Inferno Canto 33: il conte Ugolino

Inferno Canto 33: riassunto e analisi del penultimo canto dell'inferno dantesco basato sull'incontro di Dante e Virgilio con il conte Ugolino (2 pagine formato doc)

Appunto di andreazambo

INFERNO CANTO 33: CONTE UGOLINO

Inferno, canto XXXIII.
Il 33° e penultimo canto dell’Inferno è ambientato il 9 aprile del 1300, anno del giubileo universale, nel tardo pomeriggio, verso le 18. È il sabato santo. Dante, nella sua discesa all’Inferno, è giunto nell’area del Basso Inferno, in particolare nella seconda e terza zona del nono cerchio (i fraudolenti o traditori verso chi si fida, tra cui i traditori della patria o del partito nell’Antenorea e degli ospiti e degli amici nella Tolomea). È nel fondo del pozzo dei giganti, il termine dell’abisso della cavità infernale, formato da una palude alimentata dalle acque ghiacciate del Cocito.
Le anime vi sono immerse in diverse posizioni a seconda della colpa. Ci sono quattro zone nella palude: Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca. La colpa di chi si trova nella palude è il tradimento verso coloro che si fidano. Nell’Antenora le anime sono immerse nel ghiaccio fino al collo con la testa rivolta all’ingiù, mentre nella Tolomea sono supine e guardano verso su.

CANTO 33 INFERNO CONTRAPPASSO

Il contrappasso è chiaro: come in vita tramarono freddamente contro chi riponeva fiducia in loro, raggelando il proprio animo e privandolo del calore della carità, allo stesso modo sono immersi nelle acque e nel ghiaccio del Cocito. I personaggi principali sono, come sempre, Dante e Virgilio, che incontrano Ugolino della Gherardesca, Ruggieri degli Ubaldini (entrambi nell’Antenora); Frate Alberigo e Branca Doria nella Tolomea.
Il canto è strettamente collegato al precedente, infatti nell’inizio vi è la continuazione del canto XXXII, nel quale Dante aveva visto un’anima addentare la nuca di un’altra nel ghiaccio del Cocito e le aveva chiesto chi fosse. L’apertura del canto XXXIII presenta la risposta dell’anima peccatrice: il condannato è il conte Ugolino della Gherardesca, un nobile pisano che per l’eternità dovrà addentare il cranio dell’avversario storico, l’arcivescovo Ruggieri. Ugolino, per Dante, è colpevole di tradimento politico verso i Ghibellini, dato il suo volta spalle e la sua presa di posizione per i Guelfi, oltre che della cessione di alcuni castelli pisani alla Lega guelfa. Tuttavia, il suo tradimento è stato ripagato con la stessa moneta dall’arcivescovo Ruggieri, facendolo diventare a tutti gli effetti un traditore tradito. Ruggieri, simulando un accordo, l’ha fatto arrestare e morire di fame nella torre pisana della Muda assieme a due figli e due nipoti, reputati innocenti da Dante. L’atto compiuto da Ruggieri è perciò di gran lunga peggiore di quello di Ugolino, benché entrambi siano dei traditori. L’arcivescovo ha infatti deliberatamente condannato a morte cinque persone, mentre il tradimento di Ugolino è stato solo oggetto di responsabilità politiche. Dante rende ancor più disumano l’atto di Ruggieri, abbassando consapevolmente l’età anagrafica dei figli e nipoti di Ugolino, nonostante fosse a conoscenza della loro età reale (circa trent’anni).
 

CONTE UGOLINO INFERNO

Di qui, data la portata del tradimento, Ruggieri è condannato a una sorta di supplemento della pena: essere morso al capo per l’eternità dal traditore-vittima Ugolino. I due raggiungono un’immagine di pura bestialità. Ugolino nutre e continuerà a nutrire ancora il desiderio di vendetta, tanto da cercare rivalsa infangando la memoria di Ruggieri, infamandolo appena viene a conoscenza dell’origine fiorentina di Dante (che dunque è informato dei fatti e potrà diffondere la versione corretta). Non parla per cortesia, ma solo per infamare l’avversario presso i posteri tramite Dante, diventato per l’occasione cronista di eventi parzialmente taciuti dalla storia. Ugolino vuole però anche riportare della luce sulla sua personale vicenda, mascherando il suo tradimento e selezionando accuratamente i fatti da raccontare. Dante, tuttavia, conosce alcune parti della storia e non mostra alcuna pietà per Ugolino, senza però disprezzarlo. Quello di Ugolino è il più lungo monologo dell’Inferno, durante il quale Dante ascolta in silenzio lasciandogli la scena. Il peccatore sfrutta appieno il suo spazio per sfogare dolore, rimorso e risentimento per aver involontariamente condotto alla morte i suoi figli e nipoti, dando testimonianza del terribile delitto a cui lui, con le sue scelte e responsabilità politiche, ha portato i familiari, giovani e innocenti. Al termine del monologo, Ugolino riprende a masticare il cranio dell’odiato arcivescovo con ancora più vigore.