Riassunto delle teorie sull'aggressività
spiegazioni delle principali teorie sull'aggressività con relativi esperimenti (8 pagine formato doc)
Riassunto delle teorie sull'aggressività - L’AGGRESSIVITÀ
1 CHE COS’È L’AGGRESSIVITÀ?
Il termine aggressività viene adoperato per designare le cose più disparate. Lo psicanalista Storr l’ha definita efficacemente una “parola valigia”, cioè un contenitore dove si può mettere di tutto, ma lo studio scientifico ha bisogno di definizioni precise. A partire dagli anni 60 e 70 gli studiosi hanno prodotto uno sforza considerevole per elaborare una definizione tecnico-operativa di aggressività. Anche se permangono delle controversie confusioni e equivoci che in passato hanno creato difficoltà nelle ricerche sull’aggressività oggi non hanno più spazio nei dibattiti specialistici.
LEGGI ANCHE Note di psicologia sociale su aggressività e violenza
L’etologo Hinde ha proposto una definizione di aggressività: qualsiasi comportamento di un individuo diretto a provocare danno a un altro individuo. L’idea di un comportamento teso a danneggiare l’altro costituisce un nocciolo centrale e universalmente riconosciuto dell’aggressività. La definizione sembra presupporre che l’aggressore agisca intenzionalmente, dato che parla di comportamento diretto a provocare danno, ma essendo le intenzioni private può essere difficile stabilire quando c’è davvero aggressione. L’aggressore potrebbe negare l’intento di nuocere. Un comportamento aggressivo può inoltre essere strumentale cioè avere un secondo fine che è lo scopo primario che un soggetto si prefigge. Una via d’uscita potrebbe essere considerare diversi gradi di intenzionalità, come distinguere tra intenzione e desiderio. Il problema delle aggressioni strumentali acquista particolare evidenza nel caso in cui il secondo fine dell’aggressore sia salvare se stesso.
LEGGI ANCHE Appunti sull'aggressività nello sport
Sembra perciò opportuno dire che c’è aggressività: quando qualcuno è consapevole del danno che provoca, che abbia o meno l’intenzione di nuocere. Essa può essere anche di pensiero nonostante la maggior parte degli studiosi sia convinta che non vi sia aggressività senza azione. È opinione diffusa che si debba parlare di aggressività sia quando il danno arrecato è di tipo fisico, sia quando colpisce l’altro nel suo equilibrio psichico. I danni psicologici non sono oggettivamente riscontrabili e diviene ancora pi difficile capire se l’aggressore aveva l’intento di nuocere. Ci sono però aggressioni psicologiche eclatanti e aggressioni psicologiche misconosciute, che non fanno rumore ma incidono pesantemente sulla qualità della nostra vita. Una componente di questo tipo di aggressività consiste nella violenza istituzionale (vittime di violenze nelle carceri o negli ospedali); questa è una ragionevole violenza perché condotta nel rispetto delle regole dell’istituzione.
LEGGI ANCHE Il rapporto fra frustrazione e aggressività
1 CHE COS’È L’AGGRESSIVITÀ?
Il termine aggressività viene adoperato per designare le cose più disparate. Lo psicanalista Storr l’ha definita efficacemente una “parola valigia”, cioè un contenitore dove si può mettere di tutto, ma lo studio scientifico ha bisogno di definizioni precise. A partire dagli anni 60 e 70 gli studiosi hanno prodotto uno sforza considerevole per elaborare una definizione tecnico-operativa di aggressività. Anche se permangono delle controversie confusioni e equivoci che in passato hanno creato difficoltà nelle ricerche sull’aggressività oggi non hanno più spazio nei dibattiti specialistici.
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L’etologo Hinde ha proposto una definizione di aggressività: qualsiasi comportamento di un individuo diretto a provocare danno a un altro individuo. L’idea di un comportamento teso a danneggiare l’altro costituisce un nocciolo centrale e universalmente riconosciuto dell’aggressività. La definizione sembra presupporre che l’aggressore agisca intenzionalmente, dato che parla di comportamento diretto a provocare danno, ma essendo le intenzioni private può essere difficile stabilire quando c’è davvero aggressione. L’aggressore potrebbe negare l’intento di nuocere. Un comportamento aggressivo può inoltre essere strumentale cioè avere un secondo fine che è lo scopo primario che un soggetto si prefigge. Una via d’uscita potrebbe essere considerare diversi gradi di intenzionalità, come distinguere tra intenzione e desiderio. Il problema delle aggressioni strumentali acquista particolare evidenza nel caso in cui il secondo fine dell’aggressore sia salvare se stesso.
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Sembra perciò opportuno dire che c’è aggressività: quando qualcuno è consapevole del danno che provoca, che abbia o meno l’intenzione di nuocere. Essa può essere anche di pensiero nonostante la maggior parte degli studiosi sia convinta che non vi sia aggressività senza azione. È opinione diffusa che si debba parlare di aggressività sia quando il danno arrecato è di tipo fisico, sia quando colpisce l’altro nel suo equilibrio psichico. I danni psicologici non sono oggettivamente riscontrabili e diviene ancora pi difficile capire se l’aggressore aveva l’intento di nuocere. Ci sono però aggressioni psicologiche eclatanti e aggressioni psicologiche misconosciute, che non fanno rumore ma incidono pesantemente sulla qualità della nostra vita. Una componente di questo tipo di aggressività consiste nella violenza istituzionale (vittime di violenze nelle carceri o negli ospedali); questa è una ragionevole violenza perché condotta nel rispetto delle regole dell’istituzione.
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