). Sicché non è possibile capire fino a che punto quelle liriche rappresentino esperienze realmente vissute o invece si tratti di pure rielaborazioni letterarie.

4L’elegia di Properzio, il “Callimaco romano”

Poesie di Albio Tibullo. Manoscritto miniato del XV secolo
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Properzio è legato invece al nome di Cinzia, la sua domina, che molto assomiglia alla Lesbia catulliana e alla Delia di Tibullo. Il tema dominante nei primi tre libri è l’amore assoluto per lei, un tema dichiarato nell’elegia proemiale del I libro, in cui l’autore si presenta subito come l’innamorato infelice (miser), che, sottomesso ad un padrona crudele (domina), ha perso dignità e ragionevolezza, pertanto chiede aiuto alla magia perché lo liberi dall’incantesimo, alla medicina perché lo guarisca dalla malattia, agli amici perché lo conducano lontano.  

Leggiamo questo estratto:

Cinzia, per prima ha fatto prigioniero me, sventurato, coi suoi occhi,
io che mai prima ero stato toccato dalla passione.
Da allora Amore mi fece abbassare gli occhi ostinatamente alteri
e mi calcò il capo, premendovi sopra i piedi
finché m’insegnò, crudele (qual è), a detestare le fanciulle perbene
e a condurre una vita senza senno.
E già da un anno intero questa follia non m’abbandona,
mentre sono costretto ad avere gli dèi avversi.
(…) E voi, amici, che troppo tardi richiamate indietro chi è caduto,
cercate dei rimedi per il mio cuore malato.
Sopporterò con coraggio sia il bisturi sia le crudeli cauterizzazioni,
purché io abbia la libertà di dire ciò che l’ira mi suggerisce.
Portatemi fra genti e mari remoti,
dove nessuna donna conosca il mio cammino:
voi, a cui il dio annuì con orecchio benevolo, restate
e siate sempre concordi in amore tranquillo.
Quanto a me, la mia Venere agita le mie notti amare,
e Amore non mi lascia neppure per un momento.
Vi avverto, evitate questo male: ciascuno resti fedele
alla propria amata né si allontani dal suo consueto amore.
Ché se qualcuno troppo tardi presterà attenzione ai miei ammonimenti,
con quanto dolore, ahimé, ricorderà le mie parole!
(trad. it. F. Cerato)

4.1Il primo libro delle elegie: temi e analisi

Nel primo libro – noto come Monòbiblos, ventidue elegie – e nelle recusationes rivolte a Mecenate nel secondo libro, Properzio sfruttando la contrapposizione tra Mimnermo e Omero (poeta lirico il primo, poeta epico il secondo), afferma di prediligere la poesia leggera (lenia carmina) ispirata dall’amore, rispetto alla poesia “alta”, qual è quella epica. Si tratta di una scelta poetica e di vita al tempo stesso: le conseguenze sono nel turbamento dell’animo a rischio di infangarsi nella nequitia (abiezione morale, dissolutezza), in contrasto con i valori tradizionali (impegno politico in primis) che dovrebbe seguire ciascun cittadino romano. 

Come era stato per Catullo, i poeti ricusano l’impegno politico e difendono non solo l’otium, ma anche la poesia d’amore in generale vista come la forma letteraria più alta ed edificante per lo spirito. 

4.2Il secondo libro delle elegie: trama e analisi

Il secondo libro che contiene 34 elegie si apre con la dedica a Mecenate e appunto con la famosa recusatio (rifiuto) di dedicarsi alla poesia epica, impostagli dallo stesso Augusto: Properzio ribadisce che la sua fonte di ispirazione è e resta la puella.   

Come abbiamo letto in Tibullo, anche Properzio ci regala in questo libro una elegia commossa in cui immagina di morire (II, 13B).   

In un’altra racconta della sua gelosia (II, 34) con queste parole piene di astiosa gelosia: CVR quisquam faciem dominae iam credat Amori? / sic erepta mihi paene puella mea est. / expertus dico, nemo est in amore fidelis: / formosam raro non sibi quisque petit; «Chi può affidare ad Amore la bellezza della sua donna?1 In questo modo per poco non mi è stata tolta. / Lo dico per esperienza: nessuno è fedele in amore, / e una donna bella per lo più tutti la vogliono». Sembra proprio che il poeta detesti che si mettano gli occhi addosso alla sua ragazza, magari gli sguardi si fanno insinuanti e… chissà come va a finire. Ci sono rivali in amore dappertutto!   

4.3Il terzo libro delle elegie: temi e caratteristiche

Nel terzo libro, che comprende invece 25 elegie, le tematiche si ampliano, forse perché il poeta ritiene di avere ampiamente sfruttato il tema amoroso o forse a seguito delle insistenti sollecitazioni che provengono da Mecenate. L’epica viene ancora rifiutata a favore dell’elegia, ma Properzio sempre assumendo a modello i grandi elegiaci alessandrini, come Callimaco e Filita – propone anche carmi celebrativi

Le ultime due elegie sono quelle del famoso discidium (rottura, separazione), in cui il poeta annuncia, non senza uno sproloquio di maledizioni e imprecazioni, la sua separazione da Cinzia. Potrebbe questo essere un evento biografico o forse il poeta tradisce l’intenzione di abbandonare la poesia d’amore. Di fatto, ritornano i motivi dei rimedi inutilmente tentati per superare il dolore dell’amore

4.4Il quarto libro delle elegie: temi e protagonisti

Primo Libro delle Elegie di Properzio. Manoscritto
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Nel quarto libro, composto da undici elegie, sembra che le richieste di Mecenate abbiano trovato infine il favore del poeta. Nell’elegia proemiale, infatti, Properzio enuncia un programma di poesia eziologica ad imitazione sempre di Callimaco. Abbiamo così le sei “elegie romane”, cioè, la seconda, la quarta, la sesta, la nona e la decima.

Quattro sono invece di carattere amoroso e in due di esse ricompare Cinzia, l’eterno amore del poeta: in una è un fantasma (elegia settima) e confessa al poeta la propria fedeltà e rimproverare invece a lui i tradimenti. Nell’ottava, invece, appare in carne e ossa: lei ha tradito il poeta ma, essendo una domina, con durezza lo rimprovera per essersi voluto bassamente vendicare accompagnandosi con due allegre ragazze.

C’è poi la regina elegiarum, la «regina delle elegie», undicesima del libro: non ha carattere eziologico, ma può rientrare fra le elegie “romane” in quanto in essa si celebrano valori patriottici e morali. A parlare è una matrona defunta, Cornelia, la quale, rivolgendosi al marito, descrive la propria vita di sposa e madre esemplare: sono dunque gli affetti famigliari e l’amore coniugale che si esaltano, non l’amore passionale e dissennato; sono le virtù romane, che appartengono alla sana tradizione italica, quella tradizione che in quegli stessi anni Augusto intende restaurare.

Della «regina elegiarum» vale la pena leggere qualche estratto. Tutta la poesia è in prima persona e l’incipit è una preghiera della sposa appena defunta al suo sposo, Paolo.  

Smetti, Paolo, di far forza con le lacrime al mio sepolcro:
a nessuna preghiera s’apre la nera porta;
una volta che i morti sono passati sotto le leggi degli Inferi,
da inesorabile acciaio è sbarrata la via.
Se anche oda le tue preghiere il dio della reggia notturna,
sii certo, sordi i lidi berranno le tue lacrime.  

Successivamente, la matrona con orgoglio si vanta della sua fecondità: ha generato figli, è stata madre amorevole, muore accompagnata da loro, le sue più grandi ricchezze.

Meritai la veste che è insigne emblema di fecondità,
né fui rapita dalla morte a una casa priva di figli.
Tu, Lepido, e tu, Paolo, figli miei, mio conforto dopo la morte,
nel vostro abbraccio io chiusi gli occhi...
E tu, figlia, che nascesti ornamento della magistratura paterna,
fa’ di tenere un solo marito, imitando il mio esempio.
Con la discendenza date sostegno alla stirpe:
volentieri io salpo sulla barca,
perché in tanti dei miei si prolungherà il mio destino...

In ultimo raccomanda al marito i suoi figli: dovrà essere padre e madre. Ai figli raccomanda di accogliere con favore le seconde nozze del padre, se deciderà di riaccompagnarsi.

Ora a te io raccomando il dono comune dei figli:
quest’ansia vive inconsunta nelle mie ceneri.
Fa’ loro anche da madre, tu che sei padre:
la mia frotta di figli ora dovrai portarla tutta al collo tu solo.
Quando li bacerai piangenti, aggiungi i baci della madre:
il peso di tutta la casa d’ora in poi graverà su te solo.
E se avrai voglia di piangere, fallo quando sono lontani!
Quando verranno, con asciutte guance illudi i loro baci!
A tormentarti per me ti bastino, Paolo,
le notti e i sogni in cui crederai spesso di ravvisare il mio volto;
e quando nel segreto parlerai alla mia immagine,
parlami come s’io potessi risponderti.
Se però la casa vedrà un nuovo letto
e una prudente matrigna si assiderà nel mio talamo,
approvate, figli, e accettate le nozze del padre:
essa s’arrenderà vinta dalla vostra dolcezza.
Non lodate troppo la madre:
confrontata alla prima, essa vedrà un’offesa
nelle vostre imprudenti parole.
Ma se, nel ricordo di me, egli resterà fedele alla mia ombra
e penserà che di tanto sian degne le mie ceneri,
fin d’ora imparate ad accorgervi della vecchiaia che per lui giunge:
per l’uomo che è solo nessuna via resti aperta agli affanni...
Va tutto bene: mai, come madre, io ebbi a prendere il lutto:
alle mie esequie è venuta tutta la schiera dei miei figli.
È perorata la mia causa.
Alzatevi voi che mi piangete, testimoni,
mentre grata la terra mi rende il compenso per la mia vita.
Alla mia virtù s’aperse anche il cielo:
ch’io sia degna, per i miei meriti,
che la mia ombra navighi sulle acque dei pii.

Properzio attraverso un percorso faticoso nel regime augusteo riesce ad approdare a una visione più completa e matura della donna. Da una parte ci ha illustrato la domina capricciosa, emancipata in una libertà quasi pericolosa; dall’altra raccomanda la bellezza della donna materna. La donna erotica va combattuta e conquistata; la donna materna va protetta perché essa stessa possa proteggere il focolare domestico. Queste due nature della donna continueranno a lungo ad essere descritte e confrontate senza una vera e propria soluzione. Augusto prediligeva questo secondo modello: una donna che fa figli, che genera soldati, che insegna valori comuni e condivisi. Ma l’amore è un’altra cosa e questi poeti, con estrema lucidità e sofferenza, ne hanno illustrato la bellezza e la follia.

    Domande & Risposte
  • Cos'è l'elegia d'amore?

    L’elegia d’amore è un genere letterario che si sviluppa nell’età augustea. Il nome deriva dal greco e significa “un canto accompagnato dal flauto”.

  • Chi è stato Albio Tibullo?

    E’ stato un poeta romano del I secolo a.C. considerato tra i maggiori esponenti dell’elegia latina.

  • A cosa serve l'elegia d'amore?

    I componimenti elegiaci spesso servivano come strumento per corteggiare le donne.

  • Chi è stato Sesto Properzio?

    E’ stato un poeta romano nato ad Assisi intorno al 50 a.C. autore di elegie d’amore.